Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 1 nr. 1
febbraio 1971


Rivista Anarchica Online

Torino come Chicago?
di R. Brosio

È tendenza generale dei giornali, nel parlare di fatti criminali, drammatizzare le situazioni amplificando ad arte i fatti di cronaca e cercando di dimostrare l'esistenza di un incremento della criminalità sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo. Ma in un campo soggetto a continue oscillazioni come quello della criminalità, le statistiche hanno un valore relativo; nessun valore hanno poi quelle usate nelle campagne giornalistiche, poiché sono basate su dati riguardanti un arco di tempo brevissimo. Inoltre le fonti e i modi in cui vengono presentate non dissipano sempre il sospetto della parzialità. Come si può infatti non tener conto di cause di variazione come l'aumento della popolazione, l'immigrazione, le condizioni economiche, culturali e sociali, e l'aderenza a certi miti che la società stessa ci elargisce attraverso i suoi mezzi di comunicazione di massa? Non c'è da stupirsi quindi se in un breve arco di tempo si riscontra una concentrazione di atti criminali che portano ad un reale ma pur sempre relativo aumento della delinquenza che scompare nel contesto di una statistica più generale.
Di maggior rilievo è che ogni notizia passa attraverso il filtro della stampa. Diventa quindi importante determinare come questo supposto incremento viene presentato e a quali conclusioni una certa interpretazione dei fatti possa condurre.

"STAMPA" DI TORINO

La "Stampa" di Torino ha messo in atto una campagna contro la delinquenza con l'evidente scopo di creare un senso di insicurezza nei lettori stimolando la richiesta di un sempre maggior intervento degli organi repressivi dello stato. Lo strumento strategico usato dalla "Stampa" nell'analisi di un delitto consiste nel trascurare completamente la genesi. Ogni resoconto tace del tutto sulla vita dell'assassino e della vittima, inclusi tutti i particolari d'ordine sociale e psichico, tace sul loro ambiente, sul motivo del crimine.
Informazioni essenziali che permetterebbero di spiegarlo e che invece in siffatti resoconti non trovano posto, ma sono formalmente surrogate infarcendo la cronaca di dettagli pedanteschi circa il luogo, l'età e la professione del colpevole e della vittima e così via. Dati che non spiegano nulla, non potendo documentare la genesi del misfatto (che viene taciuta), e che invece vogliono lasciarci a bocca aperta dinanzi alla correttezza dell'informazione. La campagna è stata preparata con la pubblicazione di una serie di appelli di provenienza incontrollabile descriventi situazioni da sempre esistenti (prostituzione) e propalando notizie alquanto dubbie col solo scopo di allarmare i lettori (un bimbo avrebbe preso una immonda malattia giocando con un preservativo usato). Dopo avere ottenuto con questi mezzi una certa sensibilizzazione dell'opinione pubblica, la "Stampa" è passata alla prima vera e propria campagna: "OPERAZIONE VALENTINO PULITO", contro la prostituzione che alberga nel parco cittadino. Non si può fare a meno di accertare l'inutilità dei provvedimenti che scaturiscono da questi forzati movimenti di opinione, che risultano essere dei semplici palliativi, come nel caso dell'operazione sopra citata: il "mondo del vizio" è stato spostato di tre isolati, dal Valentino in via Ormea. È interessante inoltre notare come il risultato di queste azioni giornalistiche sia sempre la richiesta di nuovi posti di polizia e più in generale di un potenziamento delle forze dell'ordine. È dunque il modo in cui le notizie vengono presentate che influisce notevolmente sulle reazioni che si vogliono suscitare nell'opinione pubblica. Fatti della stessa entità vengono presentati, in momenti diversi sotto aspetti formali diversi. Citiamo alcuni esempi:
1) a) "Stampa" 29 gennaio 1970 "Maschere e pistola in pugno rapinatori in una panetteria (a Mirafiori 5 donne scippate in 4 ore)" 30 righe, titolo 5 mm., nessuna fotografia.
b) "Stampa" 2 ottobre 1970 "Impiegata della Gabetti rapinata di 8.000.000 i passanti inseguono il bandito e lo catturano"; sottotitolo "La delinquenza di giorno in giorno più aggressiva e pericolosa" 90 righe (su 5 colonne), titolo mm.9, 4 fotografie.
2) a) "Stampa" 28 gennaio 1970 "Accoltella in casa una ragazza, la rapina: bloccato nella fuga" 50 righe, titolo 6 mm., nessuna foto.
b) "Stampa" 2 novembre 1970 "Rapinano due donne e con l'auto piombano in una scarpata: presi" sottotitolo "Baraccati dai carabinieri con elicottero e radiomobile" 101 righe, titolo 9 mm., fotografie (di tre minorenni con i relativi nomi).
Accertata quindi con questi esempi la finalità del modo in cui un'informazione viene presentata, è interessante dedicare un esame a parte a due recenti casi che sono stati l'origine di tutta un orchestrata serie di articoli. L'interesse che nasce da questo esame è dovuto all'apparizione di scritti valutativi e di commento al fianco dei semplici resoconti di cronaca. Pur non escludendo la gravità dei due omicidi in questione (assassinio a scopo di rapina dell'orefice Baudino e di un carabiniere a Gavi Ligure) è giusto analizzare il modo in cui sono stati trattati e trarne delle conclusioni.
Per circa un mese, giornalmente, la cronaca cittadina è stata occupata da articoli riguardanti questi due casi senza risparmio di pagine, di fotografie e di titoli che spesso hanno raggiunto i 15 mm. Leggendo la "Stampa" in questo periodo pareva dunque che in una città come Torino non accadesse nulla fatta eccezione per le indagini e le dichiarazioni della polizia. Si poteva sapere tutto sulla vita privata di alcuni individui, presunti colpevoli, ma nulla sugli sfratti di numerose famiglie, operati proprio in quei giorni, e su tutti quegli altri eventi socialmente rilevanti, che fanno parte della vita quotidiana di una grande città organizzata sull'autorità e lo sfruttamento. Anche il pietismo, suscitato ad arte, è stato soddisfatto da due sottoscrizioni a favore delle due vittime, promosse naturalmente dalla "Stampa", che hanno raccolto rispettivamente 8 e 4 milioni.

GLI ARTICOLI DI COMMENTO

Lo spazio riservato ai commenti dei lettori, alle loro supposte reazioni e all'esame critico degli avvenimenti da parte dello stesso giornale, è stato decisamente sproporzionato rispetto a quello riservato alla narrazione ed alla pura constatazione dei fatti. Tutto ciò impone delle necessarie considerazioni generali ed un esame approfondito di quella che può essere definita la veste ideologica di un fatto di cronaca, o forse meglio, il modo migliore di utilizzare un fatto di cronaca con il fine, più o meno velato, di condurre, facendo leva sull'emotività dei lettori, un ben chiaro discorso ideologico e politico.
Non vi sono dubbi sulla diversità di effetti che può provocare nell'opinione pubblica la semplice notizia di un assassinio o la notizia dello stesso fatto accompagnata da un certo numero di proposte, alcune delle quali di criminale brutalità, per il ristabilimento della pena di morte. Un'impostazione di questo genere esprime chiaramente una scelta politica consapevole, che prende forma e si definisce nelle proposte pratiche che scaturiscono, dall'analisi dei fatti che viene compiuta. Quali sono queste proposte? Rafforzamento della polizia e delle leggi, rigorosa applicazione dei codici (non si dimentichi che nel codice è prevista una pena che va da tre a cinque anni per il reato di apologia dì sovversione, e che questo articolo è stato proprio ultimamente dichiarato valido dalla Corte Costituzionale), maggior severità nelle condanne e ristabilimento della pena di morte. In altre parole maggiore pressione a tutti livelli. Che poi queste proposte siano chiaramente inefficaci, se non sul piano politico, appare chiaro dal solo fatto che la polizia ha un carattere repressivo e non certo preventivo. Dieci poliziotti possono scoprire più efficacemente e in minor tempo l'autore di un crimine che non uno solo, ma non potranno mai evitare o annullare il crimine. Far leva dunque sull'indignazione di alcuni individui, pronti a piangere sul cadavere di un orefice e non su quello di altre persone morte tragicamente (Pinelli), generalizzandola e presentandola come la più alta espressione della moralità di una città intera, è un abile gioco politico che maschera intendimenti ben più pericolosi. L'esame particolareggiato di queste proposte giustifica ampiamente queste considerazioni.

PROPOSTE E COMMENTI DEI LETTORI E DELLA "STAMPA"

La risposta alla campagna contro la criminalità non si è fatta aspettare: fin dall'inizio la "Stampa" ha pubblicato su "Specchio dei tempi" lettere preoccupate ed impaurite per il dilagare del vizio e della delinquenza. Oltre alle lettere che provengono quasi tutte dal ceto medio e sono firmate da impiegati, negozianti e professionisti, sono apparse in quarta pagina commenti di personaggi della P. S. e della stessa "Stampa".
"Molti anche giovani operai, professionisti arrivati, dirigenti di gruppi politici, chiedono sentenze capitali: forse oggi sarebbe facile raccogliere mezzo milione di firme per ottenere un referendum sulla pena di morte".
"Come sempre il numero e la ferocia dei crimini suscitano nell'opinione pubblica lo sdegno e la paura e quindi scatenano ondate di furore collettivo. Centinaia di lettere ne offrono la prova: è un coro che invoca sanzioni durissime, il ripristino della pena di morte".
"I commercianti chiedono maggior forza dello stato".
"Legge e ordine è uno slogan di crescente fortuna internazionale".
"Per colpire l'ondata di delinquenza non servono i patiboli; occorrono volontà politica, coscienza delle responsabilità e miliardi... si spendano nell'attività repressiva e punitiva: polizia efficiente, tribunali non oberati di lavoro...".
"La gente è allarmata, chiede che le file della polizia siano irrobustite e meglio armati gli agenti; c'è anche chi auspica (in generale sono estremisti di destra) la creazione di "comitati per la difesa civile" di Torino. È una via pericolosa, non conduce a "legge e ordine" ma all'anarchia: non rafforza, ma dissolve l'autorità dello Stato; può aprire le porte alla dittatura". Questi articoli di commento, riportano stralci di lettere a "Specchio dei tempi", in specie quelle che suggeriscono soluzioni drastiche, cercano poi di indirizzare l'opinione pubblica a conclusioni più "democratiche" e rispettose del potere centrale. Vengono pubblicate lettere che definiscono il patibolo come "un naturale strumento di selezione per migliorare il prodotto umano", che affermano l'esigenza di una "esecuzione a fuoco sul posto del delitto".
Ma poi la "Stampa" commenta "il patibolo non serve neppure come estrema minaccia, occorre dare sicurezza alla città nell'unico modo possibile: aumento delle forze di polizia attiva, giustizia rapida, pene esemplari". E l'appello non tarda ad essere recepito dal potere; il dott. Vicari annuncia che "la questura di Torino ha già ricevuto un primo scaglione di 50 agenti particolarmente addestrati alle moderne tecniche; altri 50 saranno presto assegnati alla città. Occorre contrastare la delinquenza con efficienza di uomini e di mezzi". (Eppure qualche giorno prima il dott. Montesano, capo della squadra mobile, aveva affermato "abbiamo colto risultati concreti: grosse rapine non avvengono più con la frequenza di una volta", smentendo completamente il dilagare della criminalità e l'insufficienza della forza pubblica). La paura che traspare dalle lettere è spesso completamente ingiustificata ed è il prodotto di una vera e propria nevrosi da suggestione provocata dalla "Stampa". Un lettore scrive: "Ho il box a cento metri da casa ma se mi capita di arrivare di notte non lo uso, lascio l'auto davanti al portone, preferisco così piuttosto che rischiare a piedi da solo quei cento metri"; un altro scrive che a Torino "se qualcuno ti ferma per chiederti l'ora o una informazione hai già paura"; un'altra afferma addirittura che "una donna non può uscire di casa senza temere un'aggressione". La diffidenza è tale che compaiono articoli come "Nonno prende per mano un bimbo e viene creduto un rapitore" oppure "Arrestarono venti innocenti accusandoli di otto rapine".
L'aver creato nei lettori questa diffidenza verso tutti va ad unico vantaggio della classe dirigente che vede così divise e separate da una barriera di paura e serrate nelle loro case le pedine del suo gioco. Un gruppo di impiegate, evidentemente lettrici assidue della "Stampa" scrive "la città è in mano ai delinquenti; la sera dobbiamo ritirarci in casa, non più teatri, ritrovi culturali, passeggiate; ad ogni passo si incontra la teppaglia". Riteniamo opportuno a questo punto citare altri significativi brani di queste lettere apparse sulla "Stampa". Ulteriori commenti non sono necessari.
"È un autunno nero per il Piemonte..."
"Spesso i responsabili finiscono nelle mani della giustizia, ma altrettanto spesso riescono a fuggire; le forze di polizia sono troppo poche..."
"Il solo pensiero della pena capitale mi sgomenta, ma se ci fosse..."
"Non sarebbe il caso di richiedere all'autorità militare un rinforzo di uomini e mezzi, con la formazione di reparti di polizia militare autonomi oppure alle dirette dipendenze della benemerita P.S.?"
"Io mi domando se una ragazza quando esce, di giorno, naturalmente non di sera, deve portarsi appresso una scorta armata oppure due gorilla. Penso che tutte le ragazze farebbero bene ad imparare il karaté o lo judo".

SULLA PENA DI MORTE

"Condivido pertanto l'opinione di molti e cioè che, nel momento in cui si vive, un'esecuzione a fuoco sul posto del delitto di lesa proprietà a mano armata, aggravata da omicidio, o il sommario processo con immediata condanna ad essere appeso per la gola finché morte sopravvenga avrà certamente l'effetto di rallentare i luttuosi episodi cui assistiamo". Queste delittuose parole piene di sadismo e di violenza sono la conclusione di una serie di lettere scritte in risposta a un cittadino che ha reputava reato chiedere la pena di morte. Il 28 Ottobre 1970 giungono alla "Stampa" 77 lettere; 63 chiedono il ripristino della pena di morte. Sessantatré assassini potenziali per combattere la delinquenza; ma che differenza c'è tra chi uccide per denaro e chi vuole uccidere per difendere quel denaro che a sua volta ha rubato allo sfruttato? Parlando della pena di morte un giornalista scrive: "Non volevamo più tornare sull'argomento e l'abbiamo scritto. Ma siamo costretti nostro malgrado a riparlarne. Ci spingono a farlo le lettere che ci arrivano giornalmente". La "Stampa" non ha evidentemente interesse ad approvare la pena di morte, avrebbe troppe contestazioni, ma soprattutto non è questo l'obiettivo della sua campagna. Sollecitando queste lettere con il panico, la paura e il terrore ha dato modo alle forze reazionarie di aumentare il loro potere giustificando qualsiasi tipo di repressione e facendolo passare anzi come invocato dalla popolazione stessa.

CONCLUSIONI

Non ci interessa molto stabilire se la campagna-stampa sulla presunta recrudescenza della criminalità sia giustificata o no. Piuttosto vogliamo domandarci: quale che sia la realtà delle cose, che effetti obiettivi porta con sé una campagna di questo genere?
Tra i molti lettori di un giornale a grande tiratura, quali sono i più ricettivi a certi discorsi? Chi cioè, ha più paura di un possibile aumento della delinquenza?
La classe operaia no. Non ha nulla da perdere ed è, di fatto, pochissimo esposta al pericolo di rapine, furti, omicidi, ecc. In essa, una campagna allarmistica può al massimo generare il risentimento moraleggiante di chi lavora duramente nei confronti di chi "fa i soldi" in modo illegale.
Gli appartenenti alle classi superiori nemmeno. I loro profitti e i loro privilegi non sono, realmente, raggiungibili e intaccabili dai "colpi" dei rapinatori o dei ladri; sono ben protetti (assicurazioni, operazioni bancarie, ecc.) ed essi hanno cultura a sufficienza per capirlo. Al massimo, se si uniscono al coro è perché pensano di guadagnarci.
Gli unici sui quali una campagna contro l'aumento dei crimini può far presa sono i "ceti medi", e in particolare:
- bottegai (commercianti, gestori di negozi, artigiani, piccoli e piccolissimi industriali, ecc.), cioè gente che è di fatto esposta ai pericoli della delinquenza (hanno soldi, ma non ben protetti) e non è in grado, per le caratteristiche intrinseche della sua classe, di farvi fronte da sola.
- intellettuali di piccole e medio calibro (impiegati, tecnici dipendenti, insegnanti, ecc.) la cui posizione di privilegio è condizionata al rispetto della legalità e che sono impotenti, essendo detentori di pure conoscenze intellettuali, di fronte alla violenza, individualmente.
In questi ultimi una campagna come quella in questione genera allarme e insicurezza, proprio per la sensazione di non aver nulla da opporre, da soli, contro dei pericoli che li coinvolgono direttamente. Questa sensazione, se convenientemente "coltivata" può facilmente trasformarsi in paura irrazionale, che non tiene assolutamente conto che, ad esempio, al giorno d'oggi è statisticamente molto più probabile il pericolo di contrarre il cancro (o morire di infarto) che non quello di essere rapinato per la strada.
L'effetto più immediato di questo senso di insicurezza è il ravvicinamento alle strutture dello Stato e la disponibilità per i tentativi di rafforzarle. Infatti, tutte le proposte avanzate allo scopo di contenere o bloccare la supposta ondata di criminalità (sia che tirino in ballo comitati civici e squadracce - fasciste - anti criminali, sia che chiedano un inasprimento delle pene e della repressione, sia che prevedano semplicemente l'applicazione, pronta ed efficace, delle leggi esistenti) non sono realizzabili se non nel quadro, alla lunga o alla corta, di uno Stato forte o perlomeno efficiente.
È facile prevedere pertanto, come sentimenti del tipo di quelli sollevati da certe campagne allarmistiche possono servire non solo per giustificare provvedimenti volti a risolvere il problema specifico (lotta al crimine), ma anche tutta una serie di altre disposizioni che con la lotta al crimine possono benissimo non aver nulla a che fare. Non a caso gli stessi termini, lo stesso senso di insicurezza, lo stesso modo di presentare ai lettori i fatti e le persone, venne utilizzato in altra occasione, ma recentemente, quando la matrice politica e reazionaria della campagna era più che mai evidente, e cioè dopo le bombe di Milano. "Valpreda pazzo sanguinario, Valpreda maniaco omicida, la strage atto irrazionale senza motivo, ecc." sono discorsi che concordano perfettamente col quadro di criminali presentati come belve umane, per i quali non viene tentata nemmeno la pur minima spiegazione sociologica o psicologica dei loro atti, che ci viene fornito dalla stampa nostrana in questi giorni, anche se a diverso proposito.
In conclusione quale che sia l'intenzione di chi porta avanti campagne di questo genere, e quale possa essere il risultato, a lunga o breve scadenza, che ad esse specificatamente si chiede, l'effetto obiettivo, tanto più sensibile quanto più intensa e prolungata è la campagna, è il rinsaldamento nei ceti medi del senso dello Stato e della necessità di rafforzarono. Sentimento che può servire solo a far digerire un inasprimento fiscale, ma che può essere la base anche per qualcos'altro.

R. Brosio

UN DOCUMENTO DEI DETENUTI DI TORINO

Torino, 16 gennaio. Protesta alle "Nuove", le carceri giudiziarie di Torino. Dopo l'ora d'aria, 200 detenuti si sono rifiutati di rientrare in cella.
Alle 20, dopo sei ore di "insubordinazione" e dopo aver consegnato un documento alla stampa, la manifestazione dei detenuti si è conclusa.
Nel testo del documento, fra l'altro, si dice:
"Mentre si parla tanto di riforma del codice, noi assistiamo ad una campagna spaventosa sull'ondata di criminalità, che tende a mobilitare l'opinione pubblica dietro l'intenzione di reprimere e di usare i cosiddetti "delinquenti", a loro spese, come strumento per l'inasprimento repressivo". Così sentiamo dire che c'è bisogno di più poliziotti, di pene più severe, di una condizione carceraria più dura. Questo di fronte a un codice indulgente con reati come il Vajont, ma più duro di ogni altro per i reati comuni.
"Non accettiamo - continua il documento - di essere totalmente segregati dall'esterno, quasi che si avesse paura di far sapere cos'è il carcere è di far sapere a noi cosa succede fuori. Chiediamo di discutere col procuratore generale di Torino i nostri argomenti e le nostre richieste sulle pene e sul carcere e che a questo argomento venga data pubblicità sulle stesse pagine che speculano su di noi e sul nostro forzato silenzio. Intendiamo continuare a discutere collettivamente rifiutando l'isolamento, l'impotenza, l'autolesionismo ai quali per tanto tempo siamo stati condannati. Le nostre iniziative sono coscienti e organizzate? Questa è la prova che il ricorso alla violenza per rivendicare i nostri diritti non può essere attribuito a noi".

A proposito della violenza criminale

Fiumi di inchiostro sono stati sprecati a proposito dell'ondata presunta di criminalità organizzata. Che si possa parlare di criminalità organizzata è discutibile: è risaputo infatti che, salvo eccezioni con responsabili in alto loco (cosche mafiose siciliane, 'ndranghete calabresi, ecc.) gli episodi di delinquenza sono generalmente opera di individui isolati, senza nessuna organizzazione alle spalle. Non sono "organizzazione" infatti i rapporti, frequenti ma saltuari tra fuori-legge e fuorilegge. (ladro - ricettatore, ad esempio).
A che scopo dunque gli organi di informazione tentano di nevrotizzare la popolazione con titoli apocalittici, se non per giustificare il potenziamento in atto degli organi repressivi? Più potere alle forze dell'ordine, in modo che possano "difenderci meglio". "Siamo con gli onesti" ha detto tempo fa un grosso personaggio della P.S. torinese. Dunque è giusto che la polizia sia forte, per difendere gli onesti lavoratori. È quanto ho sempre fatto, con scrupolo e coscienza:
1970 Reggio Calabria 2 morti; 1970 Milano 1 morto; 1969 Battipaglia 2 morti; 1969 Pisa 1 morto; 1968 Aavola 2 morti; 1962 Milano 1 morto; 1960 Reggio E. 5 morti; 1960 Palermo 3 morti; 1960 Modena 2 morti; 1960 Gela 2 morti; E l'elenco potrebbe continuare, (oltre cento morti negli ultimi venti anni).
Tutte queste località testimoniano la fedeltà delle forze dell'ordine allo stato e il loro impegno nella difesa degli onesti contro i delinquenti.
D'accordo, dunque: maggior potere alla repressione, affinché gli spietati criminali che uccidono per paura, scompaiano dalla faccia della terra, affinché questi figli di nessuno, il più delle volte di bassa estrazione sociale, spesso semi-analfabeti, senza un lavoro qualificato, questa gentaglia per cui lo stato spende miliardi per mettere loro addosso una divisa, cessi di esistere. Gli onesti cittadini, quelli che danno il lavoro agli operai, quelli che danno loro le case dove abitano (in affitto), che permettono loro di comperarsi la macchina, hanno diritto di vivere tranquillamente.
Non si dimentichi però, di mettere a tacere coloro che vanno insinuando che queste campagne "anti-criminali" hanno lo scopo di favorire, oltre che la carriera dei vari Maigret torinesi di turno, anche l'involuzione autoritaria a cui tutte le democrazie (la nostra non fa eccezione) sembrano destinate.
Gli onesti sfruttati non hanno da temere, infatti. Quando scenderanno in lotta, troveranno le forze dell'ordine ben armate, pronte a difenderli. Ma i lavoratori che ogni giorno muoiono nei cantieri, che si ammalano di silicosi nelle fonderie nelle miniere, gli operai delle catene di montaggio, tutto questo lo sanno già. E come lo sanno.