Rivista Anarchica Online
Il prezzo della verità
di Monica Giorgi
E' uscito, per conto della Moizzi editore, un romanzo fino ad ora inedito di August Strindberg,
Solo, del 1903, a cui il drammaturgo svedese riserva il privilegio di far parte, fra le altre opere,
della sua autobiografia artistica, come raccomanda nella lettera del 1904 a Schering. Espressamente riconosciuta è, quindi, l'importanza attribuita dallo scrittore a questo suo prodotto,
collocabile in una stagione artistica che non riguarda esclusivamente l'estetica ed il messaggio-contenuto, ma in specifico la matura ed equilibrata capacità espressiva dell'autore, in grado di
condensare tecnica e sensibilità, strumento ed intuizione reale. Evidentemente Strindberg è
consapevole di aver raggiunto un livello che gli permette di spaziare con disinvoltura anche fuori
della consueta e congeniale forma teatrale, dando visualità alla prosa psicologica. Attraverso Solo, Strindberg mette in pratica, rimuovendola in veste artistica, l'allucinata, dolente e
consapevole percezione da lui stesso così dichiarata: «La mia intera vita mi pare spesso che sia
stata messa in scena solo per me; perché io insieme la patisca e ne dia relazione». Solo sperimenta con successo e con coerente conduzione stilistica il rovesciamento prospettico di
rendere palcoscenico il tempo interiore del soggetto narrante e di fare dell'esteso, fluente ritmo
descrittivo un punto di aggancio per l'identità riflessiva e spettatrice dell'individuo, sia esso io-narrante o io-fruitore. In ultima istanza non esiste personaggio principale. Protagonista è il come
del tema trattato. Il romanzo è scritto in prima persona, ma non è assolutamente autobiografico. Proprio l'espediente
tecnico sopra indicato esclude l'intenzionalità autoespressiva dell'autore e non suffraga, inoltre, le
superficiali ed affrettate interpretazioni critiche di narcisismo e/o peggio ancora solipsismo
strindberghiano. Piuttosto da Solo emergono il difficilissimo proposito e il tormentoso ideale, ormai
acquietati nella pace della realizzazione, costantemente ricercati da Strindberg che così annota:
«Voglio scrivere bello e luminoso, ma non mi è lecito, non ce la faccio, mi impegno come in un
dovere orribile a dire la verità: la vita è indicibilmente brutta.» Solo è una lettura che prende, proprio per la sua natura di romanzo-visione che facilita l'alternanza
ricettiva di una duplice sensitività: una lettura che la si può ascoltare e la si può vedere
scongiurando appesantimenti e stanchezze. In definitiva si può ben dire che, affascinati, ci
immergiamo in essa. Il personaggio-tema è la solitudine che, pur non metaficizzandosi, assume carattere cosmico,
rimanendo però nell'ambito del filo conduttore intimistico esistenziale in cui si svolge. E questa
ulteriore acrobatica mediazione conferisce lirismo all'opera. Essa risulta tanto più vera quanto più sciolta dai vincoli della concretezza, tanto più poetica quanto
più rispettosa della linearità prosastica. Le due composizioni in versi (Ahasversus e Ululano i lupi)
inserite nel piano dell'opera, funzionano come valvole di sicurezza per un meccanismo tanto
delicato e come oasi rigeneranti per la ripresa del cammino narrativo. Non è un caso che la prima
poesia sia collocata a metà e la seconda prima del capitolo conclusivo, il più breve fra tutti gli altri,
quale implicita ammissione di sfinimento psico-fisico dopo tanto, e di qual sorta, impegno
concentrativo. Sia ben chiaro ciò non significa affatto che l'opera risenta e manifesti una qual si
voglia pesantezza narrativa. Solo scorre facile e leggero su fragilissimi binari estetici che però non
smarriscono mai il loro parallelismo. Proprio queste sue positive traiettorie rimandano ad una
comprensibile, insopprimibile tensione latente; una condizione emotiva scaturita dal rischio di
soccombere ad un agguato persistente. Solo cancella la coscienza di leggerlo con il fiato sospeso,
senza per questo morire soffocati. Alla fine rimane la sensazione del volo liberatosi dall'angoscia
maturata nel timore di precipitare. A nulla possono i confini geografici di una Svezia decentrata di fronte alla pervasività del clima
culturale europeo tra la seconda metà dell'ottocento e il primo decennio del XX secolo: tensioni
politiche ed ideologiche al limite della guerra civile e della guerra imperialista. I freddi vuoti di
valori collettivi e le calde gestazioni di idealità interiori influenzano, nella loro incommensurabilità,
l'opera di Strindberg, caratterizzata, appunto, dalla mediazione estetica delle contraddizioni reali. La generazione degli anni '90 si ribella al positivismo naturalistico in nome di una neoromantica e
neomistica ricerca della soggettività che sembra confermare, sul piano letterario-filosofico, quanto
Weber puntualizza su quello storico-sociale: (...) E' il destino dell'epoca nostra col suo
disincantamento del mondo che proprio i valori supremi e sublimi siano divenuti estranei al gran
pubblico per rifugiarsi nel regno extramondano della vita mistica o nella fraternità dei rapporti
immediati e diretti tra i singoli. Non è a caso che la nostra arte migliore sia intima e non
monumentale e che oggi soltanto in seno alle più ristrette comunità, nel rapporto da uomo a uomo,
nel pianissimo, palpiti quell'indefinibile che un tempo pervadeva come un soffio profetico e una
fiamma le grandi comunità. (Max Weber, «La scienza come professione»). Sotto altra forma di indagine il recupero dell'inconscio trova espressione nella ricerca scientifica
della teoria psicoanalitica di Freud e nella metafisica intuizionista del Bergson. A grandi linee la
prospettiva di questo quadro storico si conclude nell'esperienza del Weiner Gruppe di Kraus,
Andrian e del contemporaneo Handke, dilatandosi fino a quella logico empirista del Weiner Kreis
con la ancor oggi assai referenziata teoria del linguaggio del Wittgenstein. Dalla critica dominante è dato per scontato e considerato inconfutabile l'antifemminismo di
Strindberg. Non si conoscono interpretazioni diverse. In virtù delle riflessioni su precedenti teorici
e per consapevolezza storica, è lecito diffidare delle capacità di affermati ed autorevoli critici nel
cogliere temi e aspetti antifemministi in tendenze e in filoni letterari, tanto quanto disprezzano il
fatto che non siano stati colti, se non addirittura volutamente taciuti, autori carismatici ed
intoccabili per e dalla cura patriarcale. Così, per motivi (e se pur possono apparire parziali non
abdico, tuttavia, ad essi) di incredulità giustificata e di orgogliosa diffidenza, una rilettura di
Strindberg diviene necessaria. Innanzi tutto Strindberg è difficilmente inquadrabile in una qualche precisa scuola e perfino
corrente letteraria. E' piuttosto lui ad esserne l'involontario precursore e - suo malgrado - il
ricercatore geniale che muore prima di usufruire dei benefici della propria realizzata scoperta.
Questa è una prima ragione oggettiva, spazio-temporale, per cui Strindberg sfugge all'operazione
integrativa dello schematismo critico presente anche nella fattispecie antifemminista. Ogni
definitiva qualifica risulta inappropriata. Il più delle volte succede che gli autori minori siano il quadro fedele di un'epoca e che la loro
produzione renda possibile quella di un grande autore, il quale, a sua volta, si scopre tale da una sua
opera minore. Ciò vale anche per Strindberg, per il suo Solo e per quell'altra espressione di
raggiunta obbiettività della visione che è Gente di Homsoe. Il periodo «antifemminista» di Strindberg comincia con il distacco dagli ideali romantici che
avevano accompagnato la sua giovinezza e prosegue attraverso i Racconti svizzeri, Matrimoni,
Undici atti unici, Creditori, Il padre, Delitto, La danza dei morti, la seconda parte di Verso
Damasco fino a raggiungere il parossismo interpersonale della coppia trattato nell'opera Lampi
(ovvero, in base ad altre due diverse traduzioni, intitolata anche Temporale e Maltempo), facente
parte della tetralogia del Teatro da camera. La desacralizzazione dell'amore, successiva al periodo giovanile e romantico investe con
approfondita analisi la stessa società borghese, oltre la metodica dei rapporti di classe e sconfina
nella drammatica visione della realtà, scaturita da una totalizzante critica dell'esistenza di cui si ha
testimonianza ne La sonata dei fantasmi. Eppure, in mezzo a questa età della «follia», Strindberg
trova modo e spazio per mettere in bocca a un personaggio di Incendio frasi di una serenità
insperata e di un ottimismo inatteso: «...Afflizione dà pazienza, pazienza dà esperienza, esperienza
dà speranza e la speranza non permette di perdersi». Solo esula però dal percorso principale in
maniera inequivocabile e, benché sia eccessivo non riconoscere nella trafila della produzione
strindberghiana il ricorrente aspetto della problematica umana di un vissuto dissociato e
schizofrenico tra eros e sentimento, caratteristica più accentuata della psicologia maschile, sarebbe
tuttavia altrettanto perentorio e azzardato non sviscerarne le connotazioni profonde ed essenziali su
cui attecchisce. In ogni caso con Solo si apre (e si chiude?) una parentesi di equilibrio e di
pacatezza, che non ha precedenti, per quei demoni interiori sottoforma di psicologismi descrittivi
dell'indole individuale che travagliano con insistenza la produzione del drammaturgo svedese. Ma
fare di Solo una perla anomala di una coltivazione asettica sarebbe rendere un cattivo servigio alla
razionalità e al senso dell'arte; sarebbe ridurre Strindberg ad un tecnico dell'estetica. Ecco perché valutare certi aspetti come sicuramente antifemministi è un'operazione conformista e il
metterli in discussione in un'ottica meno frettolosa mi sembra giusto ed utile. Non soltanto per
restituire a Strindberg quello che gli spetta, ma anche per dare al femminismo quella linfa
chiarificatrice che lo sostenga in un leale progredire ideologico e in un'efficace incidenza sociale. La portata sovversiva del movimento femminista non può, non deve, risolversi in una comoda
stagione commemorativa, ma proseguire in una sempre rinnovantesi tendenza storica, refrattaria
all'esser data una volta per tutte. Le verità cessano di essere tali quando diventano definitive e la
vita si tramuta in morte quando la si vuol assicurare contro le sue leggi di libertà. La vasta opera di Strindberg ha il pregio dell'arte perché il suo contenuto drammatico e finanche
brutale raggiunge toni di veridicità universale e l'angoscia che la permea non è psicopatologia
individuale, ma sentimento di fondo; coerente etica del sentimento in relazione alle condizioni reali
del mondo e della umanità che l'ha costruito: ... «La vita è indicibilmente brutta». Non si è
responsabili dell'orrore solo perché lo si descrive, perché lo si coglie in perfetta lucidità. Celine, per
esempio, è inaccettabile quando rimuove l'orrore esistente appiccicandolo addosso all'ebreo; di
simili incaute rimozioni si è responsabili e si deve render conto: personificare il male è come
esorcizzarlo per paura di non saperlo controllare in noi stessi. Strindberg è estraneo ad un
procedimento riduttivo e semplicistico. Il dramma e la grandezza della sua arte sono alimentate
dalla ricerca della verità che non si stanca e non accetta la formula gratificante, considerata e
respinta al pari della menzogna. Strindberg sarebbe davvero antifemminista se colpevolizzasse, con una banalizzazione che non gli
appartiene, la donna soggettivamente presa per la brutalità competitiva, per l'aggressività
sadomasochista, in cui si è manifestato e in gran parte ancora si manifesta l'incontro fra i sessi. Le
loro esteriorità sono determinate anche e indubbiamente dal tempo e dall'ambiente. Neppure nelle
agitate esperienze matrimoniali di Strindberg c'è traccia di un tale maschilista pregiudizio. Le sue
separazioni sono state sofferte come le speranze in ritentate unioni. Quando mai Strindberg si è
fatto assertore acquiescente di valori della morale patriarcale? Dove è l'accettazione
dell'eterosessualità come obbligo, della monogamia come dovere, o la messa al bando
dell'autoerotismo condannato come perverso anziché inteso ed esperito come conoscenza e
padronanza di sé? Di interessante, di importante, di non trascurabile sta il fatto che Strindberg non mette mai in
ridicolo l'intrinseca potenzialità generatrice di gioia dell'amore. Non deve sfuggire ad una critica
seria e attenta che la lotta fra i sessi, analizzata con l'approfondimento ossessivo tipico
dell'intimismo strindberghiano, è inserita nel contesto del rapporto matrimoniale e familiare e nella
ristretta forma della coppia. E' questo inserimento istituzionale a riscattare il presunto
antifemminismo di Strindberg. Come dire: non i soggetti ma il condizionamento statuale rende
asfittico e stravolge l'istinto di solidarietà e d'amore. Tale strutturalità è tutt'altro che
un'impostazione scorretta o una premessa contraria alle tematiche del movimento femminista. Il
risvolto politico del personale, o meglio dire, la politicizzazione del privato passa proprio attraverso
la portata antistituzionale di cui è carico il discorso libertario e femminista. Non la specificità biologica dei soggetti, dunque, ma la loro coazione entro gli schemi imposti del
potere conducono alle aberrazioni sessiste e alla ruolizzazione dell'individuo e dissolvono la
pariteticità del rapporto fra persone, fra uguali nelle loro differenze. La premessa di fondo della
istituzionalizzazione come causa-scenario della rivalità sessista rende possibile la scoperta ed il
successivo passo in avanti (che per certo Strindberg non ha né abbozzato né sviluppato) della
(auto)coscienza della donna, che nel separatismo e nell'autonomia del quotidiano ha meso a fuoco
l'inaccettabilità del sesso in esclusiva funzione procreativa, del Principio di Realtà a discapito di
quello del piacere e la dannazione della schizofrenia fallica fra sentimento e sessualità. E'
l'immagine in negativo della prospettiva unidirezionale dell'amore, messa senza mezzi termini sul
tappeto del naturalismo strindberghiano, a dare l'immagine capovolta di qualcosa d'altro. E se di più
non è riuscito a dare questo non significa che abbia impedito la rottura di quanto le donne siano
riuscite e riuscianno a rompere. Niente nell'opera di Strindberg si è frapposto a quella pregnante qualità dell'amore individuata
pochi anni dopo dalla Alexandra Kollontaj: L'amore - scrive la sconfessata interlocutrice di Lenin -
è una grande forza creatrice; perché esso diventi appannaggio di tutta l'umanità è necessario
passare attraverso una difficile, nobilitante «scuola d'amore». Questa scuola si concretizza
nell'amore-gioco: «l'amore- gioco» esigendo un'attitudine molto più attenta, delicata e riflessiva
dell'uno verso l'altra, farà disimparare agli uomini l'egoismo senza fondo che oggi è la
caratteristica di tutti i sentimenti d'amore. Il nichilismo di uno Strindberg non è arrivato a fare dello specifico femminile quanto ha fatto (e
non ha fatto) della questione femminile il bolscevismo del Gran Padre della rivoluzione d'Ottobre e
con lui i suoi successivi esegeti della sinistra storica e di classe. Preme ribadire perciò che il conclamato, presunto antifemminismo di Strindberg si annida più che
altro nelle menti interpretative che intendono il rapporto uomo-donna nella fissità di un eterno
astorico e completamente avulso dall'altrettanto problematico rapporto fra persona e persona. Ora è
proprio questo intendimento collocativo antifemminista. Strindberg in Solo non ghettizza il
rapporto uomo-donna immunizzandolo da e/o responzabilizzandolo per il tema della solitudine. La
solitudine, la scelta solitaria è appunto una scelta e si tratta pertanto di un modo di porsi e una
forma di ribellione dell'individuo contro l'inappagante ipocrita convivenza nel conformismo
sociale. L'eroismo tragico della solitudine strindberghiana travalica la dimensione sessuale ed intimista per
assumere uno spessore pluridimensionale che rende Strindberg senz'altro meno antifemminista dei
suoi commentatori sessisti. Questa solitudine ricercata e voluta, raggiunta e accettata, anche se spesso avversata nella sua
angosciante irreversibilità, funziona da specchio di Perseo. Per sconfiggere il male lo strattagemma
del cuscinetto riflettente consente all'eroe mitico di affrontare il malvagio, rappresentato dalla
Medusa, senza esserne contaminato. Lo specchio è l'espediente per la vittoria. La solitudine è il
prezzo per la verità.
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