Rivista Anarchica Online
Musica & idee
a cura di Marco Pandin (marcpan@tin.it)
Voix Vulgaires #2
All'articolo introduttivo dal tono "personale", pubblicato nel numero di maggio, facciamo seguire questa
seconda
ed ultima parte, dai caratteri più "tecnico-informativi". Il tema è lo stesso: come da qualche tempo
annunciato
Marco Pandin ha raccolto una serie di contributi musicali e poetici provenienti da varie parti del mondo ed ha
realizzato una nuova iniziativa discografica a sostegno del nostro giornale. Il cd (oppure cassetta) è
disponibile presso la nostra redazione (vedi la lista di Musica per A) e presso alcuni altri
recapiti di gruppi ed associazioni che ci stanno aiutando nella distribuzione. Ecco una presentazione dell'iniziativa
e, di seguito, una guida all'ascolto di "Voix vulgaires #2".
Un avvertimento. Attenzione. Questa raccolta non è destinata alla
normale vendita: è un'iniziativa a sostegno del mensile anarchico
e pacifista A/Rivista Anarchica. Questa scritta, peraltro l'unica, riportata sulla copertina di ogni confezione
del cd "Voix Vulgaires #2", è nelle
intenzioni molto più di un semplice avvertimento ai consumatori. Lo stesso, ha un significato (soprattutto
politico
e polemico) molto preciso il non aver pubblicato all'esterno della copertina la lista dei nomi dei partecipanti:
significa voler chiarire sin dall'inizio che si è partiti da una diversa origine rispetto a una compilation
musicale
qualsiasi, e che diversa è stata la strada percorsa come diverse sono le intenzioni, le aspirazioni,
l'obiettivo. "Voix Vulgaires" è un progetto iniziato nel 1990: nato come un'iniziativa senza confini
geografici, ideologici o
culturali, vuol essere, sotto la forma di una raccolta di suoni, rumori e parole, un vero e proprio viaggio sulle
deviazioni della musica popolare contemporanea. Un viaggio che si è scelto di fare proprio lontano dalle
strade
principali della cultura di massa, lontano dalle linee dei treni ad alta velocità, via dalle autostrade sempre
uguali,
fuori dagli itinerari pubblicizzati nei dépliant. Un viaggio fatto con il cuore e con la mente, seguendo
tracce
invisibili o inventandone di nuove. Un viaggio in cui si sono incontrate tante persone che non si conoscevano
prima, e che si sono trasformate improvvisamente in compagni di viaggio e sono divenute, alla fine, amici lontani
sempre presenti nei tuoi pensieri e di cui ci si preoccupa e si sente la mancanza.
Sembra un normale cd, ma... "Voix Vulgaires" è anche una raccolta
di alcuni dei nastri che la gente ci ha spedito in questi anni. Non abbiamo
tentato di migliorare la qualità del suono: i vari pezzi sono proprio così come li abbiamo ricevuti.
Sono stati scelti
«per quello che dicono» più che per «come suonano»: ci interessavano le idee che stanno dietro alle
musiche.
Dentro a "Voix vulgaires" c'è di tutto: non c'è un disegno fisso, non sono stati usati dei criteri di
selezione per
genere espressivo musicale (ma tutto questo è stato spiegato l'altra volta...). C'è stata gente
che si è lamentata perchè la qualità delle registrazioni di "F/Ear this!" e "Voix Vulgaires
#1" è
altalenante: a brani registrati bene sono affiancate cose registrate così così se non proprio male.
E' vero, e con
tutta probabilità quelle stesse persone diranno lo stesso di questa e delle prossime uscite. Potrei
riprendere e "aggiornare" un vecchio discorso: critiche simili furono fatte ai Crass a proposito delle loro
compilations "Bullshit detector". Anche questa, esattamente come quelle raccolte non-profit che hanno fatto la
storia dell'anarchismo in musica, non è e non pretende di essere una produzione musicale di lusso.
Nonostante
il formato tecnologico all'avanguardia, questo non è un "normale" compact disc con dentro musica da
consumare.
"Voix vulgaires" è una testimonianza, un documento di «certe cose» (poesie, musica, rumori nella
fattispecie) che
la gente fa, di come e dove la fa: possono essere stanze di casa trasformate in sale prova o i palchi dei centri
sociali, cantine raffazzonate o piccoli studi di registrazione. Nessuno si aspetta che una fanzine assomigli a riviste
come Vogue, quindi perchè mai il suono di Voix Vulgaires dovrebbe essere come quello ultraraffinato
di Michael
Jackson o di Madonna? La musica di questa raccolta non rientra nelle definizioni di «musica alternativa» che
la stampa musicale ci
impone. Non troverete niente di queste musiche nelle classifiche di vendita, difficilmente riuscirete a sentire
qualche frammento di queste musiche attraverso le radio. Nessuno di questi nomi nelle indie charts, nessuna di
queste facce nei giornali specializzati o nei programmi televisivi: i musicisti che partecipano a questa iniziativa
non rientrano nell'immagine del «musicista alternativo» che la televisione e la stampa ci offrono. E ancora, questo
progetto è distante da quello che loro, i mass media, chiamano controcultura. "Voix vulgaires" non
è la schiuma della metropoli né il grido di dolore delle giovani generazioni, non è hip
nè
trash nè pulp, non è malessere sociale né provocazione da salotto televisivo, non è
emarginazione culturale nè
povertà obbligatoria, non fa tendenza e non è punto di riferimento. «Voix vulgaires» non
è etichettabile (non offre indicazioni di uno specifico genere espressivo) nè vendibile
(caratteristica fondamentale: è un'iniziativa a sostegno di un giornale anarcopacifista), nè
commerciabile (non
è distribuito nei normali negozi di dischi). "Voix vulgaires", mi ripeto, ha solo l'aspetto di un normale
compact
disc. Quella che vi proponiamo è una raccolta di suoni, parole e rumori che, a nostro parere, esprimono
il vero
spirito dell'alternativa musicale: protesta, indipendenza, impegno, originalità e assoluta mancanza di
compromessi. Non si scende a patti sulla libertà di espressione.
Niente nomi in copertina: ma, allora, che cosa c'è dentro il disco? La
scelta di non riportare all'esterno della confezione l'elenco dei partecipanti non vuol essere un modo snob per
darvi il brivido dell'imprevisto e tenervi un po' lontani da quello che c'è dentro al cd, ma una maniera
(discutibile,
se vogliamo) per focalizzare l'attenzione su «cosa» piuttosto che su «chi». S'era fatto lo stesso per «F/Ear this!»:
nessun nome in copertina (l'apertura della busta era addirittura chiusa da un adesivo con stampata sopra l'a
cerchiata), tutte le informazioni su chi, cosa, dove e quando stavano dentro il libretto allegato. All'interno di
«Voix Vulgaires #2», proprio come per entrambe le iniziative precedenti, c'è appunto un libretto:
parole, messaggi, i testi, qualche riferimento, le informazioni di base sui vari contributi. Sono stati anche riportati
(quando possibile, e quando richiesto) gli indirizzi per i contatti diretti con i musicisti e poeti partecipanti,
cioè
per un uso non passivo delle informazioni.
Guida all'ascolto. Il numero che identifica ciascuno dei pezzi che seguono
è quello della sequenza «naturale» del cd.
Benvenuta lucciola, dolce regalo fluorescente della notte. Ti chiamerò faro di speranza.
Il sole si spegne
lentamente dietro una collina distante, cade al di là dell'orizzonte di oggi. E' il segno della tua alba.
Stanotte illuminerai il sentiero dei sogni. Benvenute amiche della notte, vi chiamerò fari di speranza.
Stanotte la paura si spegnerà fino ad essere dimenticata, e ci guiderete oltre le stelle. Verso orizzonti
nuovi.
Domani uno sconosciuto entrerà nella mia casa, nella mia caverna di malinconia. Gli offrirò del
pane. Mi
darà buone notizie da lontano. Gli darò dell'acqua. Porterà con sé un dono di
luce.
1. Linton Kwesi Johnson colora le sue parole del sole della Giamaica e della
polvere delle strade di Notting Hill
Gate a Londra, GB. Il ritmo affascinante delle onde del mare e il rumore puzzolente delle automobili negli
ingorghi dell'ora di punta. E' il poeta della rivolta e, insieme, della speranza: le sue canzoni parlano di prigioni
e desolazione, storie di periferie male illuminate da cui domani nascerà la luce vivida della rivoluzione.
La poesia
Beacon of hope (Faro di speranza) è stata scritta originariamente per l'album d'esordio di Peeni Waali
(pubblicato
nel 1990 dall'etichetta indipendente svizzera Mensch e puntualmente recensito su queste pagine). Mensch ha
anche pubblicato su cd i più recenti lavori del poeta, lì approdato dopo il trasloco dalla major
Island.
2. Quello dei Kalahari Surfers di Warrick Sony è un nome "mitico" (e non
sarei poi così convinto di chiudere
questo aggettivo fra virgolette...): un gruppo di sudafricani bianchi, attivisti anti-apartheid che hanno scelto di
combattere, armati di strumenti musicali. Chitarre e sintetizzatori come fucili, canzoni come pallottole. Per questa
scelta politica sono sempre stati costretti all'anonimato ed alla clandestinità: negli anni Ottanta le loro
registrazioni sono state fatte uscire clandestinamente dal Sudafrica per essere pubblicate in Germania ed in
Inghilterra con l'aiuto di Chris Cutler. Il brano End beginnings è tratto da
uno dei loro più recenti album, realizzato in collaborazione col poeta Leseko
Rampolokeng (è stato pubblicato nel 1993 dall'indipendente ReR di Londra). Sempre su
ReR/Recommended sono
disponibili tutti gli altri lavori del gruppo: li potete facilmente trovare tra le altre centinaia di titoli distribuiti dal
Megatalogo di Sarzana, SP.
3. Peeni Waali è un nome già conosciuto da quelli che già
conoscono il primo volume di "Voix vulgaires": è il
nome di un gruppo aperto che ruota attorno a due musicisti svizzeri, Fizzè (già tastierista dei
Nimal) e Dizzi
(percussionista dei Manoeuvres d'Automne). La loro idea è quella di costruire un'alternativa spontanea
ed
impegnata alla "world music da Club Med": unire persone e confrontare mentalità e culture, piuttosto che
giocherellare in uno studio di registrazione con dei nastri rubati a qualche festa popolare e degli strumenti esotici
comprati nei negozi di souvenirs per turisti. Il brano che hanno offerto è un esempio di perfetto riciclaggio
compositivo. Per realizzare From Nigeria to Siberia Fizzé e Dizzi hanno
manipolato in modo inverosimile le
registrazioni originali di un brano dei Manoeuvres d'Automne (che è solo per brevi tratti riconoscibile)
e si sono
avvalsi della collaborazione del poeta nigeriano Monday Longomokheale per la stesura e la recitazione del testo.
Verso la fine dello scorso anno l'indie svizzera Mensch ha pubblicato un cd con una vasta selezione dei lavori
passati ed una manciata di inediti e remix, mentre per quest'anno è in programma la pubblicazione del
nuovo
lavoro "The return of Peeni Waali".
"...Il 1 gennaio 1994 entrava in vigore il Trattato di Libero Scambio tra USA, Canada e Messico,
conosciuto
come N.A.F.T.A., North American Free Trade Agreement, il libero scambio delle merci che ha creato il
più
grande mercato comune del mondo per estensione e numero di potenziali «clienti». Un trattato che condannava
inesorabilmente a morte i dannati di sempre, i contadini del sud, in maggioranza indios che non parlano lo
spagnolo, sopravvissuti in condizioni di spaventosa arretratezza, che coltivano la terra con mezzi arcaici (...).
Sono i discendenti dei maya che consideravano il mais una divinità, perchè provvede a sfamarli
da millenni, il
mais che, con l'accettazione delle spietate leggi di mercato, verrà importato dalle immense aziende
agricole
industrializzate del Kansas e dell'Oklahoma, dove produrlo costa meno che in Messico. (...) Il treno del Grande
Nord ha accelerato la corsa, facendo vorticare le cifre sui tabelloni luminosi della Borsa Valori, ma per fare
ciò
ha dovuto staccare gli ultimi vagoni, i più vecchi e scassati. E il Chiapas, quello dei campesinos
dimenticati da
tutti, è stato abbandonato sul binario morto..." (Pino Cacucci, dall'introduzione a "Io, Marcos", Feltrinelli
1995)
4. Restiamo ancora per un brano nella zona dei "nomi già conosciuti dagli affezionati lettori": da
Montréal,
Québec, ecco i corrosivi Rhythm Activism, vale a dire gli anarco-cabarettisti
Norman Nawrocki e Sylvain Côté.
La loro N.A.F.T.A. Love Song ha le forme di uno sfavillante spot pubblicitario che
descrive il nuovo (e terribile)
sogno americano secondo gli accordi economici che legano Canada, USA e Messico. Il brano è tratto dal
loro
primo cd «Blood and mud» (pubblicato nel 1994 da Les Pages Noires di Montréal, Québec). Da
poco è uscito il
loro nuovo lavoro su cd, intitolato «More kicks!». Tutti i lavori del gruppo (una decina di cassette di ottima
qualità
e diversa durata) sono autoprodotti e pubblicati per Les Pagen Noires, i due cd dovrebbero essere distribuiti in
Europa dagli olandesi terribili della De Konkurrent.
5. Quello che propongono gli Etron Fou Leloublan è l'arrangiamento, fatto
in collaborazione con Fred Frith,
del testo di Boris Vian dal titolo La Java des Bombes Atomiques, su musiche di Alain
Gouraguer. La
registrazione del pezzo è stata fatta in Germania nel 1985, durante le sessions per "Face aux
élements dechainées",
il loro ultimo e bellissimo disco prima dello scioglimento. Questo brano ci è stato concesso, oltre che
naturalmente dai musicisti, da Jürgen Königer dell'indie tedesca Recommen-ded/NoMan'sLand che
l'aveva
pubblicato in un sampler. I vecchi dischi del gruppo, da anni introvabili ed ambita preda dei collezionisti, sono
stati ristampati su cd e raccolti in uno specially priced box (in Italia la distribuzione è a cura del
Megatalogo).
Lei gira e ti porta via, gira senza un dove e ti porta via ti coccola col canto e ti spinge
via, ti insegna la sua voce. Ma quello che ho già scoperto è
il trucco di credere che dentro ogni sogno un uomo si stia sognando che non occorre alzarsi in
piedi per vedersi girare, non serve alzarsi in piedi...
6. Dopo una cassetta d'esordio davvero pirotecnica intercettata su queste pagine di rilancio dalla rivista Usmis,
i Mitili F.L.K. (sta per Furlan Liberation Kongress) hanno pubblicato un cd (attenzione:
dovrebbe essere prevista
in queste settimane l'uscita del secondo) e suonato in molti concerti. Propongono una musica difficilmente
etichettabile, ricca di influenze certo, ma ancor più ricca di originalità. Facendo della vivisezione
sonora a livello
becero, potremmo dire che a volte sembrano un gruppo pop balcanico che suona pezzi degli Area, altre volte una
bizzarra formazione di liscio evoluta verso l'etno-rock, altre volte ancora un'affascinante ensemble jazz-popolare.
Tutto vero, e tutto falso: i Mitili sono i Mitili e basta. Del loro speciale impasto di influenze ed originalità
è un
buon esempio Gjostris, la canzone che ci hanno regalato. Il testo, come del resto l'intero
repertorio del gruppo,
è in lingua friulana: una lingua sorprendentemente duttile e musicale. Il brano è tratto da
"Ratatuie", demotape
del 1993. I cd dei Mitili sono autoprodotti e distribuiti dalla Compagnia Nuove Indie.
7. Caveman Shoestore è il nome di battaglia del gruppo del batterista Henry
Franzoni (all'attivo uno stupefacente
demotape, un 7" ed un cd pubblicati da Tim Kerr a Portland, Oregon USA), del quale fa parte anche Fred
Chalenor, bassista dei compianti Tone Dogs. Darwin was Wrong è un testo amaro, scritto e recitato da
Henry.
8. Quello di Jello Biafra è un nome che dovreste conoscere bene, legato
a doppio filo con il più irriverente e
pericoloso gruppo punk americano, i Dead Kennedys. Impossibilitato a inviare delle nuove registrazioni, Jello
ci ha lasciato scegliere a nostro piacere dalla sua discografia: Vietnam Never Happened! è un pezzo
sconvolgente
di spoken word sulla commercializzazione della guerra, che è stato tratto da "No more cocoons"
(pubblicato nel
1987 dall'Alternative Tentacles di San Francisco USA). Praticamente tutta la produzione musicale di Jello Biafra
e dei Dead Kennedys è disponibile su cd tramite l'Alternative Tentacles, distribuita in Italia grazie a Wide
Records di Pisa. I lavori di spoken word di Biafra sono tutti nell'enorme catalogo di mailorder degli
anarcorivoluzionari scozzesi dell'AK Press.
Combatte per l'Italia, combatte per la Francia, combatte per gli USA. Gli ordini non gli arrivano da
lontano:
arrivano da qui. Arrivano da te e da me, lo capisci? Ancora quanto tempo dovrà passare prima che si
riesca a
fermare la guerra?
9. Dire che Eugene Chadbourne è uno sperimentatore e un ricercatore
è riduttivo. Dire che Eugene Chadbourne
è un virtuoso del suo strumento, la chitarra, è dire solo una piccola parte della verità. Per
spiegare Eugene bisogna
esagerare. E' autore di una discografia eclettica e sconfinata (ricca di dozzine e dozzine di titoli tra album solisti
e collaborazioni, senza contare le innumerevoli cassette autoprodotte), musica senza schemi suonata
indifferentemente in compagnia di sconosciuti e di grandi nomi della radical and improvised music di tutto il
mondo. Il suo è un repertorio che spazia nei più diversi generi musicali e nel tempo: Eugene sa
far rivivere
miracolosamente Hank Williams, Jimi Hendrix e Frank Zappa (che sorridono e benedicono, compiaciuti,
dall'aldilà), mescola pezzi suoi a canzoni di lotta e agli inni dei pacifisti di Woodstock. Mescola rock,
canzonacce
da osteria, pop, folk, canzone sociale, inni, blues. Chi ha avuto la fortuna di assistere ad una sua esibizione dal
vivo sa bene che un concerto di Eugene Chadbourne riserva delle incredibili sorprese: ad esempio il medley
apoplettico tra una versione pseudo-country di "I talk to the wind" dei King Crimson ed una canzone al vetriolo
contro la pornografia e "Mr. Soul" di Neil Young separate da un intervallo per una strabiliante
chitarra-sturalavandino elettrica, o da un assolo di chitarra-rastrello amplificata e distorta. E' da un suo concerto
a Padova del 1989 che è tratta Universal Soldier, un inno antimilitarista
composto sul finire degli anni '60 dalla
songwriter nativa americana Buffy Saint Marie.
Se ti fermi a chiedermi E adesso? Dove adesso? Ti aspetti davvero
che ti dia una risposta? O, più semplicemente, non è dalla tua coscienza che
cerchi una risposta? Io posso soltanto dirti qualcosa, sperando che si riesca a trovare un punto
comune. Nel frattempo noi conosciamo più profondamente noi
stessi e una parte l'uno dell'altro.
10. Questa è l'ultima registrazione ufficiale dei punks anarcopacifisti inglesi
Crass. Un brano molto lungo,
articolato e sofferto: il testo di Ten notes on a Summer's day è stato scritto da
Penny Rimbaud nell'estate del
1984, le musiche composte e registrate l'anno successivo. Si tratta di una composizione strutturalmente
piuttosto complicata e per molti versi atipica: è una ricerca in
territori sonori distanti dal sound che rendeva il loro repertorio così particolare e loro immediatamente
riconoscibili all'ascolto. Nell'intero corso della loro attività i Crass si vennero a collocare in un'inedita ed
inesplorata terra di mezzo tra la vecchia generazione di anarchici e i giovanissimi anarcopunks. L'età
anagrafica
(soprattutto) e la formazione culturale dei vari componenti potevano farli vedere più facilmente come
anarchici
"in senso tradizionale", mentre le strategie di comunicazione ed il linguaggio sonoro del gruppo venivano
essenzialmente rivolti verso le nuove generazioni. Le forme musicali articolate e scomposte di questo pezzo e
soprattutto la forma poetica del testo esprimono il desiderio di voler scavare più a fondo nella filosofia
del punk
e dimostrarne valori e complessità, contrariamente all'immagine riportata dai mass media che si
soffermavano
solo sulla banalità delle musiche e sui tratti culturali più violenti e superficiali. Ten notes
è stata pubblicata nel
1985 solo su un 12" in tiratura limitata: è la prima volta che viene riproposta. Alcuni dei vecchi dischi
dei Crass
sono stati ristampati e commercializzati anche su cd: in Italia sono reperibili, e a prezzo corretto, presso Wide di
Pisa.
11. La canzone offerta da Stefano Giaccone è una versione di
Dante Di Nanni. E' una canzone speciale, per
motivi di cuore se volete. Per quelli che, come me, adesso sono attorno ai quarant'anni quello degli Stormy Six
è un nome ed un ricordo caro. 1975: avevo diciott'anni. I miei primi incontri con la "musica alternativa"
li ho
avuti in occasione di un concerto di Henry Cow ed Etron Fou Leloublan: arrivarono in un paio di vecchi furgoni
poveramente adattati a camper, e si dimostrarono persone semplici ed affascinanti, condivisero il nostro cibo e
ci fecero assaggiare il loro. Non era come agli altri concerti, dove spesso noi si andava "a guardare" e "per
esserci": con loro nonostante la diversità delle lingue si poteva parlare, scambiare delle opinioni, persino
scherzare. La sera, più che ad un concerto sembrava di stare ad una festa, a una specie di circo misterioso
e felice.
Quel pugno di giovani girovaghi offriva suoni e vibrazioni che non avevano nulla a che spartire con la musica
ascoltata prima, ma soprattutto col loro atteggiamento semplice, aperto e sorridente erano riusciti a compiere un
miracolo: i ruoli di "musicista" e "spettatore", le etichette "rock" e "jazz" erano improvvisamente divenute
espressioni del tutto prive di senso. Chris, Fred, Ferdinand e Guigou ci raccontarono che da qualche tempo
si era stabilita una serie di collaborazioni
e contatti tra musicisti di paesi diversi, un'organizzazione che avrebbe in seguito preso il nome di Rock In
Opposition: un manifesto, una bandiera, più che un ombrello sotto cui raccogliersi per ripararsi dalla
pioggia
battente dell'emarginazione. Rock In Opposition aveva una base anche in Italia: un gruppo milanese, gli Stormy
Six. Il loro era un impegno politico reale dichiarato ad alta voce e a muso duro sui palchi dei concerti, sulle
copertine e dentro ai solchi dei dischi e nella pratica della gestione (con metodi e strategie che in qualche modo
anticiparono l'intransigenza del punk) di un'etichetta discografica indipendente, la Cooperativa
L'Orchestra. Stefano Giaccone ha ripreso la storia di Dante Di Nanni da quel
capolavoro che è "Un biglietto del tram", un
album stupendo pubblicato nel 1975. Dopo il fallimento della Cooperativa L'Orchestra il gruppo fu costretto a
pagare (e caro) di tasca propria le scelte coraggiose che avevano contraddistinto pratiche, esistenza e sogni degli
Stormy Six: il fatto di aver ceduto i diritti editoriali a case discografiche estranee alla logica dell'autogestione,
dell'autoproduzione e dell'impegno sociale ha sino a poche settimane fa impedito la riedizione di grande parte
delle loro opere. E che cosa mi resta da dire di Stefano? Che è un amico, un amico vero e caro, un
compagno, che la sua vita è una
costellazione di idee, progetti e sogni, che le sue canzoni hanno disegnato l'aria tutt'attorno alla mia (solo la mia?)
vita di questi ultimi quindici anni.
12. Il primo incontro con i cinesi Blackbird (cinesi di Hong Kong: quando leggerete
queste righe con tutta
probabilità in quella parte del mondo la vita non sarà così tranquilla) l'ho avuto nel 1984,
al Meeting
Internazionale Anarchico di Venezia. Da allora, con le inevitabili pause di silenzio, il rapporto d'amicizia e
collaborazione è sempre stato vivo. History of Hong Kong è un
pezzo costruito su una melodia tradizionale popolare, il testo è stato modificato, reso
adatto ed aggiornanto alla situazione contemporanea. E' tratto da "East is red", uno dei nastri che il gruppo ha
autoprodotto nel 1984. Nel 1995 i Blackbird hanno pubblicato un cd ("Uniracial subversion", recensito
prontamente su queste pagine) che comprende musiche e poesie raccolte durante un loro viaggio attorno al
mondo.
13. Quante cose si sono scritte, quante cose si sono dette su di lui... Quante volte, specialmente in questi
ultimi
anni si è vista la sua faccia sbattuta nei manifesti sopra ai muri, sulle t-shirts e sulle bandiere in piazza:
vita-morte-mito come merce. Una visione tristemente lontana dalle cose per cui il Che aveva combattuto. Si
sentono spesso parlare di lui gli altri: è più raro sentirlo parlare, lui, Ernesto
Guevara, el Che. Questa è una di
quelle rare occasioni: un'intervista breve del 1964, calda, umana, spiritosa, trasmessa dall'emittente KPFA di
Berkeley, California USA, nell'ottobre 1987. Un'intervista che è stata messa qui dentro con la speranza
che
qualche programmatore radiofonico l'ascolti e la usi ancora, magari trasmettendola il prossimo ottobre, quando
saremo a trent'anni di distanza dall'assassinio del Che. E con la speranza, ancora più grande, che queste
parole
restino nell'aria. La registrazione ci è stata inviata da Don Paul della Revolutionary Records di San
Francisco, ed è tratta dalla
raccolta "Till the bars break, a compilation of Black and North American Indian resistance, words and music»
pubblicata da Revolutionary Records nel 1991.
14. Lalli è una delle figure di primo piano della scena underground italiana,
oltre che una cara amica e compagna.
Di lei, e della sua voce, si è detto/scritto tanto anche su queste pagine. Sono più di vent'anni che
Lalli combatte
il grigiore quotidiano con la poesia delle sue canzoni, che scaldano il cuore e la mente di chi le ascolta. Vent'anni
che non pesano sul suo atteggiamento semplice e gentile, sull'entusiasmo che la spinge a tuffarsi in sempre nuove
iniziative e sperimentazioni, sulla disponibilità sorridente che la contraddistingue. Tempo
di Vento è un pezzo
sinora inedito, che la vede accompagnata dalla chitarra elettrica di Mario Congiu.
Hai seguito la tua strada sino alla fine. Chiamavi il trionfo questa fine del cammino. Siamo stati al tuo
fianco,
Buenaventura Durruti, ti abbiamo accompagnato sino alla fine del cammino. Il tuo nome, Buenaventura. Ti
abbiamo creduto sino alla fine, Durruti. Abbiamo creduto al tuo nome d'avventura. Piuttosto che vivere in
ginocchio, meglio morire. Barcellona, 1936. Si spara in calle Fernando, è vicinissimo. Dall'alta sponda
della
nave, cento cannoni bombardano il porto. Buona fortuna, Buenaventura...
15. Avevo contattato Tony Coe tramite Jean Rochard dell'indie francese Disques
Nato per chiedegli
l'autorizzazione all'uso di una sua versione a dir poco stupenda di "Hasta siempre Comandante»: avevo
recuperato la registrazione di Che Guevara tramite Don Paul, e mi sarebbe piaciuto affiancare le due
cose. Jean, disponibilissimo, mi ha parlato però di una montagna di esagerati problemi legali e di
copyright che ha
dovuto affrontare per poter pubblicare quel pezzo: d'accordo con Tony ha allora offerto questa composizione su
Buenaventura Durruti, ritenendo che sarebbe stata perfetta per una compilation a sostegno di una rivista anarchica.
Avevano perfettamente ragione. Il brano è tratto da quel capolavoro che è "Les voix d'Itxassou»,
pubblicato da
Disques Nato nel 1990.
16. Nel 1974 venne pubblicato un disco che, al tempo, non si sapeva proprio come affrontare. Ne aveva
portata
una copia in radio uno dei compagni giramondo che ogni tanto curava le trasmissioni notturne, uno sulle sue, uno
che spariva, girava l'Europa in autostop, poi improvvisamente tornava carico di libri, vestiti, dischi, riviste, storie.
Quel disco mescolava poesia, musica elettronica, suoni e rumori: un collage sonoro furioso ed indescrivibile,
proprio come il collage inquietante (occhi, bolle, pianeti, fiori) che campeggiava in copertina. Quel disco era
"Linguistic leprosy" di Lady June, poetessa e pittrice, la cui rotta artistica era venuta
a collidere con quella del
pianeta Gong e degli asteroidi impazziti Lol Coxhill, Robert Wyatt, Kevin Ayers (tuttora suo vicino di casa
nell'esilio di Maiorca). Connotations è una poesia di qualche anno fa, letta
da una Lady June che non accusa il peso degli anni,
accompagnata alla chitarra acustica da un "menestrello senza nome", un anonimo strumentista vagabondo
incontrato per caso sulla spiaggia di Deya. La registrazione è stata fatta con mezzi di fortuna: sono cose
che
succedono, quando l'arte non è al servizio del mercato, quando la creatività non è in
vendita. Di Lady June è
uscito pochi mesi fa un nuovo album: il secondo in venticinque anni. E rigorosamente autoprodotto.
"...Chi è Marcos? Marcos è un nero in Sudafrica, un omosessuale a San Francisco, un
anarchico in Spagna, un
indio in Messico, un pacifista in Bosnia, un palestinese in Israele, un comunista dopo la fine della guerra fredda,
una donna sola in una notte di Sabato in ogni metropoli messicana, uno studente infelice, un dissidente
nell'economia di mercato, un artista senza galleria e, naturalmente, uno zapatista nel Messico sud-orientale.
Marcos è tutti gli sfruttati, gli emarginati, le minoranze oppresse che resistono e dicono basta... Se volete
vedere
che volto c'è dietro il passamontagna è molto semplice: prendete uno specchio e
guardatevi..."
17. Un viaggio attorno al mondo, a "quel mondo che ci interessa", non è tale senza passare per il
Chiapas. Come
lasciare fuori da "Voix Vulgaires" il Subcomandante Marcos? Ecco il suo discorso
tenuto il 7.1.1996 in
occasione del Foro Especial de Derechos Indigenas, San Cristobal de las Casas, Chiapas, Mexico. Non un
discorso formale, piuttosto una storia, una parabola, una leggenda: la leggenda dei sette arcobaleni. Non c'era
l'intenzione, e neanche la possibilità "tecnica", di fare un discorso formale: Marcos è sbucato dalla
foresta a
cavallo, ha letto questi fogli, è sparito ancora. Dietro a lui i cani da caccia, la CIA, l'esercito e la polizia
messicana. La registrazione ci è stata gentilmente concessa da Massimo Tennenini, che assieme a
Fiamma Montezemolo ha
realizzato il cortometraggio "Gli uomini senza volto".
18. All'inizio di questo pezzo si sente distintamente il vagito di un bambino appena nato. Il rumore della vita
che
comincia, il rumore che prendono le speranze. Anche il testo è un collage di frasi che descrivono il sogno
di un
mondo più bello, più giusto, più tranquillo e pacifico, più colorato. Voci di
bambini e di grandi vecchi (qui dentro
nientemeno che la voce da brivido di Taj Mahal), risate in faccia alle avversità dell'esistenza. Violini
strappacuore, arrangiamenti strappalacrime e melodie strappabudella: Peeni Waali
colpisce al cuore con
Colorace, inno all'arcobaleno delle diversità.
19. E in chiusura? Un frammento bizzarro: una "cosa seria" trattata con spirito giocoso. Non una presa in giro,
sia chiaro, piuttosto un sorriso aperto, una nuvola che spruzza di pioggia una mattina di sole: i
Rhythm Activism
propongono una versione al tempo stesso rigorosa e buffa di Quando l'Anarchia
Verrà. Una maniera un po'
particolare per dire che il gioco continua.
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