Rivista Anarchica Online
Goodman per me
a cura della Redazione
Due suoi amici e compagni (Colin Ward e Judith Malina) ed un suo estimatore (Goffredo Fofi) ricordano l'uomo, lo
scrittore, lo psicanalista, l'attivista...
L'autonomia oltre la libertà
Paul Goodman (1911-1972) era un poeta, drammaturgo, romanziere e critico newyorchese, un poeta che era anche un
pensatore educativo, uno psicoterapista e un anarchico. Lui e la sua famiglia vissero in una povertà
bohèmien per anni, ed
egli rimase sconosciuto al di fuori dei circoli anarchici e dell'avanguardia fino a che, sull'onda della riflessione autocritica
che coinvolse l'America negli anni di Dwight David Eisenhower, il suo libro sui problemi dei giovani, La
gioventù assurda,
divenne un best-seller e lo trasformò in una celebrità dei media. Per quanto ricordo, egli gestì questa situazione molto bene, non modificando in nulla il suo
comportamento informale e
sconveniente né il suo messaggio radicale anarchico, pur accogliendo volentieri la fine di quegli anni di
povertà e
l'immediata attenzione per tutto quello che sceglieva di scrivere. Negli anni
Sessanta produceva un libro dietro l'altro, ed era un idolo per i giovani disorientati della generazione
studentesca, impegnata nelle campagne per i diritti civili e nell'opposizione alle avventure militari nel Vietnam. Dopo la
sua morte nel 1972 divenne ancora una volta un pensatore fuori moda, pronto per l'oblio. Se non fosse stato per
l'instancabile energia del suo esecutore letterario e futuro biografo, Taylor Stoehr, professore di inglese alla University
of Massachusetts di Boston, sarebbe probabilmente scomparso dal mondo dei libri disponibili. Se non altro egli è
riuscito
a convincere un editore americano a ripubblicare almeno dodici volumi di suoi scritti. Il nome di Paul Goodman lo incontrai cinquant'anni fa, perché la Freedom
Press di Londra distribuiva in Inghilterra diversi
giornali anarchici e pacifisti provenienti dagli Stati Uniti. C'era Why?, più tardi Resistance, prodotto da un
gruppo di
newyorkesi che comprendeva Paul. C'era Retort, stampato e
pubblicato da Holley Cantine e Dachine Rainer, e c'era
Politics di Dwight Macdonald. Era una voce inconfondibile per via di uno stile di pensiero particolare che, secondo le sue stesse
parole, «punta a vantaggi
sociali e culturali di vasta portata attraverso espedienti diretti e piuttosto sciocchi (semplicistici)». Nel 1946, nel suo libro
Art and Social nature, spiegava il suo punto di
vista: «Una società libera non può essere la sostituzione
del vecchio con un «nuovo ordine»; è l'estensione delle sfere
della libera azione fino a che non diventano gran parte della vita sociale... Il libertario è più un millenario
che un
utopista. Non guarda con impazienza a un futuro stato delle cose che cercava di determinare con mezzi sospetti;
ma lo tira fuori ora, fino a che gli è possibile, dalla forza naturale che è in lui e non è diversa nel
genere da ciò che
sarà in una società libera, eccetto che là avrà più spazio e sarà
incommensurabilmente rinforzata dall'aiuto
reciproco e dal conflitto fraterno». Il suo anarchismo era sempre costruito
attorno all'opinione che le idee libertarie dovessero essere applicate alle situazioni
reali, qui e ora, nel mondo del lavoro, o nella pianificazione urbana e rurale (che lui e suo fratello Percy cercarono di
progettare nel loro libro Communitas nel 1947), o nella
crescita e nell'educazione dei figli. Questo concetto dell'anarchismo
come un aspetto del presente, piuttosto che del futuro, rappresenta il suo contributo più
rilevante al pensiero anarchico. In quello che doveva essere il suo ultimo articolo, pubblicato dopo la sua morte,
sottolineava che: «Per me, il principio primo dell'anarchismo non
è la libertà ma l'autonomia, la capacità di darsi un obiettivo e
perseguirlo lungo un proprio cammino... La debolezza del «mio» anarchismo è che la brama di libertà
è un forte
motivo di cambiamento politico, e l'autonomia no. Gli individui autonomi si proteggono ostinatamente ma con
mezzi meno energici, facendo anche largo uso della resistenza passiva. La cosa che vogliono la fanno comunque.
Il pathos degli individui oppressi, tuttavia, è che, se si liberano dalle catene, non sanno cosa fare. Non essendo stati
autonomi, non sanno cosa significa, e prima che imparino, si ritrovano nuovi amministratori che non hanno alcuna
fretta di abdicare...». La verità di questa osservazione si
è vista nelle rivoluzioni mancate di questo secolo, e si è vista specialmente nel collasso
dell'Unione Sovietica e del suo impero. L'anarchismo di Goodman è essenzialmente l'affermazione che la scelta
tra le
soluzioni libertaria e autoritaria riguarda la vita di tutti i giorni.
Colin Ward (traduzione Stefano
Viviani)
Con noi del Living
Paul Goodman amava definirsi un uomo di lettere, come sicuramente era, ma
al Living Theatre abbiamo conosciuto Paul
anche in numerosi altri ruoli: come amico, drammaturgo, organizzatore dello Sciopero generale per la Pace, psicanalista...
A ognuno di questi, egli ha dato il contributo di una filosofia pacifista e di una ridefinizione dell'estetica
anarchica... Come amico e come compagno ha introdotto tra di noi
la consapevolezza di essere/divenire una comunità di artisti... Così
si preoccupava dei nostri affari, economici, sessuali, domestici, artistici, per cui come vivevamo, come amavamo e la
creazione del lavoro artistico erano una cosa sola... Nella compagnia era l'amante di molti, i suoi affetti polimorfi si
estendevano a tutti gli attori dei suoi drammi... Oh, questo causava ogni genere di problemi, ma, Goodman, con la sua alta
consapevolezza dei principi base della creatività, l'integrazione della persona privata e del collettivo, così
come
dell'indipendenza dell'individuo all'interno del collettivo («Odio i collettivi», scrisse, ma intendeva le organizzazioni
dirette dallo stato), fu sempre un avventuriero sessuale. Lo diceva spesso: «fare l'amore e fare arte sono parti integranti
del nostro impegno». Non ha mai smesso nemmeno per un momento di insegnare. Le sue poesie anacreontiche mostrano
le sue intenzioni: imparare e insegnare anche nell'atto dell'amore... Era
un drammaturgo prodigioso, il drammaturgo di una nuova sensibilità che apriva nuove dimensioni nel teatro,
derivando
da Luigi Pirandello il problema della realtà e della finzione, da Jean Cocteau la mescolanza dei modi moderno e
classico
con le scoperte dei surrealisti, da Antonin Artaud il sangue e il coraggio, e da Johann Wolfgang Goethe e Baruch Spinoza,
la mente e lo spirito della fede... Tra le opere di Goodman che ho
diretto per il Living Theatre c'è Faustina, che tratta della nostra responsabilità nei
confronti del pubblico, e della responsabilità del pubblico come partecipante. Faustina è un dramma rituale
nel quale
Goodman descrive le sanguinose contraddizioni tra la filosofia stoica e le passioni umane. Alla fine, l'attrice che interpreta
l'Imperatrice esce dal personaggio e si rivolge al pubblico in prima persona, rinunciando alla finzione per rimproverare
agli spettatori di non partecipare al dramma. L'attrice, Julie Bovasso, trovava
impossibile uscire dalla funzione scenica e nonostante l'avessimo cercata non riuscimmo
a trovare un'attrice che recitasse quella scena personale. Paul Goodman aveva toccato il nervo scoperto dell'inganno e della
rivelazione del teatro. Il Living Theatre, quarant'anni dopo, sta ancora, su l'ispirazione di Goodman, cercando di delineare
la relazione non scenica tra interprete e spettatore. Abbiamo prodotto anche
The Young Disciple, una visione anarchica del
Vangelo secondo san Marco del Nuovo
Testamento
con lo splendido concetto di Goodman della santità come «fottuto nostro unico mondo». E The
cave at Machpelah, una
versione anarchica del racconto di Abramo dell'Antico Testamento e della riconciliazione tra quei fratelli, il prototipo della
profonda angoscia che continua a spargere sangue tra Ismaele e Israele (Isacco). Paul ha lavorato a stretto contatto con me in numerose prove, consultando, consigliando, interferendo
e ispirando...
raccontando barzellette o storie intelligenti, scherzando con i suoi preferiti... chiarendo le idee, ampliando la visione. Ma
quando gli chiedevamo qual era il suo ruolo nella nostra comunità teatrale, lui rispondeva: «Io sono il
cronista». Goodman era solito dire che il suo attivismo politico non era per
iniziare, ma per essere ridestato quando chiamato. Uomo
di lettere, egli guidava il fervore, inventava le mappe stradali e la strategia, definiva i parametri, e aspettava - sì,
diceva
proprio aspettare - di essere chiamato. Quando nel 1961 il Living Theatre
chiamò allo Sciopero generale per la Pace, Goodman venne ridestato all'azione e
divenne un punto di forza del Comitato d'azione. Il volantino della chiamata allo Sciopero generale per la Pace, ristampato
in quattro lingue, era un'eloquente dichiarazione politica del tutto simile alle tante prodotte dal movimento degli anni
Sessanta. Ma Paul si esponeva sempre in prima fila, alle manifestazione e alle veglie, o «votando con i piedi» per presidiare
un seggio insieme a me - come ha scritto in una triste piccola poesia in cui esprime la sua sfiducia nel sistema democratico
e nella nostra capacità di agire efficacemente contro di esso. Ma in
una lettera che mi scrisse quattro giorni prima di morire, comincia, Tu prendi
il «voto» troppo coerentemente. Per esempio, come anarchica potresti anche considerarlo una vittoria
passata conquistata a caro prezzo contro i tiranni. Per esempio, gli anarchici che voteranno per McGovern - non
io, bambina! - potranno probabilmente ottenere molto insistendo su tutte le promesse che non ha mantenuto... La
«politica» non è molto importante. L'integrità sì. Rifiutavo rispettosamente le sue conclusioni, naturalmente, ma la mia risposta è arrivata il
giorno della sua morte. Il nostro
dialogo sull'anarchismo era stato interrotto a metà dal tiranno definitivo. Come psicanalista, Paul ruppe ogni canone... talvolta faceva l'amore con i suoi pazienti maschi ed
era deplorevolmente
indiscreto, sempre con la scusa che era importante per il benessere del paziente. Nelle sedute di gruppo creava tensioni
incredibili, una volta rispose a una mia provocazione schiaffeggiandomi. Ma dava tutto se stesso a coloro che analizzava,
in un modo straordinariamente umano e profondo. Le sue sedute faccia-a-faccia
con me, lungo un periodo di anni, sono più facilmente paragonabili allo studio con uno dei
leggendari insegnanti rabbini che alla metodologia degli analisti classici. «Cos'è che vuoi e perché non
ce l'hai?» era la
premessa base della sua terapia della gestalt. «Dove ti fa
male?» era la sua domanda più frequente. La sua conoscenza delle
funzioni e delle interrelazioni di corpo e mente era stupenda. Questa dualità è sempre sottintesa, se non
il contenuto del
suo teatro... Paul Goodman indagava su tutto: arte, medicina,
letteratura, religione, anarchismo, pacifismo... Ma tutto ciò, e l'interrogare
se stesso, sono la materia prima del suo lavoro: un manuale su come fare l'amore con il nostro unico
mondo... Noi siamo troppo lenti per imparare la sua lezione: fare la
rivoluzione del teatro e il teatro della rivoluzione. Nella stessa
ultima lettera scriveva, Penso che la gente abbia fatto un feticcio
della parola rivoluzione che connota un cambiamento di sistema totale...
Ciò che conta è badare ai fatti propri e, quando necessario, mettersi insieme politicamente per impedire
al potere
di interferire con te, o proseguire negli orrori come la guerra o le prigioni... Aveva ragione a metterci in guardia dal prestare più attenzione alle parole che a cercare realmente di
mettere fine alle
sofferenze. Come amava ricordarci Goodman, c'è ancora molto da fare.
Judith Malina (traduzione Stefano
Viviani)
Una boccata d'aria fresca
La «scoperta» di Paul Goodman é avvenuta in Italia grazie alla
traduzione einaudiana di La gioventù assurda, titolo italiano
per Growing up Absurd, «crescere nell'assurdo». Quando
uscì, abitavo a Torino e correggevo bozze per Einaudi. Il libro lo
divorai e mi ci riconobbi. La traduzione l'aveva voluta Renato Solmi, grande intellettuali e traduttore di Theodor
Adorno, di Walter Benjamin, di Günther Anders... Ne parlammo insieme a lungo. Solmi era attentissimo alle
novità dei
giovani americani (per i Quaderni piacentini
scrisse una splendida e lunghissima cronaca delle lotte per i diritti civili, mese
per mese e gruppo per gruppo) ma io lo giudicavo, rispetto a me, un «uomo d'altri tempi» perché certamente
più puritano
di me (o di un altro amico del tempo, allora davvero giovanissimo , Guido Viale). E infatti egli considerava Goodman sotto
certi aspetti un autore «eccessivo», e perfino - vedi il tema della liberazione sessuale - «estremista». Erano gli anni Sessanta pre-'68, non quelli post-'68 e, nonostante il boom, nonostante le nouvelle
vagues, nonostante i
beatniks, l'Italia era ancora un paese assai bigotto, e i giovani erano assai conformisti a cominciare dai cattolici per finire
con i comunisti. I quali comunisti - della Fgci - sfornavano periodicamente riviste e riviste di «nuova generazione» l'una
più pallosa e bigotta delle altre (tutto il contrario di oggi - vedi il Manifesto - che sfornano riviste ultra-moderne ma nel
senso della «cattiva modernità» della cultura del capitale). Leggere
La gioventù assurda fu dunque una boccata d'aria fresca, anzi
molto di più. Una boccata d'aria fresca erano stati
Sulla strada o le poesie di Allen Ginsberg, i film di Glauber Rocha
o di Jean-Luc Godard, e prima ancora - molto prima,
alla metà dei Cinquanta - quelli interpretati da James Dean, da Marlon Brando, da Montgomery Clif. Di tutto questo
Goodman teneva conto (della parte statunitense) e analizzando la grande miseria della gioventù degli anni
dell'assurdo ,
riusciva a parlare anche di noi, altrove. Ne faceva teoria, analisi, discussione, indicazione di strade di opposizione possibile:
la grande miseria, la grande solitudine, la grande stupidità del conformismo atroce dei giovani degli anni della
«guerra
fredda». Là come qui, Goodman li fotografava, li spiegava a noi stessi e ci additava alcune possibilità di
risposta, qualche
alternativa. Personalmente, gliene sarà eternamente grato. Poi scoprii
che Goodman non era solo La gioventù assurda,
qualcosa di lui
lo pubblicò (dopo il '68) la Rizzoli e qualcosa lo lessi, con fatica, in inglese. Scoprii il Goodman «delle
città», lo studioso
di urbanistica e «d'utopia concreta» così vicino a certi di oggi - per esempio a Colin Ward, ma non solo un
Goodman pieno
di insegnamenti possibili, un Goodman che ha ancora molto da dirci. Poi lessi anche il Goodman romanziere e provai, confesso, una notevole delusione: non pessimo, ma certe
secondario, e
troppo ideologico nel suo libertarismo (e nella sua rivendicazione omosessuale, tuttavia sacrosanta). Lessi anche, in qualche
raccolta einaudiana il bel necrologio che gli dedicò un'allieva e amica, Susan Sontag e conobbi meglio il suo
ambiente,
il «giro» di intellettuali radicals in cui si era fermato - dentro la grande scuola dei radicals dell'ottocento, dei figli di
Thoreau, «puritani anti puritani nella morale dei diritti individuali», in un modo così morale da
risultare per i cinici italiani
quasi esotico. Ma tuttavia per noi minoritari, affascinante, istruttivo, fondamentale. È forse «datato», Goodman, ma ha dato molto e ci è servito molto. In un contesto
così squallido come quello italiano di
questi anni, è ancora un maestro vero, pieno di suggerimenti teorici e di indicazioni concrete. Dai radicals
anglosassoni,
di ieri e di oggi, non si finisce mai di imparare.
Goffredo Fofi
Paul Goodman: vita e opere
Paul Goodman nasce il 9 settembre 1911 a New York (nel Greenwich Village), da famiglia ebraica. Compiuti gli studi
superiori, si laurea al City College di New York nel 1931, seguendo poi corsi alla Columbia, a Harvard e
all'università di
Chicago, dove ottiene il dottorato nel 1954. Nel 1939-40 è già assistente all'università di Chicago,
incarico che perde quasi
immediatamente a causa della sua condotta apertamente omosessuale. Nello stesso periodo comincia a pubblicare le prime
opere narrative e poetiche di una certa rilevanza e diviene critico cinematografico della nota Partisan Review. Nei primi
anni Quaranta si impegna nel movimento pacifista. In seguito si interessa di psicanalisi ed è tra i fondatori
dell'Istituto di
Terapia Gestaltica di New York, per cui svolge mansioni di psicologo e terapista; è tra gli autori del testo base della
nuova
tendenza (Gestalt Therapy, 1951). Nel 1947 aveva già pubblicato, insieme al fratello, un libro di critica sociale e
pianificazione urbana Communitas. In questo stesso periodo insegna alla Manumit School of Progressive Education di
Pawling (New York) e poi al Black Mountain College (1950). In entrambi i casi non viene riconfermato, probabilmente
ancora a causa della sua omosessualità. Negli anni Cinquanta dirige la rivista di psicanalisi Complex ed è
tra i fondatori
di Liberation. Nel 1960 ottiene grande successo con Growing Up Absurd, a quistando un certo seguito e una
certanotorietà
come sociologo e critico del sistema. Viene chiamato a insegnare all'università di New York, al Sarah Lawrence
College,
all'università del Wisconsin e all'Institute for Policy Studies di Washington. Nel 1966 è il primo membro
della facoltà
eletto dagli studenti al San Francisco State College. Nel corso degli anni Sessanta diviene uno dei punti di riferimento del
movimento giovanile, partecipando in prima persona - come pubblicista, conferenziere e attivista - alle iniziative, alle
manifestazioni e ai sommovimenti del periodo. Scrive una serie di influenti libri di politica e sociologia e pubblica una
imponente massa di articoli, saggi e interventi di ogni genere. Muore d'infarto il 2 agosto 1972.
Opere tradotte in italiano:
- Communitas. Means of Livelihood and Ways of Life, in collaborazione con Percival Goodman, University of
Chicago Press, Chicago 1947, tr. it. Communitas, Il Mulino, Bologna 1970.
- Growing Up Absurd. Problems of Youth in the Organized Society, Random House, New York 1960, tr. it. La
gioventù assurda, Einaudi, Torino 1964.
- Like a Conquered Province. The Moral Ambiguity of America, Random House, New York 1967, tr. it. La
società
vuota, Rizzoli, Milano 1970.
|
|