Rivista Anarchica Online
Recuperare la femminilità
di Collettivo liberazione sessuale (Milano)
Il discorso sulla femminilità si inserisce nel progetto della edificazione di una nuova Umanità
attraverso la ristrutturazione della personalità dell'individuo coartata e limitata dalla repressione
sociale. I valori propri della persona non si scoprono però attraverso una speculazione metafisica
o tramite un aprioristico rifiuto dei valori attuali; in sostanza più di una creazione ex novo
dell'individuo, si tratta invece di un recupero critico dei bisogni fondamentali e dei valori umani
concreti. Questo perché i ruoli sessuali e sociali, la cristallizzazione dei comportamenti, la
codificazione di tutti gli aspetti psichici e fisici della personalità si basano sulla mutilazione delle
potenzialità di ognuno di noi. Così alla radice dei ruoli "maschile" e "femminile" sta la scissione
coercitiva della unitarietà sostanziale della persona. La frattura violenta del nucleo bio-psicologico
omogeneo e similare nell'uomo e nella donna ha portato alla fissazione degli atteggiamenti
somatici e psichici in due categorie distinte e non interscambiabili. Esistono perciò storicamente
due modalità diverse di porsi rispetto alla vita e ai rapporti interpersonali. Entrambi questi ruoli
sono alienanti e riduttivi ma contengono un fondamento positivo e necessario per la riscoperta
della nostra "umanità" perduta. Ad esempio, se l'aggressività cosiddetta maschile si realizza come
sopraffazione e prevaricazione (nella sessualità, nel sociale, nel rapporto con la natura), è anche
vero che questa "aggressività" distruttiva frutto di una perdurante deformazione legata alla
frustrazione sessuale può essere intesa come mezzo per raggiungere la soddisfazione e il piacere,
e quindi per vivere, come sostiene Reich.
L'aggressività maschile va quindi riveduta con occhio analitico per negarne gli effetti e le
realizzazioni sadico-distruttive, ma va anche recuperata come momento proprio della personalità
di ciascuno quale mezzo di tensione verso l'esterno, verso gli altri, nella ricerca dell'esperienza
erotico-amorosa e nel cammino verso l'affermazione del proprio "Io" (e perciò come mezzo di
espressione di un narcisismo primario estremamente positivo). Similmente, la remissività
masochistica delle donne è un prodotto della loro secolare castrazione, ma contiene in embrione
l'originaria tendenza della persona alla dolcezza. Anche in questo caso dunque si tratta di negare il
ruolo, per scoprire il terreno in cui affondare le radici. La persona nuova non nasce certo dalla
fusione indiscriminata dei due ruoli storici, ma si origina nella ricomposizione progressiva dei
frammenti di umanità dispersi e fissati in forma sclerotica nelle categorie maschile e femminile.
Non ha senso perciò parlare di negazione assoluta dei ruoli e sbandierare il bisogno di nuovi valori
propri della persona. È vero che il progetto è un recupero di umanità, ma è pur vero che questo
recupero può avvenire soltanto attraverso la riscoperta di ciò che educazione e condizionamento
ci hanno negato. È evidente perciò che in una donna la componente più negata è quella cosiddetta
"maschile", e quindi per essa si tratterà di recuperare, accanto ai propri valori definiti per
convenzione femminili, soprattutto quegli aspetti di attività, indipendenza e aggressività, che
vengono in lei rimossi e che si configurano storicamente come "maschili", anche se in forma
ugualmente alienata.
Così per l'uomo si tratterà di recuperare accanto al nucleo positivo dei propri valori "maschili",
soprattutto le componenti caratteriali attribuite per convenzione alla donna. È solo in questi
termini che si sostanzia il recupero della Personalità. Parlare di Valori Umani disgiunti dal loro
significato storico-culturale vuol dire richiamarsi ad entità astratte e fumose; sarebbe come
sostenere che si può raggiungere l'obiettivo della polivalenza erotica originaria senza passare dalla
riscoperta dell'omosessualità da parte degli eterosessuali e dell'eterosessualità da parte degli
omosessuali. Un simile discorso sarebbe farraginoso e inconcludente; senza contare tra l'altro che
il processo di liberazione è complesso e articolatissimo ed è dunque necessario rifarsi a condizioni
reali di esistenza, cioè a quella che è la precisa situazione in cui si trovano gli individui. Questo per
sottolineare che è già sufficientemente difficile ricercare e riscoprire le proprie componenti
mutilate, senza bisogno di complicare il tutto con il richiamo ad un progetto globale di
umanizzazione, che è ben lungi dal poter essere realizzato. Il progetto resta comunque valido, ma
il punto di partenza è quello che conta; cioè ognuno deve partire dalle proprie contraddizioni:
femminile e maschile, omosessuale ed eterosessuale non sono solo concetti, sono realtà; ed è da
questa realtà che bisogna muovere, non dal loro immaginario superamento. È più urgente l'analisi
della nostra struttura caratteriale nevrotica e schizoide, che non la teorizzazione sull'individuo
"liberato".
Il problema del recupero delle componenti mutilate assume una particolare importanza e una
particolare pericolosità quando è analizzato in rapporto all'omosessualità. In specifico la
discussione sulla femminilità è spesso momento di scontro e di confusione. Quel che preme
ribadire è la distinzione precisa tra "censura" e "critica": un conto è esprimere dissenso nei
confronti di certi modi di gestire l'omosessualità, un conto è esprimere giudizi monolitici di
condanna senza possibilità di appello: un omosessuale non può emarginare e censurare altri
omosessuali senza cadere in contraddizione. Ciò non significa, s'intende, che si debba assumere un
atteggiamento qualunquistico e indifferenziato di laissez-faire. Le discriminanti qualitative di base
nel discorso sulla liberazione omo- e sessuale in genere vanno poste e con chiarezza, perché c'è
anche chi crede che la rivoluzione e la liberazione si conquistino con i lustrini e il boa di struzzo;
non bisogna tuttavia far di tutt'erbe un fascio, occorre distinguere:
1) È vero che su determinate affermazioni non ci piove, infatti chiunque sia in grado di fare
un'analisi seria del travestitismo e del "checchismo" sa dedurre che essi nascondono realtà di
alienazione e condizionamento. Sappiamo tutti che è frutto del potere l'identificazione
dell'omosessuale con la figura femminile o pseudo-femminile. Sappiamo pure che il travestitismo e
il checchismo sono addirittura imitazioni di imitazioni, nel senso che riproducono un modello di
donna che a sua volta nasce dalla negazione della donna vera e propria. Un certo modo di essere
omosessuale inoltre ripropone l'eterna polarità eterosessuale, contribuendo a sostenere l'idea che
senza questa contrapposizione (reale o formale) dei sessi non è realizzabile nessun rapporto,
gratificando in questo modo un'ennesima volta il potere maschile rassicurato nei suoi attributi di
superiorità e virilità; ciò significa oltretutto snaturare la stessa omosessualità, riducendola a copia
e scimmiottamento dell'eterosessualità e quindi significa in fondo neutralizzare, negare
l'omosessualità e accettarne l'oppressione. Non ci si può certo arroccare nella difesa strenua di
questa "femminilità" giustificandosi, dicendo che quel che possiamo conoscere della donna è solo
la sua apparenza esteriore. Ciò che la donna è nella nostra società patriarcale, come vive come
pensa come si comporta, non ha nulla a che fare con la sua personalità, perché la donna oggetto di
desiderio funzionale al maschio nasce proprio dalla repressione delle sue potenzialità. La donna è
perciò altro, non solo rispetto al maschio ma anche rispetto alla donna-simbolo creata dal potere
fallocratico.
2) Per quanto riguarda la "femminilità" negli omosessuali, una linea di demarcazione precisa passa
tra chi ha consapevolezza della propria condizione di oppressione e di alienazione, e chi invece
vive di ciò che rappresenta, creandosi realmente la figura di chi veste gli abiti e cioè l'omosessuale
che inconsapevolmente e passivamente assume determinati comportamenti da donna-oggetto,
associandovi una identificazione psichica. In quest'ultimo caso l'essere checca è nello stesso tempo
fine a se stesso e un vero e proprio modus vivendi (determinato comunque dall'oppressione). La
coscienza invece della ruolizzazione porta alla capacità di usare lo stereotipo in modo positivo,
ironico, provocatorio, creativo alla stregua di un gioco sarcastico. L'autoironia è forse proprio la
misura della completa padronanza di sé stessi. Anche ammettendo che ciò che la gente recepisce
(al di là della consapevolezza soggettiva di chi usa il ruolo in determinate situazioni) è
fondamentalmente il simbolo dell'omosessuale "checca", questo giudizio non può pesare come
giudizio condizionante o prioritario rispetto al bisogno di espressione individuale che si può
manifestare anche attraverso oggetti e atteggiamenti catalogati come "femminili", e questo per
due motivi: a) perché noi lottiamo anche per distruggere il significato feticistico attribuito ad
alcuni comportamenti espressivi, e quindi vogliamo che un foulard o un orecchino non siano più
definiti come "femminili" o come x-sessuali invece di y-sessuali, ma siano riconosciuti
esclusivamente come patrimonio di chi ne usufruisce; b) perchè essere soggetti sociali (cioè in
rapporto con le "masse", sclerotizzate nelle loro idee sull'omosessualità) e il doversi porre in
un'ottica di incidenza politica del sociale, non può voler dire "giacca e cravatta" per tutti; anche
perché se il privato è politico lo è proprio nel senso che da lì e anche lì deve svolgersi un processo
di rivoluzionamento inteso come conquista di tempi-spazi-rapporti rispondenti alla propria
volontà di liberazione e affermanti il bisogno di autonomia e indipendenza rispetto alle imposizioni
delle società repressive. In ultima analisi non si deve attendere che qualcun altro faccia la
rivoluzione per potersi gestire autonomamente, non solo perché questo non accadrà mai ma
soprattutto perché si tratta di cominciare a "vivere" adesso, si tratta di opporre subito
all'esistenza-morte che il potere ci impone, tramite le sue categorie alienanti, un'esistenza davvero
vitale senza differire più né il gioco né il piacere.
Una volta fatte queste considerazioni, resta comunque un fatto e cioè che parlare di liberazione
sessuale significa certamente per l'uomo e per la donna la ricerca di una identità originaria e il
rinvenimento di ciò che è stato soppresso dall'educazione e dalla morale sociale millenaria. Da
questo punto di vista Femminile e Maschile sono categorie storico-socio-culturali (ed esistenziali)
create per la rigida divisione dei sessi e per l'esercizio del dominio maschile; è perciò vero che
certe manifestazioni comportamentali (come ad esempio il trucco) sono essenzialmente asessuate,
anche se la cultura ci ha costruito sopra edifici di definizioni, limitazioni e codificazioni. Sia
l'uomo che la donna hanno in sé molteplici possibilità di espressione, comunicazione,
sessualizzazione; ciò che essi sono alla fine del tunnel della repressione non è che un residuo
deforme della primitiva capacità di "essere" e di vivere. Vista da questa angolazione la questione
della "femminilità" può trovare una maniera positiva di realizzarsi come effettivo elemento di
liberazione. Il recupero della cosiddetta "femminilità" è importante per ogni omosessuale e uomo;
chiaramente esso non è tanto legato all'esteriorità quanto alla sostanza e si configura come
riscoperta del Principio Femminile nel mondo (filosofia della Grande Madre-armonia con la
Natura), riscoperta del Modo Estetico di porsi in rapporto con la vita e la cultura (contrapposto al
Modo Tecnologico iper-razionale maschile che ha dominato lo sviluppo della civiltà); la
femminilità da riconquistare è un modo particolare di "sentire", di creare, è la capacità di vivere la
tenerezza l'emotività la sensualità nella spontaneità dei rapporti personali, tutti valori, questi che si
possono ricollegare ad un atteggiamento di fondo della donna. La femminilità è fondamentalmente
l'affermazione dell'Amore sul Potere, è l'abiura del principio Maschile di violenza così come si è
realizzato nella storia. Dati questi punti di riferimento, non è possibile inoltrarsi nella codificazione
rigida e dogmatica di ciò che si può e non si può fare, di ciò che è rivoluzionarie e di ciò che non
lo è abbastanza. Ciascuno ha il diritto di percorrere autonomamente la strada della propria
liberazione e del recupero della propria "femminilità". Ciò che occorre è la coscienza politica di se
stessi e della propria alienazione. L'attuazione del progetto di liberazione non può che avvenire in
termini di autonomia ed eterogeneità, tenendo fisse le dovute premesse qualificanti. Il vivere in
una situazione di contraddittorietà non permette metamorfosi improvvise, quindi niente voli
pindarici verso il futuribile ma molto più senso della realtà.
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