Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 27 nr. 238
estate 1997


Rivista Anarchica Online

Anarchismo e cultura proletaria
di Eduardo Colombo

Alcuni momenti di lotta proletaria e di propaganda anarchica nell'Argentina degli anni '40 e '50, nella testimonianza di un militante della FORA protagonista di quell'epoca - poi emigrato in Francia dove vive e lavora come psicoanalista

"Mi sembra giusto e forte. Siamo ancora in molti a osservare inconsciamente questo codice della strada, il solo disinteressato che conosca."

Albert Camus

Fin dalle origini, l'anarchismo in Argentina è stato un movimento essenzialmente operaio. La rappresentazione collettiva che lo sosteneva, ai propri occhi come a quelli degli altri, era incarnata dai poveri, dai diseredati, dai perseguitati, dai "descamisados". (1) La innumerevole moltitudine dei laboriosi produttori di tutti i beni della terra. I "nuovi barbari" del XIX secolo, la "classe pericolosa", la massa proletaria, miserabile e oppressa.
Questo proletariato di fine secolo era escluso dal sistema politico e marginalizzato dal consumo; non aveva né voce, né diritto di voto; né cibo. L'Argentina, con una superficie cinque volte superiore a quella della Francia, all'epoca aveva quattro milioni di abitanti e una forte concentrazione urbana. Un terzo della popolazione era costituita da immigranti.
Nel 1901, nella città di Buenos Aires vivevano 235.000 operai, dei quali il 25% erano disoccupati. I conventillos erano la forma più diffusa di abitazione tra gli umili; ce n'erano tra i 1000 e i 1300, con approssimativamente 35.000 camere, nelle quali vivevano 140.000 persone, vale a dire il 17% della popolazione della città. (2) Fu in seno a questa popolazione operaia che l'anarchismo trovò il suo terreno d'azione e la sua forza espressiva. Là, il movimento anarchico si radicò vigorosamente e creò organizzazioni che durarono nel tempo: Società di resistenza, atenei, biblioteche; decine di gruppi sparsi in tutta la repubblica mantennero un'agitazione costante; vennero pubblicati numerosi libri e opuscoli, centinaia di periodici e, a partire dal 1904, un quotidiano. Nel 1910 apparvero due quotidiani anarchici: "La Protesta" il mattino, "La Batalla" la sera. Grazie al suo atteggiamento diretto e intransigente, l'anarchismo creò la federazione operaia che ebbe il maggiore impatto nel paese: la Federacion Obrera Regional Argentina, FORA.
I vari governi e le classi dirigenti scateneranno contro l'anarchismo una repressione costante, violenta e senza pietà. Ho conosciuto il movimento e mi sono unito a esso negli anni '46-'47. Vivevamo i miasmi mefitici del prolungamento degli anni trenta. Il colpo di Stato del 6 settembre 1930 era stato il prodotto della reazione nazionalista, conservatrice e antioperaia.
Con essa comincia "l'era della sciabola militare" che produrrà circa dodici anni di incessante attività militare e consegnerà il governo del paese nelle mani dell'esercito.
Le conseguenze del colpo di Stato del 1930 sono state terribili per gli anarchici, perché in parte era diretto contro di loro.
Esecuzioni, deportazioni, migliaia di detenuti inviati al bagno penale della Terra del Fuoco. La FORA messa fuori legge e le sue sedi sigillate; processi e condanne a morte. Dopo arriveranno i governi conservatori, l'inganno "patriottico" e la consueta repressione.
Agli inizi del 1943, un gruppo di ufficiali e colonnelli dell'esercito fonda, sotto la sigla GOU, una società segreta; nel 1930 erano stati tutti giovani capitani o comandanti putschisti, e adesso, nel giugno 1943, si trovano in prima fila nell'organizzazione di un nuovo colpo di Stato. Uno di questi ufficiali è il colonnello Péron. Dal ministero del Lavoro e della Previsione, Péron prepara il suo arrivo al "Governo Superiore della Nazione". L'anno 1945 fu duro: stato d'assedio permanente, o quasi, violenta repressione poliziesca delle manifestazioni di opposizione, morti nelle strade. Per la prima volta ho conosciuto le cariche della "cavalleria" (la montada) e l'assassinio di due amici del mio gruppo.
Provenivo dal movimento studentesco, con tutta l'emotività ribelle dell'adolescenza; quando comincio i miei studi di medicina, l'anarchismo, al quale erano legate le mie convinzioni - e che, direi oggi, s'integrava con la mia personalità - mi condusse naturalmente verso il movimento operaio.
In quest'epoca, le Società di resistenza (sindacati) della FORA in attività erano numerose, come per esempio quelle degli operai del porto della capitale, quelle dei panettieri, degli autisti, dei muratori, degli operai calzaturieri, dell'industria del piombo ecc. Péron aveva vinto le elezioni nel 1946, ma il ritorno alla "legalità costituzionale" non cambiò molto per la FORA; le sedi che rimanevano sigillate erano numerose e i libri requisiti dalla polizia riapparivano, qui o là, presso i vari rivenditori di libri usati.
Non ricordo quale ragione mi avesse spinto a prendere parte a una riunione del Consiglio Federale della FORA - se la memoria non m'inganna, nel 1947, o agli inizi del 1948. Si teneva nel locale della Biblioteca José Ingenieros, che ospitava anche la redazione della "Protesta". Sito nel quartiere popolare di Almagro, il locale era stato sigillato dalla polizia, ma si prestava ugualmente a questo genere di riunioni, grazie a un ingresso nascosto in una via laterale. Durante questo periodo la legislazione repressiva si accentua (legge del settembre 1948, chiamata "dell'organizzazione della nazione in tempo di guerra" che facilita il sequestro delle persone in tempo di pace; la Costituzione del 1949 istituzionalizza la giustizia militare; la legge dell'ottobre 1949, chiamata del "desacato", oltraggio a pubblico ufficiale, che penalizza le critiche ai funzionari ecc.) e a partire dagli anni cinquanta diventa molto difficile tenere aperta una sede. A partire da questo momento la stampa anarchica diventa clandestina.
La parte del movimento operaio tradizionalmente riformista e sindacalista era stata integrata al peronismo attraverso l'ufficializzazione della CGT come centrale unica dei lavoratori: l'affiliazione diventerà obbligatoria e la quota al sindacato unico, prelevata direttamente dal salario dal padrone. La FORA si è vista costretta ad accettare la doppia affiliazione, salvo nei "gremios", dove era maggioritaria.
A fine agosto 1948, doveva tenersi a Buenos Aires una Riunione regionale dei delegati della FORA (riunione clandestina che venne sospesa all'ultimo minuto perché alcuni indizi facevano pensare che la polizia fosse stata informata). Io appartenevo alla redazione di un periodico, "PAZ", "organo antireligioso e antimilitarista della FORA del V congresso" e decidemmo di non tener conto degli avvertimenti e di riunirci ugualmente in quel giorno nel locale della FORA.
La Società di resistenza dei conducenti di carri (carretti tirati da cavalli) aveva la propria sede a sud di Barracas; come tutte le case di quei quartieri alla periferia della città, essa era costruita su un unico piano, con un grande patio soleggiato e due sale che davano sulla strada con le loro finestre coloniali. Non si vedevano più carretti in città, ma il sindacato esisteva sempre. Sulle pareti c'erano quadri di cui conservo ancora il ricordo: un dipinto "naïve", realizzato senza dubbio da un compagno del sindacato o del quartiere, che rappresentava la piramide sociale in cerchi sovrapposti, senza prospettiva, sormontata dal borghese panciuto; una fotografia di Radowitzky in piedi, in costume da bagno a Ushuaïa; un'altra foto di Wilckens, nel suo letto d'ospedale; un'altra ancora di Kropotkin.
Ci siamo riuniti là un sabato pomeriggio, e là è arrivata la polizia. Siamo stati condotti prima al commissariato, poi alla Prefettura di Polizia (Dipartimento centrale). Eravamo sette o otto. La memoria ha conservato qualche viso, ma non i nomi, salvo quello di Humberto, ovviamente, e quello di Videla, grande e scuro, che si divertiva perché, vista la sua condizione di muratore, non gli si potevano prendere le impronte digitali. La sera tardi - dopo avere firmato una dichiarazione scritta da noi stessi su un prestampato dove c'erano due caselle: "ideologia" e "religione", che ho riempito con "acrate" e "nessuna" - ci hanno fatto "suonare il piano" e ci hanno preso la sacrosanta foto patibolare del dossier, di fronte, di profilo, con un numero. (A proposito delle impronte digitali, Videla aveva ragione.)
Eravamo all'Orden Gremial, una sezione riservata soprattutto agli anarchici, il cui capo in quel momento era Goldar, sezione che è scomparsa poco tempo dopo. Probabilmente, la mia dichiarazione scritta con le risposte "acrate" e "nessuna", mi risparmiò l'interrogatorio che altri novellini hanno dovuto sopportare. Fino alla mia generazione, era raro trovare un militante anarchico che non fosse stato "schedato" dalla polizia e che non avesse visitato le varie prigioni.
Una volta conclusi i preliminari, ci hanno portati alla "léonera" (gabbia dei leoni), come veniva definita nel gergo della prigione. Dopo avere percorso corridoi e scale, siamo arrivati al piano superiore del Dipartimento di polizia, dove si trovava il padiglione dei detenuti. Una volta superata la doppia griglia dell'ingresso, ci si trovava dinanzi un lungo corridoio, o piccolo patio, rischiarato dalla luce del giorno che filtrava attraverso i vetri del soffitto, dove camminavano o discutevano i detenuti. All'inizio di questo corridoio, a destra, si trovava l'"ufficio" della "guardia", e a sinistra le latrine, poi, lungo i due lati, due o tre aperture senza porte introducevano alla stanza dove si trovavano i letti. Ad attenderci c'era un gruppo di operai dell'industria del piombo, al corrente del nostro arrivo.
Gli altri prigionieri dormivano. Per la maggior parte si trattava di ladri: punguistas e tutto il resto. Qualche giorno dopo sono arrivati uno studente comunista e due altri compagni della FORA; che lavoravano nel settore della macellazione ed erano stati arrestati durante un picnic dell'organizzazione.
Benché non sia in grado di definirne l'ordine cronologico, nella memoria mi sono rimasti numerosi aneddoti indicativi del clima sociale dell'epoca. Un mattino, mentre mi preparavo a scopare per terra, si avvicina un "ladro" e mi dice: "Lascia, lascia, tocca a me..." "Perché?" "Voi non siete come noi... Voi siete in prigione per delle idee." In prigione per delle idee era un valore tra la gens non sancta. Nella sua autobiografia Trotzsky racconta un episodio simile, in una prigione di New York, se non sbaglio.
Al Dipartimento succedeva un'altra cosa che sentivo, ma non riuscivo a vedere. In piedi sul letto e attaccato alle sbarre della piccola finestra, ascoltavo la litania del manyamiento che recitavano al piano di sopra. La parola del lunfardo (il dialetto parteno) "manyamiento" deriva da "mangiare con gli occhi", che esprime l'idea del conoscere, e che si potrebbe tradurre con "riconoscenza". La ronda dei prigionieri passava davanti ai poliziotti che, senza essere visti, memorizzavano le differenti fisionomie, mentre ascoltavano nome e professione (detti con una voce monocorde ma cantata): "Miguel Sousa, cileno, punguista. Juan Perez, argentino, escruchante e descuidista. Fernando Raile, cileno, punguista..." (3)
E così si cantava la lista, per molto tempo. Il vantaggio di questo procedimento era di permettere il loro riconoscimento per la strada e dunque di arrestarli nel giro di pochi giorni, amministrativamente, senza passare per la giustizia. Se racconto questo aneddoto è perché il "manyamiento" veniva applicato solo a due categorie di prigionieri: i ladri e gli anarchici. Nel linguaggio corrente, "avere il manyamiento" significa essere schedato. Nel '48, da poco, questa pratica non veniva più applicata agli anarchici.
Quando scendeva la notte, dopo il "rancho" (la sbobba), venivano spente le luci e rimaneva soltanto una debole illuminazione, si era di fatto costretti ad andare a letto (o giaciglio, se si preferisce). Era l'atteso momento della "conferenza" del giorno. Un ladro - un "comune", come si dice - si metteva di guardia (hacia de "campana") alla porta, controllando, con un sistema di specchi, i movimenti della guardia nel suo posto dove si preparava il mate. Gli altri, ognuno nel proprio letto, ascoltavano o discutevano gli argomenti del relatore del giorno, compito che veniva spesso assegnato a Humberto Correale, per via della sua lunga esperienza. Si discuteva della campagna della FORA per la riduzione dell'orario di lavoro, sullo sfruttamento, la proprietà e il furto, sulla differenza tra il furto del ricco e il furto del povero. In generale, eravamo tutti, ladri e anarchici, soddisfatti.
Così, fra le altre cose, un giorno, dalla griglia esteriore, una voce gridò: "Los anarquistas con todo!" ("Gli anarchici, con tutto!"). Questo "con tutto", secondo l'usanza della prigione, indica la libertà. (4) In un modo o nell'altro la militanza continuò e, obbligati dalla struttura del racconto a scegliere un episodio nello scorrere dei giorni, veniamo all'agosto 1952: sei operai della FORA vengono arrestati e torturati alla sottoprefettura di Boca e Barracas. Era la risposta del governo peronista a uno sciopero dichiarato dalla Società di resistenza degli operai del porto della capitale, per ottenere la riapertura della loro sede, il pagamento della giornata intera all'operaio disabile e denunciare il prelievo, per decisione ufficiale, di una giornata di lavoro "offerta" per la costruzione del monumento a Eva Péron. In seguito vengono le perquisizioni degli appartamenti di altri militanti e membri del Consiglio federale della FORA. Immediatamente viene organizzato un forte movimento di difesa, che mobilita gli anarchici in tutto il paese, fino alla liberazione dei prigionieri, che "erano a disposizione del potere esecutivo".
Dal momento che il Consiglio federale aveva subìto qualche perdita, fu convocata una riunione di militanti che doveva tenersi "da qualche parte nel paese", secondo una formula utilizzata quando la situazione lo esigeva (in realtà, credo che essa abbia avuto luogo a Paso del Rey); là fu eletto un Consiglio di emergenza del quale ho fatto parte.
Dato che la repressione rendeva impossibile l'organizzazione di un congresso, abbiamo deciso di convocare una Riunione regionale dei delegati che ebbe uno svolgimento un po' singolare e che, quando ci si ripensa, oggi, a oltre quarant'anni di distanza, segna, come l'immagine di un'acquaforte, la rottura tra due epoche.
Qualcuno aveva avuto l'idea che una riunione clandestina si potesse tenere sotto gli occhi di tutti - evidentemente nessuno aveva letto, e ci sarebbe stato da stupirsi del contrario, le elucubrazioni di Lacan sulla "Lettera rubata" - e si decise di fare un picnic in un parco, lontano dalla capitale, ma molto frequentato.
Quando ci siamo seduti sull'erba per cominciare la riunione, l'incoerenza con l'ambiente colpì con la forza dell'evidenza. Tutti quegli operai radunati che, era chiaro, non si trovavano in famiglia, la maggior parte vestiti della festa, in abito scuro e cappello nero, alcuni con la cravatta "lavallière", attiravano l'attenzione dei veri e abituali gitanti del fine settimana, che si fermavano per guardare tutte quelle strane persone che chiedevano la parola, sistemati intorno a una cassetta... che serviva a stabilire l'atto della riunione. Per non parlare della presenza dello sbirro di servizio, che aveva il "manyamiento" alla rovescia; e così ci siamo dispersi rapidamente verso una migliore soluzione.
Non pensiate che i compagni avessero l'abitudine di vestirsi in modo stravagante, o che cercassero di differenziarsi dagli altri, come hanno fatto più tardi gli hippie. No, ciascuno nel suo posto e nel proprio ambiente, era un operaio, al limite un intellettuale - ce n'erano alcuni - che nel suo aspetto non si discostava dalla media (ovviamente se non parliamo di idee). Era l'assembramento che produceva l'effetto di una macchia nera su un foglio bianco.
Nel pomeriggio, siamo partiti per strade differenti, verso un nuovo appuntamento, questa volta in un luogo ben isolato. Laddove non c'erano più case, fuori della città, verso sud, prendendo un sentiero che costeggiava un ruscello, prima di giungere a un fiume, nel mezzo di un bosco circondato da qualche vigneto, c'era un deposito nel quale erano immagazzinate delle botti. Vi veniva fatto fermentare un vino giovane, chiamato "vino della costa".
Rapidamente, per avere dei tavoli vennero sistemate delle assi sulle botti e la riunione dei delegati ebbe inizio. Al calar della notte furono accese delle lampade a petrolio e qualche candela, proseguendo in una discussione impegnativa e difficile. Erano tempi maledetti.
Se provate a immaginare oggi le persone che vi ho già descritto, sedute tra e sopra le botti e su qualche sgabello, passando dall'ombra di una luce cattiva a un gesto casuale o a una parola veemente, in quel deposito isolato, il tempo perde i suoi punti di riferimento e si sarebbe potuto credere di essere a una riunione di carbonari, segreta e cospirativa alla Buonarroti, o trasportati alle origini dell'Internazio-nale.
Nel medesimo tempo, la CGT ufficiale e istituzionale, aveva la propria sede in un edificio di più piani, su una grande arteria della capitale; i suoi dirigenti si spostavano su vetture di lusso con autista e guardia del corpo. Primi passi della deriva mafiosa incipiente.
Il contrasto accentua le differenze nell'immaginario collettivo, e l'intronizzazione ufficiale, per quanto fittizia, del popolo, del popolo basso, dei "descamisados", di quella che era la sostanza della FORA, nell'apparato e nel ciarpame del potere peronista, spostò l'organizzazione rivoluzionaria del proletariato verso le correnti sotterranee e clandestine della storia, senza iscrizione nella storiografia alla buona, diffusa dai gruppi dominanti.
Se si può dire che la FORA era l'"organizzazione rivoluzionaria del proletariato" è in funzione di quella integrazione profonda esistente tra le classi povere e l'anarchismo (per integrazione non intendo necessariamente accettazione cosciente dell'idea, ma, piuttosto, una risposta emotiva favorevole, un atteggiamento ricettivo). Questa compenetrazione, in un momento storico particolare - relativa quanto si vuole, ma reale - tra un'idea e una condizione sociale, non avrebbe potuto esistere, a mio avviso, senza la presenza di un elemento pregnante dell'immaginario sociale: un ethos, un'etica. Una norma e un carattere, una norma etica. Max Weber assimila l'ethos a un sistema normativo interiorizzato, a un insieme di massime etiche che organizzano i comportamenti generali di fronte al mondo o alla realtà sociale. Probabilmente, la struttura di base di questo ethos della cultura anarco-proletaria, in opposizione allo "spirito del capitalismo", era costituita dalla forte correlazione o interdipendenza tra mezzi e fini. La dignità della persona era il centro di gravità del militante anarchico.
Davanti al padrone, l'operaio rimaneva in piedi, la testa alta: non domandava vantaggi, esigeva il dovuto. Cento volte, in gioventù, ho letto le pagine di José Ingenieros: "Il pane intinto nell'adulazione, che ingrassa l'uomo servile, avvelena il degno. Questo preferisce perdere il diritto a ottenere un vantaggio; mille danni saranno più lievi che prosperare indegnamente. Ogni ferita è transitoria e può fargli male un'ora; la servitù più leggera gli farà male tutta la vita." (5)
L'operaio era un "proletario", ma prima di tutto era un individuo responsabile. Responsabile nel lavoro; responsabile nello sciopero. Un anarchico era consapevole delle proprie idee, non le nascondeva. Sapeva, quasi per "istinto", come si dice metaforicamente, "che è molto difficile ridurre all'obbedienza colui che non è per nulla interessato a comandare", come ha scritto Jean-Jacques.
Tutto ciò era tradotto in massime semplici che prolungavano il "codice della strada", caro a Camus. Dopo la scuola primaria sapevo che la delazione è la maggiore delle ignominie, che non si colpisce un uomo che è a terra, che la donna si deve rispettare. (6) Ho imparato alla FORA che la "solidarietà non si discute (non si negozia). Si dà". Molte volte ho sentito dire in un'assemblea: "Non proporre niente che non sia pronto a fare tu stesso". Una frase ben nota condannava alla pubblica vergogna colui che "calcava i tappeti rossi". I tappeti rossi erano l'immagine dei ministeri, e la condanna globale di tutti coloro che calcherebbero, erano l'affermazione eclatante dell'azione diretta, uno dei valori centrali del movimento.
Il primo maggio non era un giorno di festa, era un giorno di lotta, di sciopero solidale, di ginnastica rivoluzionaria. Nel 1957, ero redattore della "Protesta" e ho scritto un editoriale per il primo maggio ricordando i "maggi rossi di un tempo, pieni di passione rivoluzionaria". Affermavo che se la volontà non esiste, se l'azione declina, "tutte le conquiste si perdono, anche se si fondano su leggi o costituzioni" e che per dare un senso rivoluzionario alla lotta operaia non esiste che un mezzo: "l'azione diretta del proletariato". (7)
Il tempo, nell'ingranaggio sordo dei giorni, ha, a poco a poco, seppellito nel passato i volti, le azioni, i luoghi. Secondo la legge biologica - alla quale, anche senza dio né padrone, ci si sottomette - i più vecchi sono morti e i più giovani sono diventati vecchi a loro volta. Le generazioni si rinnovano, le idee forti rinascono in condizioni differenti, e gli anarchici, noi continuiamo a coltivare nei suoli duri o fertili, secondo il destino, i vecchi germi di future rivoluzioni.

(traduzione dal francese di Stefano Viviani)

1) Nel 1889, anno in cui Malatesta lascia Buenos Aires, il gruppo "Los Desheredados" (I diseredati) era molto attivo; pubblicava il primo periodico anarchico di lunga durata: "El Perseguido" (Il perseguitato), di tendenza anarco-comunista antiorganizzatrice; sulla sponda opposta degli organizzatori, risposero con "El Oprimido" (L'oppresso). Già nel 1879 usciva "El Descamisado", uno dei primi, se non il primo periodico anarchico dell'Argentina, titolo che Péron riprenderà demagogicamente nel 1945, per designare la massa operaia peronista.
2) Dati presi da Iaàcov Oved, El anarquismo y el movimiento obrero en Argentina, ed. Siglo veintiuno, México, 1978.
3) "Punguista" è colui che pratica la "punga" o furto nelle tasche delle vittime. La voce dialettale è di origine incerta, forse latina, attraverso l'italiano "pungere": pizzicare, dardeggiare. Si dice anche "lanciare" o "gettare la lancia".
"Escruchante" è quello che pratica il furto con effrazione, e "descuidista", come indica il nome, quello che prende quello che ha a portata di mano quando crede di non essere visto.
4) È interessante rilevare attraverso la permanenza di certe pratiche, la lunga durata di un'epoca: troviamo una descrizione simile della leonera e della prigione degli anarchici in un romanzo di Alejandro Sux, Bohemia revolucionaria, pubblicato nel 1909.
5) Ingenieros, José, El hombre mediocre, Editioni Anaconda, Buenos Aires, senza data di pubblicazione, p. 165.
6) L'epoca nascondeva la violenta contraddizione, che oggi non è più possibile ignorare, tra il diffuso "machismo" e l'affermazione ideologica che l'anarchismo faceva della dignità della donna, "pari all'uomo".
7) "La Protesta", n. 8029, Ano LIX. Prima metà di maggio 1957.