Rivista Anarchica Online
Il paradosso dei burattini
di Mariano Dolci
Burattini e marionette non sono un passatempo o dei giocattolini adatti tuttalpiù ai bambini. L'esperienza
del
laboratorio "Gianni Rodari" di Reggio Emilia presentata dal suo animatore
Dal 1970 il "Laboratorio di Animazione" dei Nidi e delle Scuole dell'Infanzia
Comunali di Reggio Emilia ha come
precisa finalità quella di ricercare, sperimentare e diffondere le potenzialità pedagogiche dei
burattini, delle
marionette, delle maschere, delle ombre e dei travestimenti. Leggiamo in un passo di una celebre poesia di
Loris Malaguzzi, che poi ha dato titolo ad un libro e a una delle
grandi mostre sulle Scuole dell'Infanzia di Reggio che girano il mondo: "Il bambino ha cento lingue ma gliene
rubano novantanove...". Già al termine degli anni sessanta la frase si poteva incontrare affissa all'ingresso
di
alcune Scuole dell'Infanzia di Reggio. Le frequenti conversazioni, sempre eccitanti, con Malaguzzi direttore
delle scuole, gli incoraggiamenti di Rodari,
che dedicò un capitolo della sua "Grammatica della fantasia" ai nostri burattini, preservarono il
"Laboratorio" dalla
tentazione di "calare" il teatro in fascie di età sempre più precoci. "Spettacolino", "scenetta",
"riduzione", "adattamento" sono dunque parole che non fanno parte del nostro lessico.
Comunque anche termini come "drammatizzazione", "animatore", "spettatore", "burattino", "teatrino" ed altri
necessiterebbero, a contatto con il Nido e la Scuola dell'Infanzia, di una profonda riconcettualizzazione. Il campo
teatrale, spettacolare infatti, e le utilizzazioni pedagogiche non possono che avere presupposti, criteri,
finalità,
approcci, metodi e prassi del tutto diversi. A differenza dunque delle ricerche dei professionisti teatrali che
si prefiggono nelle loro ricerche formali di
esplorare le possibilità espressive di una determinata tecnica in vista della creazione di uno stile,
l'interesse del
"Laboratorio" si rivolge a tutte le tecniche e a tutte le modalità di animazione per tentare di evidenziare
i loro
particolari pregi espressivi, i loro limiti, le analogie e le differenze tra di loro, ossia di definire la loro
identità in
vista di riproporli con sempre maggiore consapevolezza in contesti "non-spettacolari". Si parte del presupposto
che gli strumenti ed i procedimenti non siano solo docili emanazioni di una progettazione demandata alla sola
testa, ma che attraverso procedimenti di interazione con le mani ed il corpo e di retroazione con i processi
espressivi, essi influenzino in modo significativo l'andamento della comunicazione. Insomma, esprimersi con
burattini a guanto o con marionette a filo non è la stessa cosa, come del resto dimostra tutta la storia
passata di
questi due generi. Si deve anche notare che nella nostra cultura eminentemente dualistica si procede per
coppie opposizionali: mente-mano, spirito-materia, anima-corpo e l'interesse per le influenze esercitate dagli
strumenti e le tecniche sui
processi di di creazione e di espressione e di comunicazione non è mai stato molto spinto. Si postula
dunque una
mente che ordina e una mano che esegue. Perfino negli studi sulla pittura ed il disegno, che pure da tempo sono
diventati abituali in pedagogia e psicologia infantile, noi incontreremo molto di rado delle osservazioni sulle
proprietà dei materiali, delle tecniche, dei procedimenti e sulle loro influenze sui processi espressivi.
Questo
atteggiamento non si giustifica: nel nostro caso, qualsiasi sia il vincolo imposto dal testo, dal canovaccio o da un
semplice progetto che l'animatore intende rispettare, si verificherà frequentemente un certo scarto tra
quello che
è stato precedentemente progettato e quello che effettivamente è stato espresso. Per cui, chi anima
un burattino
ha spesso la sensazione che il suo personaggio "gli prende la mano" come se fosse dotato di una certa
autonomia. Considerare burattini e marionette come un passatempo o come dei giocattolini adatti tutto al
più per i bambini,
è un pregiudizio relativamente recente. Paradossalmente, ci si deve convincere che i bambini sono stati
proprio
le prime vittime di questo pregiudizio che apparentemente avrebbe dovuto favorirli. Esso ha reso più
difficile ogni
riflessione sulle proprietà e le potenzialità di questi strumenti. I burattini attraggono molto i
bambini, sia come
spettacoli sia come giocattoli e questo costituisce una gravissima colpa in una cultura e in una scuola che (pur nel
secolo che ha visto Piaget e Freud) continua lo stesso imperterrita a veicolare una immagine ridicolmente misera
delle capacità dei bambini. Abbiamo dunque un'adulto "che sa", costituito da una grande bocca, e degli
allievi
costituiti da grandi orecchie ai quali si deve trasmettere parole. Per via della nostra mancanza d'umorismo,
della nostra deprimente incapacità di saper rispettare i paradossi, della
nostra smania di suscitare continuamente dicotomie (tra cui le più dannose per i bambini sono:
fantasia/ragione;
gioco/studio; mano/mente; cognitività/affettività; comprensione/espressione;
autoritarismo/permissivismo; ecc.)
ci sfuggono le strategie straordinariamente raffinate messe in atto dai bambini per costruire le loro identità
e la
loro visione del mondo. Finché possono, i bambini non accettano le dicotomie in cui li abbiamo
ingabbiati, fanno di tutto per resistervi,
per rimanere intelligenti, per utilizzare tutte le loro facoltà senza aspettare il nostro permesso. Quando
possono,
si appropriano dunque delle marionette come degli altri linguaggi e, qualora si aiuti il gruppo a risolvere i primi
problemi tecnici di costruzione e di animazione, ne fanno subito uso per una quantità di "far finta" per
loro molto
strutturanti. I bambini, anche i piccoli del Nido, avvertono immediatamente, vedendo un burattino, che ci si
trova di fronte ad
un paradosso interessante. Quando per esempio entra in scena il mio lupo dall'aspetto perfido, i bambini sono
pervasi da un'emozionante inquietudine. Vedono perfettamente che si tratta di un lupo (il che non promette nulla
di buono) e non di un canarino o di un pesciolino rosso. Tuttavia sanno anche che è solo un pezzo di
cartapesta
attaccato a della stoffa, ossia che è finto. Se alcuni accennano a spaventarsi, gli adulti si inteneriscono
sulla
presunta ingenuità infantile dimenticando, nella loro ostinata sottovalutazione dell'infanzia, che anche
loro si
commuovono intensamente al teatro, che hanno paura al cinema o che sobbalzano guardando la televisione, di
fronte cioè a tutto quello che sanno perfettamente essere "finzione". Dunque il burattino
è e congiuntamente non è un lupo. La capacità di sopportare il
paradosso senza volerlo
risolvere immediatamente e a tutti i costi è la premessa necessaria per intendere la natura del burattino.
Si tratta
di una capacità straordinaria ed esclusiva dell'intelligenza umana responsabile del formarsi di ogni cultura,
scienza
o arte; capacità che non nasce in un solo giorno ma che ha bisogno fin dalla nascita di continuo alimento
per
costruirsi. Nella Poetica Aristotele fissa per i secoli successivi cosa è la metafora che
egli considera come la fonte della
conoscenza: "La metafora è il trasferimento del nome di una cosa a un'altra cosa." (Achille è un
leone). Questo
processo rassomiglia molto all'uso che i bambini fanno dei burattini, delle marionette, delle maschere e dei
travestimenti nei loro giochi di "far finta": si tratta di trasferire su un oggetto o un accessorio parte
dell'identità
di un altro essere reale o immaginario. Attraverso questa contrattazione tra idendità, la sua e quella di un
modello
ai suoi occhi pieno di attrattiva, il bambino costruisce e prende coscienza attraverso il gioco di analogie e di
opposizioni, la sua personalità unica e irripetibile. "Giocare" con altre identità è stato
determinante all'alba dell'umanità per accedere alla coscienza: le cerimonie
magico-religiose con maschere e statue animate sono state il ponte gettato tra la natura e la cultura. I giochi di
maschere, travestimenti, bambole, burattini o, in assenza, semplici oggetti comuni ai quali si presta vita, sono
riscoperti da ogni generazione di bambini per motivazioni simili: per fare emergere la propria identità
attraverso
la contrattazione con altre reali o immaginarie. L'uso abituale di marionette (con le ombre, le maschere, i
travestimenti) può dunque essere considerato come una
strategia per esplorare la realtà che ci circonda e procedere nella conoscenza. "Comunicare per simboli
animando
paradossi, non è meno importante che comunicare per parole; qualche volta è il solo
modo di comunicare per il
bambino (Rodari)". Il riavvicinamento operato da Max Black, tra teoria scientifica e metafora, potrebbe forse
permetterci di sfruttare a fondo la possibilità delle "marionette-metafore" di arrivare alla realtà
per mezzo della
finzione. Le paradossali caratteristiche delle marionette permettono di stimolare congiuntamente il dispiegarsi
della fantasia e l'attivazione del senso critico. Il teatrino dovrebbe allora essere visto come una straordinaria
opportunità di ridescrivere il mondo in assoluta libertà, per meglio conoscerlo e padroneggiarlo.
Un'opportunità
per mettere in scena i "se" epistemologici infantili. Ci si potrebbe anche interrogare se questi giochi, qualora non
siano sporadici, non svolgano anche un ruolo nell'esperienza dei bambini per l'acquisizione di capacità
critiche
nei confronti dei messaggi e nel stimolare la scoperta e il padroneggiamento di sempre nuove relazioni tra
realtà
e fantasia, capacità sempre più necessarie e urgenti in un mondo come il nostro. L'animismo,
l'egocentrismo, l'artificialismo, il sostanzialismo, ecc., sono facoltà che ci sono date non per essere
sezionate, amputate o riservate agli specialisti dell'arte ma per saperle integrare con le nostre capacità
razionali.
Oltre agli aspetti cognitivi che abbiamo sottolineato, pensiamo che l'uso abituale delle marionette abbia anche
qualche rapporto con la formazione del senso etico: non aiutare e rispettare questi giochi ne determina presto un
inaridimento con la conseguente incapaciità per gli adulti di sapersi "porre nei panni degli altri".
Potrò sembrare
un ingenuo ma ritengo che tanti fenomeni di violenza, di razzismo, di mancanza di solidarietà e di
indifferenza
alle sofferenze di altri, siano dovuti anche alla nostra non sufficientemente esercitata capacità di sapersi
mettere
"nei panni di un altro". Ma i linguaggi espressivi non possono fare da soli miracoli e risolvere situazioni se
non sono integrati con tutto
il resto delle attività scolastiche. Come diceva, sempre Rodari, la loro finalità nell'educazione non
è perchè
qualcuno diventi artista, ma perchè nessuno sia schiavo. L'immagine che, aiutati anche dalle ricerche
scientifiche,
dobbiamo farci del bambino e delle sue potenzialità, presuppone una scuola che non sia solo preparazione
alla vita,
ma la vita stessa.
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