Rivista Anarchica Online
Il bambino nel ghetto
Come la scuola "progressista" accentua le differenze di classe: testimonianza
di una giovane maestra
"La mia mamma ha tanti mariti", afferma Simone con una punta di
orgoglio nella voce. "La mia invece
non ne ha", ribatte Cosimo. Questo è il benvenuto che ricevo entrando in II B, classe elementare
differenziale. Venti bambini mi stanno davanti ostili, niente affatto desiderosi di una nuova
maestra. Dietro i loro occhi
si nascondono problemi e drammi; sono qui davanti a me ed io non me la sento di ignorarli come hanno
fatto le precedenti maestre. I manuali mi hanno insegnato che con i bambini si familiarizza
facilmente e perciò, sfoderando un
sorriso incoraggiante, chiedo al bambino più vicino il suo nome. "A te cosa te ne frega? Pensa
ai cazzi
tuoi ", mi risponde. È meglio lasciare perdere le presentazioni e mettersi subito al lavoro,
distribuendo
fogli a profusione per splendidi disegni. Seduta sulla cattedra mi sorprendo a pensare alla vita di questi
bambini, augurandomi che i miei "jeans" ed il mio fare amichevole, anticonvenzionale, non autoritario
li addolcisca un po'. Eccoli lì. Simone con tanti papà; Mauro con i vestiti
più grandi di lui e con un grande complesso di
inferiorità; Cosimo senza papà; Diego con le crisi epilettiche... Eccoli lì con le
loro faccine da bambini
tipicamente meridionali. Quasi tutti sono siciliani o calabresi, che hanno già
conosciuto altri paesi, perché i loro papà hanno
fatto i minatori all'estero; che vivono in una sola stanza con una decina di altri bambini; che hanno
lasciato il meridione insieme ai loro papà con la speranza di vivere un po' meglio. Eccoli tutti uniti
che
lottano per inserirsi in questa società che li ha respinti, che li ha classificati anormali, che ha avuto
cura
di separarli dagli altri con la promessa di reinserirli da grandi. Promessa che non sarà mantenuta,
perché questa società di sfruttamento si basa sulla disuguaglianza, perché questa
scuola al servizio
della società deve perpetuare la disuguaglianza e non eliminarla. Alle magistrali
mi hanno insegnato che queste classi sono istituite per aiutare il recupero dei bambini
"difficili", per seguirli con maggior cura e affetto. Niente di più falso. La
verità è che la metropoli relega gli immigrati nel ghetto dei quartieri miserabili e
che la scuola relega i loro figli nel ghetto delle classi differenziali. La verità è che in questi
ghetti i piccoli
"difficili" ammucchiati assieme, separati dai "normali", accentuano le loro nevrosi, approfondiscono il
distacco dagli "altri". La verità è che in queste classi le maestre diventano sorveglianti,
carceriere, e
finiscono con il dare agli scolari una preparazione inferiore alla normale in un numero di anni superiore
alla norma. Queste classi sono cioè non solo socialmente, ma anche di tatticamente
controproducenti. Un alunno che frequenta tali classi, per compiere i primi due cicli di
scuola elementare (5 anni), ci mette
da sette a dieci anni. Alcuni si trovano a quattordici anni ancora in terza o in quarta e finito l'anno
scolastico lasciano la scuola e vanno a lavorare non solo impreparati ma per di più
frustrati. Uno dei miei alunni lavora già come garzone di panettiere a
tremilacinquecento lire la settimana,
svegliandosi prestissimo al mattino per poi dormire a scuola. E poi li considerano anormali,
difficili! Salvatore ha fatto un disegno: una maestra con la frusta in mano. A titolo
informativo mi dice: "Questa
e la mia maestra di prima, è una brutta puttana: non mi ha voluto ed un giorno mi ha messo in
questa
classe". Adesso comincio a capire perché mi hanno accolto male e perché
non hanno fiducia nella maestra.
Quando un bambino come Salvatore inizia la scuola si affeziona ad una maestra anche se è un
"bambino difficile". Poi scopre che la maestra, non lo vuole, lo trascura e infine lo trasferisce in un'altra
classe, con un'altra maestra. Salvatore si sente escluso, rifiutato, si sente "speciale". La
scuola riproduce il volto ingiusto della società in cui viviamo. Ebbene, spero almeno che
Salvatore
mantenga intatta la sua carica di ribellione, che diventi un adulto "difficile", un proletario "difficile" che
sappia indirizzare la sua rabbia contro i padroni e contro lo Stato.
lettera della giovane maestra Bianca F.
CHE COSA SONO LE CLASSI DIFFERENZIALI
Le classi differenziali sono dei ghetti scolastici in cui si cacciano i bambini "difficili", cioè
i bambini
nevrotizzati dall'ambiente in cui vivono, i bambini spaesati, i bambini ribelli. L'80-90%
degli alunni delle classi differenziali delle grandi città del Nord è costituito da figli di
immigrati
meridionali, molti dei quali hanno già "tentato fortuna" all'estero quindi degli "sradicati" che in
pochi anni
di vita hanno dovuto più volte cambiare abitudini, lingua, paese, scuola... Tutti
questi bambini provengono da famiglie povere o poverissime. Le loro case sono spesso delle tane
sovraffollate; molti di loro vivono in una sola camera con sette od otto altre
persone. Questi alunni "difficili" che dovrebbero essere una esigua minoranza, una
eccezione, stanno in realtà
aumentando a vista d'occhio. Nella sola Milano ve ne sono migliaia: ogni scuola elementare ha in media
due classi differenziali.* Le classi differenziali anziché aiutare i bambini "difficili",
ne ostacolano e ritardano il normale sviluppo
psichico: il risultato è che i bambini ci mettono dai sette ai dieci anni per fare le cinque
elementari. L'iter
scolastico del "differenziale" è non solo più lungo, ma fornisce anche una istruzione
qualitativamente
e quantitativamente inferiore. Dunque l'istituzione delle classi differenziali che dovrebbe
servire, secondo le teorie dei "pedagoghi
progressisti", a far recuperare agli alunni difficili lo svantaggio che hanno nei confronti dei normali, in
realtà aggrava il loro distacco e lo rende ancor più traumatizzante.
(*) Da una recente indagine del CRPE risulta che dal '64 al '68 il numero delle
classi differenziali
elementari è salito, in Lombardia, da 106 a 473 (di cui 194 in provincia di Milano), con un
incremento
di oltre il 400%.
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