Rivista Anarchica Online
I dieci giorni che sconvolsero il mondo
di Bunny
Non sono un critico cinematografico, ma dopo aver visto «I dieci giorni che sconvolsero il mondo»,
mi sono venute in mente alcune considerazioni. Come il più noto «Reds», questo film del regista sovietico Bondarciuk, tratta degli stessi personaggi:
il giornalista americano John Reed e la sua compagna Louise Bryant. Ma a diffèrenza di «Reds», che
era la narrazione romantica della vita dei due personaggi (mentre gli avvenimenti politico-sociali che
agitavano quegli anni erano più sfumati), nel film russo il rapporto viene invertito. In questo contesto
i due americani assumono il ruolo di testimoni di quei fatti che suscitarono speranze ed illusioni in tutti
i movimenti rivoluzionari d'Europa. La vicenda prende l'avvio dall'arrivo a Pietro grado dei due americani, l'indomani della rivoluzione di
febbraio, mentre è in atto il tentativo di «golpe» da parte del generale di destra Kornilov. Il film ci fa
percorrere gli avvenimenti che caratterizzarono quel periodo, dalle grandi manifestazioni del luglio fino
alla presa del Palazzo d'Inverno nell'ottobre. Dal punto di vista tecnico, il film sembra ben fatto. Bello il colore, bella la fotografia e particolarmente
belle le scene di massa, soprattutto quelle girate in notturna, con gli enormi riflettori che, spaziando,
gettano fasci di luce sulla folla gremente piazze e strade. Operai, soldati e marinai compongono questa
folla enorme che assieme allo stato maggiore bolscevico è in definitiva la vera protagonista del film.
Ottime sono anche le scene dal campo di battaglia (non dimentichiamo che la Russia è ancora in guerra
con gli imperi centrali) che riescono a comunicare tutto l'orrore della guerra. Cadaveri sparsi sul terreno
e semisommersi dalla fanghiglia. Soldati che trascinano i morti per riunirli assieme, e che indossano
le loro rudimentali maschere antigas per proteggersi dal fetore dei corpi in decomposizione. Se il giudizio sull'aspetto tecnico può essere positivo, non lo può essere invece sui contenuti. L'impressione che si ha è quella di trovarsi di fronte ad un film propagandistico ed agiografico. Prova
ne è una delle scene finali, che ci presenta Lenin quasi come il salvatore dell'umanità sofferente,
contornato da bandiere e garofani rossi e con rumore di ovazioni come sottofondo. Tutto il racconto è intriso di manicheismo moralisteggiante. Da una parte i «buoni» bolscevichi
rappresentanti delle masse e dall'altra i «cattivi», destre e menscevichi rappresentanti se stessi. E
mentre l'uomo del destino (leggi Lenin), coadiuvato dai suoi compari, traccia la via che porterà alla
«liberazione» del proletariato (quello famoso della dittatura), nasce spontanea una domanda: «Ma in
tutto questo, gli anarchici e i socialrivoluzionari di sinistra che fine hanno fatto?» Sicuramente nella rivoluzione del '17 qualche anarchico doveva pur esserci, e tra tante bandiere rosse
qualche bandiera nera deve pur aver fatto la sua apparizione. Emma Goldmann, che in «Reds» fa una
timida apparizione sotto forma di vecchia mugugnona, simpatica, ma mugugnona, qui viene totalmente
eliminata. Eppure penso che Reed abbia conosciuto qualche anarchico e l'abbia anche scritto nelle sue
memorie. Ma tant'è. La patria degli ospedali psichiatrici e del Gulag ha bisogno di rimuovere dalla propria storia e dalla
propria cultura qualsiasi segno della critica libertaria espressa in quei giorni e che rappresentò l'altra
anima della rivoluzione. Sembrerò un inguaribile romantico, ma ho trovato molto più appassionante
la bella storia d'amore di «Reds» che non questo prodotto della migliore tradizione del realismo
socialista, retorico, demagogico, dogmatico e chi più ne ha più ne metta.
|