Rivista Anarchica Online
Utopia vuol dire che non vogliono farlo
traduzione di Stefano Viviani
In un'intervista del '67 alcune linee-base del Goodman-pensiero
Paul Goodman risponde alle domande di Roger Barnard, Bob Overy e Colin Ward.
Roger Barnard: La maggior parte delle persone sembra immaginarti come un «pensatore
utopista», e infatti uno dei
tuoi libri s'intitola Utopian Essays and Practical Proposals. Invece per quanto ne
so, tu stesso ti sei definito in più
di un'occasione un «pragmatista». Si tratta di una contraddizione, o tu la vedi diversamente?
Paul Goodman: Be', io non sono certo un utopista nel senso convenzionale del termine. Ad ogni modo,
la gente che usa
la parola utopia in genere la usa come fosse un anatema. Utopico significa che non vogliono farlo! Capisci,
fondamentalmente non sono interessati, hanno altro in mente. Ma se con utopia intendiamo che qualcuno ha una nozione
preconcetta su come dovrebbe essere a grandi linee il mondo, e desidera imporla ad altre persone, penso che questo sia
fascismo. Non m'interessa. Mi sembra un'oppressione assoluta. In realtà ci sono davvero molte cose che nella
presente situazione potrebbero essere fatte molto meglio, con maggiore
convenienza e molto più semplicemente. In genere ciò richiede un atto di volontà o di potere
politico. Come possiamo fare
per convincere il potere politico per fare anche le piccole cose: per esempio prendere il denaro che viene utilizzato per il
sistema scolastico pubblico di New York e dividerlo per migliaia di piccole scuole indipendenti? Questo sarebbe molto
meglio di quello abbiamo ora. Non costerebbe di più, non richiederebbe altri insegnati e così via. Vedi,
non vi è nulla di
«utopistico» in questo genere di schema, eccetto che non hanno intenzione di farlo! È una
questione di potere. Ovviamente, è anche una questione di azione politica. Ora, io ho un rapporto terribile con la
politica. Invece, a chi lo fa di professione puoi dire: ascolta, il modo di farlo è questo, adesso vai e fallo. Allora
lui ti
risponde: ma per questo ci vuole potere. Certo che ci vuole potere. Dunque prendiamoci il potere! C'è
qualcos'altro che posso fare. È una specie di trucco. Gli americani - e sono abbastanza sicuro che vale in tutte le
tecnologie avanzate - sono assolutamente illusi dall'idea che il modo in cui le cose vengono fatte oggi è inevitabile,
e che
non si può fare nulla, a causa della complessità della tecnologia moderna, dell'urbanizzazione galoppante,
dell'esplosione
demografica, della rivolta del Terzo Mondo e così via. Questi sono inganni. Dunque, per cercare di sciogliere un
po' gli
americani dal punto di vista psicologico, mi sono allenato a escogitare un certo numero di schemi scervellati su ogni
questione. Come dire: pensi che questo sia l'unico modo di farlo? Non è così. Si può fare anche
in questo modo, guarda,
oppure in quest'altro, visto. Ora, a me non interessano granché questi schemi in sè stessi, capisci, se non
politicamente:
mi piace formularne di interessanti. Ma psicologicamente il punto è lasciare vedere, per esempio, che questa
eccessiva
centralizzazione non è necessaria. Non riesce nemmeno a essere all'altezza della sua stessa giustificazione, vale
a dire,
essere efficiente. Così devi tirare fuori dalla tua testa dei piccoli modelli. Questo non significa che tu debba
necessariamente suggerire questi modelli per l'applicazione. Quello che fai è semplicemente dire: ascolta, riflettici
su. Naturalmente, a volte ciò comporta delle conseguenze. Prendi, per esempio, gli Students for a Democratic
Society. Il loro
manifesto di fondazione, il Port Huron Statement, era stato tratto quasi interamente da un paio di miei libri.
Ma poi sono
arrivate anche alcune idee decentraliste. E non sono idee mie che loro hanno ripreso. Le loro idee sono specifiche per quella
data situazione, come d'altronde dev'essere. Se vuoi sapere come fare assistenza sociale in alcune piccole città
americane,
non ti metti a leggere un po' di teoria e non ci pensi a priori. Osservi la gente. E guardi quello di cui
c'è bisogno. Ma il fatto
che si possa fare sulla base di un decentramento, questo sembra glielo abbia insegnato io. Ora, se prendi un po' dei miei
schemi alla lettera, seriamente, come qualcosa da fare e sviluppare davvero, forse si potrebbero definire «utopici». Ma
questo non m'interessa. In realtà penso sarebbe perverso spiegarli nel dettaglio, infliggerli alla gente. È
chiaro?
RB: Sì. In effetti, è vero allora che ti vedi più come una sorta di
catalizzatore attivante?
PG: Questo è giusto. Ma poi ci sono molte altre cose che sono davvero terribilmente semplici,
e basterebbe fare. Per
esempio, prendi il nostro Off-Broadway Theatre di New York. Per un certo tempo, quando c'erano i Beck, quello era il
teatro migliore che si potesse desiderare. Ma avevamo fatto tutto di testa nostra. Julian Beck e io ci eravamo trovati e
avevamo detto: ok, non possiamo avere un teatro, useremo qualcos'altro. Julian è molto intraprendente, e ha trovato
un
vecchio grande magazzino. Ok, lo ristruttureremo. Così ci siamo ritrovati tutti lì, abbiamo cominciato a
mettere i primi
mattoni e a dedicarci il tempo che avevamo e quello è diventato il Living Theatre. Cosa c'era di «utopico» in tutto
questo?
Adesso molte persone direbbero: è impossibile, capisci, ci sono troppe pressioni commerciali nella zona di
Broadway e
via con l'elenco. Ma queste sono solo un mucchio di stronzate. Non è affatto impossibile. Se ne parli, è
Utopia. Se vai e
lo fai, certamente non è Utopia.
RB: Cosa pensi dell'idea che, nelle sue piccole dimensioni, questo genere di progetto
fai-da-te possa in qualche modo
minare le strutture del potere?
PG: Be', penso che se usi questo come tuo scopo, è perverso. Dovremmo fare tutto per il piacere
di farlo. Come diceva
Lawrence: fate una rivoluzione per divertimento, questo è tutto. Che è come dire, non voglio
strumentalizzare i ragazzi
svantaggiati del Lower East Side per cercare di minare il sistema. Voglio educarli, punto. Poi, se il processo di educazione
porta a minare il sistema, tanto meglio. Ma penso che tutti gli altri modi di procedere siano illegittimi. Mi spiego,
sacrificare il tempo e il cervello e il talento e le energie e i figli della gente per i propri scopi, o meglio, per qualunque
dannato scopo lontano dalla gente reale, è perverso. Tuttavia, lasciami dire che oggi, in America, se fai qualsiasi
cosa di
sensato è sempre rivoluzionario. Qualsiasi cosa! E bisogna farla! Ma c'è un altro aspetto del problema.
Se prendiamo, per esempio, una cosa come la guerra del Vietnam, dove siamo andati
davvero a torturare e a fare impazzire la gente, allora devi impegnarti a fermarla. Può essere noioso, ma questo non
toglie
che devi farlo. Non possiamo permettere che degli avieri sgancino bombe sulle teste di povera gente. Non c'è
assolutamente
nulla di divertente nel bruciare la propria cartolina precetto, o nello stare rinchiuso in prigione, o nel farsi malmenare
durante una manifestazione, o altro. Ma non hai scelta. Capisci? Queste sono questioni diverse. Cioè, se sei
impegnato in
qualche impresa, lo fai perché ti fa piacere, e se si tratta di una buona impresa porterà necessariamente a
un mondo
migliore. Dall'altra parte, quando sta succedendo qualcosa di diabolico, come la guerra nel Vietnam, devi cercare di
fermarla. Questo è un punto che a Errico Malatesta stava molto a cuore. Se ci avessero lasciato in pace, allora
saremmo
a posto. Ma non vogliono lasciarci in pace! Ad ogni modo, Malatesta vedeva chiaramente la linea sottile che ci separa dalla
violenza: se ci lasciassero in pace, non saremmo violenti. Ma non hanno nessuna intenzione di togliersi dai piedi. Insistono
con le loro tasse ecc., per pagare le bombe. Ma noi non vogliamo quella roba. Quindi, non paghiamo le tasse. Io sono un
obiettore fiscale, ma non siamo abbastanza. Per funzionare il potere dovrebbe essere sempre strettamente legato alla
funzione. Le cose vanno davvero male quando c'è
un seggio di potere astratto che finisce per esercitare che si sviluppa svolgendo funzioni. Il potere dovrebbe essere davvero
strettamente correlato a ciò che è necessario per svolgere la funzione. In altre parole, se voglio dello spazio
per fare del
teatro, dell'attività, o una riunione scolastica o qualcos'altro del genere, voglio tutto il potere che occorre per
garantirmi
il libero accesso a quello spazio quando lo sto usando, e non di più. E quando non lo sto usando, allora non dovrei
avere
nessun potere su di esso. Meglio di così credo che non lo potrei spiegare.
Colin Ward: E rispetto all'erosione del potere di coloro che lo detengono?
PG: Se impediscono alla funzione naturale di procedere, come di fatto fanno costantemente, allora lo
devi erodere. Non
hai scelta. Se non vogliono che la vita vada avanti, devi fermarli. Ma naturalmente questo non significa che devi sostituire
il loro potere. Significa che devi sbarazzarti del loro potere così che tutti abbiano meno potere possibile.
RB: È come dire che devi fare delle incursioni nel loro potere con la tua
libertà, o sbaglio, ed estendere le sfere della
libera azione fino a che, si spera, non costituiranno la gran parte della vita sociale?
PG: Sì, questo è un altro modo di guardare il problema, ma davvero non potrebbe
importarmene un accidenti, almeno fino
a che non si mettono a uccidere i contadini.
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