Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 108
marzo 1983


Rivista Anarchica Online

Ancora sulla nonviolenza

Dalla lettera di Andrea Papi su «A» 105 mi sembra di capire che in effetti arriviamo a risultati molto simili, in termini di prassi, partendo però da presupposti diversi.
Oggi, nel dibattito culturale e politico, la nonviolenza è diventata un tema centrale. Si parla da ogni fronte, da quello clericale a quello della sinistra più o meno istituzionale, di nonviolenza. Tutti discutono, ricordano o celebrano più o meno solennemente chi per primo formulò ed applicò questa linea di pensiero e di azione. Ma nella maggior parte dei casi sia Gandhi che il suo pensiero vengono strumentalizzati per fini di istituzionalizzazione di tutte le lotte politiche e sociali e quindi di rigenerazione del tessuto culturale che regge lo stato. Ritengo allora necessario, in questo polverone, continuare a definirsi nonviolenti, ma dando alla parola quei significati che travalicano decisamente il semplice contenuto letterale, che erano all'origine della traduzione dell'Ahimsa.
L'antiviolento di Andrea coincide col nonviolento che avevo cercato di descrivere. Nonviolenza, secondo me, non significa semplice astensione dal violare, non ha un significato puramente passivo. Ha, altresì valore attivo. Non «astenersi da ogni violenza», ma «agire in modo tale da raggiungere il tuo fine positivo con la maggiore riduzione possibile della violenza a lungo termine ed in tutte le sue forme». Se alla parola dò un significato puramente letterale, allora sono perfettamente d'accordo con Andrea: tale nonviolenza porta, per forza di cose, alla passività e alla sottomissione ed io non sarò certo un nonviolento. Un omicidio è una violazione di un'entità vivente. Se so che un uomo in un determinato momento sta per uccidere molte persone in un momento in cui ho pochi minuti di tempo e so che non ho altri mezzi per impedire la strage ed uccido quell'uomo, ho commesso un atto in sé e per sé violento, ma non per questo non sono un nonviolento (se per nonviolenza intendo quei significati non letterali e culturali già descritti). Questo è il primo insufficiente esempio che mi viene in mente lì per lì.
Ogni individuo può essere nonviolento secondo le sue possibilità e capacità ed a seconda delle circostanze in cui si trova ad agire. Se vogliamo pensare per assurdo, è impossibile eliminare la violenza dal mondo. Uccidiamo e sfruttiamo esseri viventi per vivere. Non esiste un'ideologia vera e propria della nonviolenza. Non esistono vangeli di alcun tipo.
L'importante nel raggiungere una società futura, la più bella possibile e concepibile, è cercare, con tutti i mezzi che la coerenza ci permette, di eliminare la violenza, sia a livello sociale che interiore, non rendendola più necessaria. Il problema reale sta, però, nel saper vedere quando, in una determinata situazione, è lecito il mezzo estremo e cioè l'azione veemente, la violenza in senso stretto. Le domande che Andrea mi fa si basano su ipotesi troppo generiche ed eccessivamente teoriche. Posso fare un esempio più concreto.
Non esiterei, per quanto mi ripugni profondamente fare del male ad alcuno, a combattere nelle organizzazioni guerrigliere di liberazione del Salvador o del Guatemala. E combatterei come anarchico nonviolento. In questo caso, infatti, per la maggior parte delle volte, qualsiasi forma di lotta più specificamente nonviolenta sarebbe eccessivamente rischiosa, perché i militari o chi per loro non esiterebbero a massacrare in breve tempo intere popolazioni. Ma qualora se ne presenti l'occasione, quando cioè non sarà più necessario combattere con le armi, mi darei da fare perché la rivoluzione possa continuare in modo nonviolento (rivoluzione non solo fisica o politica ma anche culturale).
Combattere con le armi non significa, in questo caso, essere dei violenti. L'azione in sé è violenta ma è perfettamente conciliabile con la cultura nonviolenta di cui posso essere portatore. Anche Gandhi combatté in varie occasioni. Se dò un significato letterale alla nonviolenza, Gandhi non è stato, né ha voluto essere, un nonviolento. Ma comunque egli ha agito da Ahimsa.
L'eliminazione della logica violenta che anima questa società non può avvenire, come troppi «nonviolenti» pensano, in maniera immediata e radicale. Gli esseri umani di oggi, sottoposti alla continua azione culturale condizionante del potere, non diventeranno certo dei nonviolenti di colpo, ma debbono lottare come meglio credono nelle situazioni varie in cui si trovano, ma cominciando gradualmente a far nascere una nuova cultura nonviolenta dalla prassi continua, dalla crescita collettiva e individuale della coscienza politica.
Le rivoluzioni, quelle vere, non nascono mai all'improvviso, ma possono partire da situazioni improvvise, e magari contraddittorie per crescere, maturare ed evolversi. Questo vale anche per la nonviolenza che rimane, come la intendo io, una componente fondamentale del socialismo anarchico.

Marco Serventi (Roma)