Rivista Anarchica Online
Anarchismo e cultura proletaria
di Eduardo Colombo
Alcuni momenti di lotta proletaria e di propaganda anarchica nell'Argentina degli anni '40 e '50, nella
testimonianza di un militante della FORA protagonista di quell'epoca - poi emigrato in Francia dove vive e lavora
come psicoanalista
"Mi sembra giusto e forte. Siamo ancora in molti a osservare inconsciamente
questo codice della strada, il solo
disinteressato che conosca."
Albert Camus
Fin dalle origini, l'anarchismo in Argentina è stato un movimento essenzialmente operaio. La
rappresentazione
collettiva che lo sosteneva, ai propri occhi come a quelli degli altri, era incarnata dai poveri, dai diseredati, dai
perseguitati, dai "descamisados". (1) La innumerevole moltitudine dei laboriosi produttori di tutti i beni della
terra. I "nuovi barbari" del XIX secolo, la "classe pericolosa", la massa proletaria, miserabile e
oppressa. Questo proletariato di fine secolo era escluso dal sistema politico e marginalizzato dal consumo;
non aveva né
voce, né diritto di voto; né cibo. L'Argentina, con una superficie cinque volte superiore a quella
della Francia,
all'epoca aveva quattro milioni di abitanti e una forte concentrazione urbana. Un terzo della popolazione era
costituita da immigranti. Nel 1901, nella città di Buenos Aires vivevano 235.000 operai, dei quali
il 25% erano disoccupati. I conventillos
erano la forma più diffusa di abitazione tra gli umili; ce n'erano tra i 1000 e i 1300, con
approssimativamente
35.000 camere, nelle quali vivevano 140.000 persone, vale a dire il 17% della popolazione della città. (2)
Fu in
seno a questa popolazione operaia che l'anarchismo trovò il suo terreno d'azione e la sua forza espressiva.
Là,
il movimento anarchico si radicò vigorosamente e creò organizzazioni che durarono nel tempo:
Società di
resistenza, atenei, biblioteche; decine di gruppi sparsi in tutta la repubblica mantennero un'agitazione costante;
vennero pubblicati numerosi libri e opuscoli, centinaia di periodici e, a partire dal 1904, un quotidiano. Nel 1910
apparvero due quotidiani anarchici: "La Protesta" il mattino, "La Batalla" la sera. Grazie al suo atteggiamento
diretto e intransigente, l'anarchismo creò la federazione operaia che ebbe il maggiore impatto nel paese:
la
Federacion Obrera Regional Argentina, FORA. I vari governi e le classi dirigenti scateneranno contro
l'anarchismo una repressione costante, violenta e senza
pietà. Ho conosciuto il movimento e mi sono unito a esso negli anni '46-'47. Vivevamo i miasmi mefitici
del
prolungamento degli anni trenta. Il colpo di Stato del 6 settembre 1930 era stato il prodotto della reazione
nazionalista, conservatrice e antioperaia. Con essa comincia "l'era della sciabola militare" che
produrrà circa dodici anni di incessante attività militare e
consegnerà il governo del paese nelle mani dell'esercito. Le conseguenze del colpo di Stato del 1930
sono state terribili per gli anarchici, perché in parte era diretto contro
di loro. Esecuzioni, deportazioni, migliaia di detenuti inviati al bagno penale della Terra del Fuoco. La FORA
messa fuori
legge e le sue sedi sigillate; processi e condanne a morte. Dopo arriveranno i governi conservatori, l'inganno
"patriottico" e la consueta repressione. Agli inizi del 1943, un gruppo di ufficiali e colonnelli dell'esercito
fonda, sotto la sigla GOU, una società segreta;
nel 1930 erano stati tutti giovani capitani o comandanti putschisti, e adesso, nel giugno 1943, si
trovano in prima
fila nell'organizzazione di un nuovo colpo di Stato. Uno di questi ufficiali è il colonnello Péron.
Dal ministero
del Lavoro e della Previsione, Péron prepara il suo arrivo al "Governo Superiore della Nazione". L'anno
1945 fu
duro: stato d'assedio permanente, o quasi, violenta repressione poliziesca delle manifestazioni di opposizione,
morti nelle strade. Per la prima volta ho conosciuto le cariche della "cavalleria" (la montada) e l'assassinio di due
amici del mio gruppo. Provenivo dal movimento studentesco, con tutta l'emotività ribelle
dell'adolescenza; quando comincio i miei studi
di medicina, l'anarchismo, al quale erano legate le mie convinzioni - e che, direi oggi, s'integrava con la mia
personalità - mi condusse naturalmente verso il movimento operaio. In quest'epoca, le Società
di resistenza (sindacati) della FORA in attività erano numerose, come per esempio
quelle degli operai del porto della capitale, quelle dei panettieri, degli autisti, dei muratori, degli operai
calzaturieri, dell'industria del piombo ecc. Péron aveva vinto le elezioni nel 1946, ma il ritorno alla
"legalità
costituzionale" non cambiò molto per la FORA; le sedi che rimanevano sigillate erano numerose e i libri
requisiti
dalla polizia riapparivano, qui o là, presso i vari rivenditori di libri usati. Non ricordo quale ragione
mi avesse spinto a prendere parte a una riunione del Consiglio Federale della FORA
- se la memoria non m'inganna, nel 1947, o agli inizi del 1948. Si teneva nel locale della Biblioteca José
Ingenieros, che ospitava anche la redazione della "Protesta". Sito nel quartiere popolare di Almagro, il locale era
stato sigillato dalla polizia, ma si prestava ugualmente a questo genere di riunioni, grazie a un ingresso nascosto
in una via laterale. Durante questo periodo la legislazione repressiva si accentua (legge del settembre 1948,
chiamata "dell'organizzazione della nazione in tempo di guerra" che facilita il sequestro delle persone in tempo
di pace; la Costituzione del 1949 istituzionalizza la giustizia militare; la legge dell'ottobre 1949, chiamata del
"desacato", oltraggio a pubblico ufficiale, che penalizza le critiche ai funzionari ecc.) e a partire dagli anni
cinquanta diventa molto difficile tenere aperta una sede. A partire da questo momento la stampa anarchica diventa
clandestina. La parte del movimento operaio tradizionalmente riformista e sindacalista era stata integrata al
peronismo
attraverso l'ufficializzazione della CGT come centrale unica dei lavoratori: l'affiliazione diventerà
obbligatoria
e la quota al sindacato unico, prelevata direttamente dal salario dal padrone. La FORA si è vista costretta
ad
accettare la doppia affiliazione, salvo nei "gremios", dove era maggioritaria. A fine agosto 1948, doveva
tenersi a Buenos Aires una Riunione regionale dei delegati della FORA (riunione
clandestina che venne sospesa all'ultimo minuto perché alcuni indizi facevano pensare che la polizia fosse
stata
informata). Io appartenevo alla redazione di un periodico, "PAZ", "organo antireligioso e antimilitarista della
FORA del V congresso" e decidemmo di non tener conto degli avvertimenti e di riunirci ugualmente in quel
giorno nel locale della FORA. La Società di resistenza dei conducenti di carri (carretti tirati da
cavalli) aveva la propria sede a sud di Barracas;
come tutte le case di quei quartieri alla periferia della città, essa era costruita su un unico piano, con un
grande
patio soleggiato e due sale che davano sulla strada con le loro finestre coloniali. Non si vedevano più
carretti in
città, ma il sindacato esisteva sempre. Sulle pareti c'erano quadri di cui conservo ancora il ricordo: un
dipinto
"naïve", realizzato senza dubbio da un compagno del sindacato o del quartiere, che rappresentava la
piramide
sociale in cerchi sovrapposti, senza prospettiva, sormontata dal borghese panciuto; una fotografia di Radowitzky
in piedi, in costume da bagno a Ushuaïa; un'altra foto di Wilckens, nel suo letto d'ospedale; un'altra ancora
di
Kropotkin. Ci siamo riuniti là un sabato pomeriggio, e là è arrivata la polizia. Siamo
stati condotti prima al commissariato,
poi alla Prefettura di Polizia (Dipartimento centrale). Eravamo sette o otto. La memoria ha conservato qualche
viso, ma non i nomi, salvo quello di Humberto, ovviamente, e quello di Videla, grande e scuro, che si divertiva
perché, vista la sua condizione di muratore, non gli si potevano prendere le impronte digitali. La sera tardi
- dopo
avere firmato una dichiarazione scritta da noi stessi su un prestampato dove c'erano due caselle: "ideologia" e
"religione", che ho riempito con "acrate" e "nessuna" - ci hanno fatto "suonare il piano" e ci hanno preso la
sacrosanta foto patibolare del dossier, di fronte, di profilo, con un numero. (A proposito delle impronte digitali,
Videla aveva ragione.) Eravamo all'Orden Gremial, una sezione riservata soprattutto agli anarchici, il cui capo
in quel momento era
Goldar, sezione che è scomparsa poco tempo dopo. Probabilmente, la mia dichiarazione scritta con le
risposte
"acrate" e "nessuna", mi risparmiò l'interrogatorio che altri novellini hanno dovuto sopportare. Fino alla
mia
generazione, era raro trovare un militante anarchico che non fosse stato "schedato" dalla polizia e che non avesse
visitato le varie prigioni. Una volta conclusi i preliminari, ci hanno portati alla "léonera" (gabbia dei
leoni), come veniva definita nel gergo
della prigione. Dopo avere percorso corridoi e scale, siamo arrivati al piano superiore del Dipartimento di polizia,
dove si trovava il padiglione dei detenuti. Una volta superata la doppia griglia dell'ingresso, ci si trovava dinanzi
un lungo corridoio, o piccolo patio, rischiarato dalla luce del giorno che filtrava attraverso i vetri del soffitto, dove
camminavano o discutevano i detenuti. All'inizio di questo corridoio, a destra, si trovava l'"ufficio" della
"guardia", e a sinistra le latrine, poi, lungo i due lati, due o tre aperture senza porte introducevano alla stanza dove
si trovavano i letti. Ad attenderci c'era un gruppo di operai dell'industria del piombo, al corrente del nostro
arrivo. Gli altri prigionieri dormivano. Per la maggior parte si trattava di ladri: punguistas e tutto
il resto. Qualche giorno
dopo sono arrivati uno studente comunista e due altri compagni della FORA; che lavoravano nel settore della
macellazione ed erano stati arrestati durante un picnic dell'organizzazione. Benché non sia in grado
di definirne l'ordine cronologico, nella memoria mi sono rimasti numerosi aneddoti
indicativi del clima sociale dell'epoca. Un mattino, mentre mi preparavo a scopare per terra, si avvicina un "ladro"
e mi dice: "Lascia, lascia, tocca a me..." "Perché?" "Voi non siete come noi... Voi siete in prigione per
delle idee."
In prigione per delle idee era un valore tra la gens non sancta. Nella sua autobiografia Trotzsky
racconta un
episodio simile, in una prigione di New York, se non sbaglio. Al Dipartimento succedeva un'altra cosa che
sentivo, ma non riuscivo a vedere. In piedi sul letto e attaccato alle
sbarre della piccola finestra, ascoltavo la litania del manyamiento che recitavano al piano di sopra.
La parola del
lunfardo (il dialetto parteno) "manyamiento" deriva da "mangiare con gli occhi", che esprime l'idea
del conoscere,
e che si potrebbe tradurre con "riconoscenza". La ronda dei prigionieri passava davanti ai poliziotti che, senza
essere visti, memorizzavano le differenti fisionomie, mentre ascoltavano nome e professione (detti con una voce
monocorde ma cantata): "Miguel Sousa, cileno, punguista. Juan Perez, argentino,
escruchante e descuidista.
Fernando Raile, cileno, punguista..." (3) E così si cantava la lista, per molto tempo. Il
vantaggio di questo procedimento era di permettere il loro
riconoscimento per la strada e dunque di arrestarli nel giro di pochi giorni, amministrativamente, senza passare
per la giustizia. Se racconto questo aneddoto è perché il "manyamiento" veniva applicato solo a
due categorie di
prigionieri: i ladri e gli anarchici. Nel linguaggio corrente, "avere il manyamiento" significa essere schedato. Nel
'48, da poco, questa pratica non veniva più applicata agli anarchici. Quando scendeva la notte, dopo
il "rancho" (la sbobba), venivano spente le luci e rimaneva soltanto una debole
illuminazione, si era di fatto costretti ad andare a letto (o giaciglio, se si preferisce). Era l'atteso momento della
"conferenza" del giorno. Un ladro - un "comune", come si dice - si metteva di guardia (hacia de "campana") alla
porta, controllando, con un sistema di specchi, i movimenti della guardia nel suo posto dove si preparava il
mate.
Gli altri, ognuno nel proprio letto, ascoltavano o discutevano gli argomenti del relatore del giorno, compito che
veniva spesso assegnato a Humberto Correale, per via della sua lunga esperienza. Si discuteva della campagna
della FORA per la riduzione dell'orario di lavoro, sullo sfruttamento, la proprietà e il furto, sulla
differenza tra
il furto del ricco e il furto del povero. In generale, eravamo tutti, ladri e anarchici, soddisfatti. Così,
fra le altre cose, un giorno, dalla griglia esteriore, una voce gridò: "Los anarquistas con todo!" ("Gli
anarchici, con tutto!"). Questo "con tutto", secondo l'usanza della prigione, indica la libertà. (4) In un
modo o
nell'altro la militanza continuò e, obbligati dalla struttura del racconto a scegliere un episodio nello
scorrere dei
giorni, veniamo all'agosto 1952: sei operai della FORA vengono arrestati e torturati alla sottoprefettura di Boca
e Barracas. Era la risposta del governo peronista a uno sciopero dichiarato dalla Società di resistenza
degli operai
del porto della capitale, per ottenere la riapertura della loro sede, il pagamento della giornata intera all'operaio
disabile e denunciare il prelievo, per decisione ufficiale, di una giornata di lavoro "offerta" per la costruzione del
monumento a Eva Péron. In seguito vengono le perquisizioni degli appartamenti di altri militanti e
membri del
Consiglio federale della FORA. Immediatamente viene organizzato un forte movimento di difesa, che mobilita
gli anarchici in tutto il paese, fino alla liberazione dei prigionieri, che "erano a disposizione del potere
esecutivo". Dal momento che il Consiglio federale aveva subìto qualche perdita, fu convocata una
riunione di militanti che
doveva tenersi "da qualche parte nel paese", secondo una formula utilizzata quando la situazione lo esigeva (in
realtà, credo che essa abbia avuto luogo a Paso del Rey); là fu eletto un Consiglio di emergenza
del quale ho fatto
parte. Dato che la repressione rendeva impossibile l'organizzazione di un congresso, abbiamo deciso di
convocare una
Riunione regionale dei delegati che ebbe uno svolgimento un po' singolare e che, quando ci si ripensa, oggi, a
oltre quarant'anni di distanza, segna, come l'immagine di un'acquaforte, la rottura tra due epoche. Qualcuno
aveva avuto l'idea che una riunione clandestina si potesse tenere sotto gli occhi di tutti - evidentemente
nessuno aveva letto, e ci sarebbe stato da stupirsi del contrario, le elucubrazioni di Lacan sulla "Lettera rubata"
- e si decise di fare un picnic in un parco, lontano dalla capitale, ma molto frequentato. Quando ci siamo
seduti sull'erba per cominciare la riunione, l'incoerenza con l'ambiente colpì con la forza
dell'evidenza. Tutti quegli operai radunati che, era chiaro, non si trovavano in famiglia, la maggior parte vestiti
della festa, in abito scuro e cappello nero, alcuni con la cravatta "lavallière", attiravano l'attenzione dei
veri e
abituali gitanti del fine settimana, che si fermavano per guardare tutte quelle strane persone che chiedevano la
parola, sistemati intorno a una cassetta... che serviva a stabilire l'atto della riunione. Per non parlare della presenza
dello sbirro di servizio, che aveva il "manyamiento" alla rovescia; e così ci siamo dispersi rapidamente
verso una
migliore soluzione. Non pensiate che i compagni avessero l'abitudine di vestirsi in modo stravagante, o che
cercassero di
differenziarsi dagli altri, come hanno fatto più tardi gli hippie. No, ciascuno nel suo posto e nel proprio
ambiente,
era un operaio, al limite un intellettuale - ce n'erano alcuni - che nel suo aspetto non si discostava dalla media
(ovviamente se non parliamo di idee). Era l'assembramento che produceva l'effetto di una macchia nera su un
foglio bianco. Nel pomeriggio, siamo partiti per strade differenti, verso un nuovo appuntamento, questa volta
in un luogo ben
isolato. Laddove non c'erano più case, fuori della città, verso sud, prendendo un sentiero che
costeggiava un
ruscello, prima di giungere a un fiume, nel mezzo di un bosco circondato da qualche vigneto, c'era un deposito
nel quale erano immagazzinate delle botti. Vi veniva fatto fermentare un vino giovane, chiamato "vino della
costa". Rapidamente, per avere dei tavoli vennero sistemate delle assi sulle botti e la riunione dei delegati
ebbe inizio.
Al calar della notte furono accese delle lampade a petrolio e qualche candela, proseguendo in una discussione
impegnativa e difficile. Erano tempi maledetti. Se provate a immaginare oggi le persone che vi ho già
descritto, sedute tra e sopra le botti e su qualche sgabello,
passando dall'ombra di una luce cattiva a un gesto casuale o a una parola veemente, in quel deposito isolato, il
tempo perde i suoi punti di riferimento e si sarebbe potuto credere di essere a una riunione di carbonari, segreta
e cospirativa alla Buonarroti, o trasportati alle origini dell'Internazio-nale. Nel medesimo tempo, la CGT
ufficiale e istituzionale, aveva la propria sede in un edificio di più piani, su una
grande arteria della capitale; i suoi dirigenti si spostavano su vetture di lusso con autista e guardia del corpo. Primi
passi della deriva mafiosa incipiente. Il contrasto accentua le differenze nell'immaginario collettivo, e
l'intronizzazione ufficiale, per quanto fittizia,
del popolo, del popolo basso, dei "descamisados", di quella che era la sostanza della FORA, nell'apparato e nel
ciarpame del potere peronista, spostò l'organizzazione rivoluzionaria del proletariato verso
le correnti sotterranee
e clandestine della storia, senza iscrizione nella storiografia alla buona, diffusa dai gruppi dominanti. Se si
può dire che la FORA era l'"organizzazione rivoluzionaria del proletariato" è in funzione di quella
integrazione profonda esistente tra le classi povere e l'anarchismo (per integrazione non intendo necessariamente
accettazione cosciente dell'idea, ma, piuttosto, una risposta emotiva favorevole, un atteggiamento ricettivo).
Questa compenetrazione, in un momento storico particolare - relativa quanto si vuole, ma reale - tra un'idea e una
condizione sociale, non avrebbe potuto esistere, a mio avviso, senza la presenza di un elemento pregnante
dell'immaginario sociale: un ethos, un'etica. Una norma e un carattere, una norma
etica. Max Weber assimila
l'ethos a un sistema normativo interiorizzato, a un insieme di massime etiche che organizzano i
comportamenti
generali di fronte al mondo o alla realtà sociale. Probabilmente, la struttura di base di questo
ethos della cultura
anarco-proletaria, in opposizione allo "spirito del capitalismo", era costituita dalla forte correlazione o
interdipendenza tra mezzi e fini. La dignità della persona era il centro di gravità del militante
anarchico. Davanti al padrone, l'operaio rimaneva in piedi, la testa alta: non domandava vantaggi, esigeva
il dovuto. Cento
volte, in gioventù, ho letto le pagine di José Ingenieros: "Il pane intinto nell'adulazione, che
ingrassa l'uomo
servile, avvelena il degno. Questo preferisce perdere il diritto a ottenere un vantaggio; mille danni saranno
più
lievi che prosperare indegnamente. Ogni ferita è transitoria e può fargli male un'ora; la
servitù più leggera gli farà
male tutta la vita." (5) L'operaio era un "proletario", ma prima di tutto era un individuo responsabile.
Responsabile nel lavoro;
responsabile nello sciopero. Un anarchico era consapevole delle proprie idee, non le nascondeva. Sapeva, quasi
per "istinto", come si dice metaforicamente, "che è molto difficile ridurre all'obbedienza colui che non
è per nulla
interessato a comandare", come ha scritto Jean-Jacques. Tutto ciò era tradotto in massime semplici
che prolungavano il "codice della strada", caro a Camus. Dopo la
scuola primaria sapevo che la delazione è la maggiore delle ignominie, che non si colpisce un uomo che
è a terra,
che la donna si deve rispettare. (6) Ho imparato alla FORA che la "solidarietà non si discute (non si
negozia). Si
dà". Molte volte ho sentito dire in un'assemblea: "Non proporre niente che non sia pronto a fare tu stesso".
Una
frase ben nota condannava alla pubblica vergogna colui che "calcava i tappeti rossi". I tappeti rossi erano
l'immagine dei ministeri, e la condanna globale di tutti coloro che calcherebbero, erano l'affermazione eclatante
dell'azione diretta, uno dei valori centrali del movimento. Il primo maggio non era un giorno di festa, era un
giorno di lotta, di sciopero solidale, di ginnastica rivoluzionaria.
Nel 1957, ero redattore della "Protesta" e ho scritto un editoriale per il primo maggio ricordando i "maggi rossi
di un tempo, pieni di passione rivoluzionaria". Affermavo che se la volontà non esiste, se l'azione declina,
"tutte
le conquiste si perdono, anche se si fondano su leggi o costituzioni" e che per dare un senso rivoluzionario alla
lotta operaia non esiste che un mezzo: "l'azione diretta del proletariato". (7) Il tempo, nell'ingranaggio sordo
dei giorni, ha, a poco a poco, seppellito nel passato i volti, le azioni, i luoghi.
Secondo la legge biologica - alla quale, anche senza dio né padrone, ci si sottomette - i più vecchi
sono morti e
i più giovani sono diventati vecchi a loro volta. Le generazioni si rinnovano, le idee forti rinascono in
condizioni
differenti, e gli anarchici, noi continuiamo a coltivare nei suoli duri o fertili, secondo il destino, i vecchi germi
di future rivoluzioni.
(traduzione dal francese di Stefano Viviani)
1) Nel 1889, anno in cui Malatesta lascia Buenos Aires, il gruppo "Los Desheredados" (I
diseredati) era molto
attivo; pubblicava il primo periodico anarchico di lunga durata: "El Perseguido" (Il perseguitato), di tendenza
anarco-comunista antiorganizzatrice; sulla sponda opposta degli organizzatori, risposero con "El Oprimido"
(L'oppresso). Già nel 1879 usciva "El Descamisado", uno dei primi, se non il primo periodico anarchico
dell'Argentina, titolo che Péron riprenderà demagogicamente nel 1945, per designare la massa
operaia peronista. 2) Dati presi da Iaàcov Oved, El anarquismo y el movimiento obrero en
Argentina, ed. Siglo veintiuno, México,
1978. 3) "Punguista" è colui che pratica la "punga" o furto nelle tasche delle vittime. La voce
dialettale è di origine
incerta, forse latina, attraverso l'italiano "pungere": pizzicare, dardeggiare. Si dice anche "lanciare" o "gettare la
lancia". "Escruchante" è quello che pratica il furto con effrazione, e "descuidista", come indica il
nome, quello che prende
quello che ha a portata di mano quando crede di non essere visto. 4) È interessante rilevare attraverso
la permanenza di certe pratiche, la lunga durata di un'epoca: troviamo una
descrizione simile della leonera e della prigione degli anarchici in un romanzo di Alejandro Sux, Bohemia
revolucionaria, pubblicato nel 1909. 5) Ingenieros, José, El hombre mediocre,
Editioni Anaconda, Buenos Aires, senza data di pubblicazione, p. 165. 6) L'epoca nascondeva la violenta
contraddizione, che oggi non è più possibile ignorare, tra il diffuso "machismo"
e l'affermazione ideologica che l'anarchismo faceva della dignità della donna, "pari all'uomo". 7) "La
Protesta", n. 8029, Ano LIX. Prima metà di maggio 1957.
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