Rivista Anarchica Online
Un po' di teoria
di Errico Malatesta
Sull'En-dehors di Parigi del 17 agosto 1892 (novant'anni fa) appariva questo articolo di Errico
Malatesta, intitolato «Un po' di teoria». Lo ripubblichiamo non come documento storico, ma
come pagine di viva attualità, troppo chiare per dover essere precedute dal solito «cappelletto».
Come illustrazione abbiamo scelto una tavola dal volume «La rivoluzione volontaria», con testi
a cura di Elis Fraccaro e disegni di Fabio Santin (Edizioni Antistato, Milano 1980).
Un soffio di rivolta passa dappertutto; e la rivolta è qui la espressione di un'idea, là il risultato
di un bisogno; più spesso poi è la conseguenza dell'intrecciarsi di bisogni e di idee che si
generano e si rinforzano a vicenda; si scaglia contro la causa dei mali o la colpisce di fianco,
è cosciente o istintiva, umana o brutale, generosa o strettamente egoista, ma in ogni modo
diventa sempre più grande e si estende ogni giorno di più. E' la storia che cammina; è inutile dunque perdere tempo a lamentarsi delle vie che essa
sceglie, poiché queste vie le sono state tracciate da tutta una evoluzione anteriore. Ma la storia è fatta dagli uomini; e siccome noi non vogliamo restare spettatori indifferenti
e passivi della tragedia storica, siccome vogliamo concorrere con tutte le nostre forze a
determinare gli avvenimenti che ci sembrano più favorevoli alla nostra causa, ci abbisogna per
questo un criterio che ci serva di guida nell'apprezzamento dei fatti che si producono,
soprattutto per saper scegliere il posto che dobbiamo occupare nella battaglia. Il fine giustifica i mezzi. Si è molto maledetta questa massima; ma in realtà essa è la guida
universale della condotta. Sarebbe però meglio il dire: ogni fìne vuole i suoi mezzi. Poiché la
morale bisogna cercarla nello scopo; il mezzo è fatale. Stabilito lo scopo a cui si vuoi giungere, per volontà o per necessità, il gran problema della
vita sta nel trovare il mezzo che secondo le circostanze, conduce con maggiore sicurezza e più
economicamente, allo scopo prefisso. Dalla maniera con cui viene risolto questo problema dipende, per quanto può
dipendere dalla volontà umana, che un uomo o un partito raggiunga o no il suo fine, che sia
utile alla causa o serva senza volerlo, alla causa nemica. Aver trovato il buon mezzo: qui sta
tutto il segreto dei grandi uomini e dei grandi partiti che hanno lasciato le loro tracce nella
storia. Lo scopo dei gesuiti è, per i mistici, la gloria di Dio; per gli altri è la potenza della
Compagnia. Essi devono dunque sforzarsi di abbruttire le masse, terrorizzarle e sottometterle. Lo scopo dei giacobini e di tutti i partiti autoritari, che si credono in possesso della verità
assoluta, è di imporre le proprie idee alla massa dei profani. Essi devono perciò sforzarsi di
impadronirsi del potere, di assoggettare le masse e di costringere l'umanità nel letto di Procuste
delle loro concezioni. In quanto a noi, la cosa è diversa: molto differente essendo il nostro scopo, molto differenti
devono pur essere i nostri mezzi. Noi non lottiamo per metterci al posto degli sfruttatori e degli oppressori di oggi, e non
lottiamo neppure per il trionfo di una vacua astrazione. Non siamo affatto come quel patriota
italiano che diceva: «Che importa che tutti gli italiani muoiano di fame, purché l'Italia sia
grande e gloriosa!»; e neppure come quel compagno che confessava essergli indifferente che
si massacrassero i tre quarti degli uomini, perché l'Umanità fosse libera e felice. Noi vogliamo la libertà e il benessere degli uomini, di tutti gli uomini senza eccezione.
Vogliamo che ogni essere umano possa svilupparsi e vivere il più felicemente possibile. E
crediamo che questa libertà e questo benessere non potranno essere dati agli uomini da un uomo
o da un partito, ma che tutti dovranno da se stessi scoprirne le condizioni e conquistarsele.
Crediamo che soltanto la più completa applicazione del principio di solidarietà può distruggere
la lotta, l'oppressione e lo sfruttamento, e che la solidarietà non può essere che il risultato del
libero accordo, che l'armonizzazione spontanea e voluta degli interessi. Secondo noi, tutto ciò che è volto a distruggere l'oppressione economica e politica, tutto ciò
che serve ad elevare il livello morale ed intellettuale degli uomini, a dar loro la coscienza dei
propri diritti e delle proprie forze e a persuaderli di fare i propri interessi da sé, tutto ciò che
provoca l'odio contro l'oppressione e suscita l'amore fra gli uomini, ci avvicina al nostro scopo
e quindi è un bene soggetto soltanto a un calcolo quantitativo per ottenere con forze date il
massimo di effetto utile. E al contrario è male, perché in contraddizione col nostro scopo, tutto
ciò che tende a conservare lo stato attuale, tutto ciò che tende a sacrificare, contro la sua
volontà, un uomo al trionfo di un principio. Noi vogliamo il trionfo della libertà e dell'amore. Ma per questo dovremo noi rinunciare
all'impiego dei mezzi violenti? Niente affatto. I nostri mezzi sono quelli che le circostanze ci
permettono ed impongono. Certo, noi non vorremmo strappare un capello a nessuno; vorremmo asciugare tutte le lacrime
senza farne versare alcuna. Ma ci è forza lottare nel mondo tale come questo è, sotto pena di
restare sognatori sterili. Verrà il giorno, lo crediamo fermamente, in cui sarà possibile fare il bene degli uomini senza
fare male né a sé né agli altri; ma oggi questo è impossibile. Anche il più puro e dolce dei
martiri, quegli che si farebbe trascinare al patibolo per il trionfo del bene, senza far resistenza,
benedicendo i suoi persecutori come il Cristo della leggenda, anche lui farebbe del male. Oltre
al male che farebbe a se stesso, che pur deve contare qualche cosa, farebbe spargere amare
lacrime a tutti quelli che lo amassero. Si tratta adunque, sempre, in tutti gli atti della vita, di scegliere il minimo male, di tentare di
fare il meno male per la più grande somma di bene possibile. L'umanità si trascina penosamente sotto il peso della oppressione politica ed economica; è
abbrutita, degenerata, uccisa (e non sempre lentamente) dalla miseria, dalla schiavitù, dalla
ignoranza e dai loro effetti. Per la difesa di questo stato di cose esistono potenti organizzazioni
militari e poliziesche, le quali rispondono con la prigione, il patibolo ed il massacro ad ogni
serio tentativo di cambiamento. Non vi sono mezzi pacifici, legali, per uscire da questa
situazione; ed è naturale ciò, perché la legge è fatta espressamente dai privilegiati per la difesa
dei propri privilegi. Contro la forza fisica che ci sbarra il cammino, non v'è per vincere che
l'appello alla forza fisica, non v'è che la rivoluzione violenta. Evidentemente la rivoluzione produrrà molte disgrazie, molte sofferenze; ma se anche ne
producesse cento volte di più, essa sarebbe sempre una benedizione in confronto a quanti dolori
sono causati oggi dalla cattiva costituzione della società. Si sa che in una sola battaglia si uccide più gente che non nella più sanguinosa delle
rivoluzioni; si sanno i milioni di fanciulli che muoiono ogni anno in tenera età per mancanza
di cure; si sanno i milioni di proletari che muoiono prematuramente del male di miseria; si sa
la vita rachitica, senza gioie e senza speranze, che mena la immensa maggioranza degli uomini;
si sa che anche i più ricchi e potenti sono meno felici di quanto potrebbero esserlo in una società
di eguali; si sa che questo stato di cose dura da tempo immemorabile. E ciò durerebbe
indefinitamente, senza la rivoluzione; poiché solo una rivoluzione, che attacchi risolutamente
il male alle radici, può mettere una buona volta l'umanità sulla via del proprio benessere. Ben venga adunque la rivoluzione; ogni giorno ch'ella tarda infligge alla umanità una massa
enorme di sofferenze di più. Affatichiamoci e lavoriamo perché essa avvenga presto e sia tale
che basti a finirla una volta per sempre con tutte le oppressioni e gli sfruttamenti. E' per amor degli uomini che siamo rivoluzionari: e non è colpa nostra, se la storia ci costringe
a questa dolorosa necessità. Dunque per noi anarchici, o almeno (giacché infine le parole sono convenzionali) per coloro
fra gli anarchici che la pensano come noi, ogni atto di propaganda o di realizzazione, con la
parola o coi fatti, individuale o collettivo, è buono quando serve ad avvicinare e facilitare la
rivoluzione, quando assicura ad essa il concorso cosciente delle masse e le dà quel carattere di
liberazione universale, senza di cui potrebbe bensì aversi una rivoluzione, ma non quella
rivoluzione che noi desideriamo. Ed è sopra tutto in fatto di rivoluzione che bisogna tener conto
del mezzo più economico, poiché per essa la spesa si totalizza in vite umane. Conosciamo abbastanza le condizioni strazianti materiali e morali in cui si trova il
proletariato, per spiegarci gli atti di odio, di vendetta, ed anche di ferocia che potranno prodursi.
Comprendiamo che vi siano degli oppressi che, essendo stati sempre trattati dai borghesi con
la più ignobile durezza e avendo sempre visto che tutto era permesso al più forte, un bel giorno,
diventati per un istante i più forti, si dicano: «facciamo, anche noi, come i borghesi».
Comprendiamo come possa accadere che, nella febbre della battaglia, nature originariamente
generose ma non preparate da una lunga ginnastica morale, molto difficile nelle condizioni
presenti, perdano di vista lo scopo da conseguirsi, prendano la violenza come fine a se stessa
e si lascino trascinare ad atti selvaggi. Ma altro è comprendere e perdonare certi fatti, altro è rivendicarli e rendersene solidali. Non
sono quelli gli atti che noi possiamo accettare, incoraggiare ed imitare. Dobbiamo essere risoluti
ed energici, ma dobbiamo altresì sforzarci di non oltrepassare mai il limite segnato dalla
necessità. Dobbiamo fare come il chirurgo che taglia quando bisogna tagliare, ma evita di
infliggere inutili sofferenze; in una parola dobbiamo essere ispirati e guidati dal sentimento
dell'amore per gli uomini, per tutti gli uomini. Ci sembra che questo sentimento di amore sia il fondo morale, l'anima del nostro programma;
che solo concependo la rivoluzione come il più grande giubileo umano, come la liberazione e
l'affratellamento di tutti gli uomini - non importa a quale classe o a qual partito abbiano
appartenuto - il nostro ideale potrà realizzarsi. La ribellione brutale avverrà certamente; e potrà servire, anche, a dare il gran colpo di spalla,
l'ultima spinta che dovrà atterrare il sistema attuale; ma se essa non troverà il contrappeso nei
rivoluzionari che agiscono per un ideale, una tale rivoluzione divorerà se medesima. L'odio non produce l'amore, e con l'odio non si rinnova il mondo; e la rivoluzione dell'odio
o fallirebbe completamente, oppure farebbe capo ad una nuova oppressione, che potrebbe
magari chiamarsi anarchica, come si chiamano liberali i governanti di oggi, ma che non sarebbe
meno per questo un'oppressione e non mancherebbe di produrre gli effetti che produce ogni
oppressione.
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