Rivista Anarchica Online
Contro il militarismo
di AA. VV.
"Partiti civili, arrivati totali" era il titolo del servizio pubblicato sul numero di febbraio: rispondendo alle nostre domande, Giancarlo Tecchio (anarchico) e Sandro Ottoni (radicale), allora detenuti nel carcere militare di Peschiera del Garda (in seguito al ripetuto mancato accoglimento delle loro domande di ammissione al servizio civile) chiarivano il loro pensiero in merito al servizio civile, all'obiezione totale, alle forme più efficaci e al contempo praticabili per opporsi concretamente al militarismo. I loro interventi provocavano, sul numero di marzo di "A", le risposte di due compagni che hanno praticato l'obiezione totale, rifiutando non solo la naja ma anche il servizio civile. Intervengono ora di nuovo Ottoni e Tecchio, che nel frattempo sono stati scarcerati. E intervengono anche altri due compagni, in dissenso con le posizioni espresse dai "totali" Pasello e Zanoni. Il dibattito è tutt'altro che chiuso e già altri interventi si preannunciano per il prossimo numero. Le questioni sul tappeto sono molte e molto sentite, dal momento che riguardano anche le scelte concrete che si trovano a dover operare ogni anno centinaia di migliaia di giovani - o almeno quanti tra loro si pongono in posizione critica dinnanzi al servizio militare, con tutto ciò che rappresenta. Tra tanto parlare di pace e di pacifismo, ci pare che questo dibattito su cosa fare in prima persona contro la macchina militare e l'ideologia che la sottende, sia molto positivo. Da parte nostra c'è la massima disponibilità a ospitare nuovi interventi nel dibattito.
Obiezione
totale, una scelta isolata
Cari compagni, vi scrivo, non più
dal carcere militare questa volta, ma finalmente in libertà anche se
"provvisoria". Il 28 marzo sono
stato processato dalla Corte Militare d'Appello di Verona. Questa,
con una sentenza "illuminata" ma pure attenta alla mobilitazione
antimilitarista creatasi in questi mesi intorno ai casi degli
obiettori in carcere, ha decretato la riduzione della condanna ad 8
mesi (invece di un anno), riconoscendo "l'alto valore morale e
sociale" della mia azione e concedendo la libertà provvisoria in
attesa della risposta ministeriale alla mia quarta domanda di
servizio civile. Questo - tardivo
- riconoscimento manifesta un'evidente contraddizione tra autorità
amministrativa e autorità giudiziaria, poiché la prima fino ad oggi
ha sempre rigettato le mie domande di servizio civile con la
motivazione che il mio comportamento era "manifestamente in
contrasto con i principi morali stabiliti dal legislatore". Tale vistosa
contraddizione si origina nelle aberrazioni della legge 772
sull'obiezione di coscienza con i suoi assurdi criteri di
"valutazione della personalità dell'obbiettore" e il suo
Tribunale delle coscienze. Ma la questione è nota ai lettori di "A"
ed è inutile riparlarne. Invece volevo
rispondere con questa agli interventi di Zanoni e Pasello sul
penultimo numero, sperando che altre voci si uniscano al dibattito
sulla questione obiezione totale/servizio civile. Zanoni, con
puntuali argomenti, sostiene la validità etica e politica
dell'obiezione totale. In linea di massima approvo quanto dice, però
giudico la sua analisi politica parziale ed inadeguata ai tempi che
corrono. Credo che
l'obiezione totale resti una scelta isolata, nei fatti improponibile
all'interno dello stesso movimento anarchico. Ribadisco: una scelta
eroica, poiché "eroe" non è colui che va a farsi ammazzare in
guerra, bensì semplicemente chi dimostra una coerenza etica e ideale
al punto da mettere in gioco il proprio corpo. Forse a Mauro e Franco
sembra ovvia e naturale la coerenza con le proprie idee spinta fino a
quell'estremo limite (e l'hanno dimostrato), ma non credo affatto che
per i più la cosa sia così ovvia e convincente. Basta guardarsi
attorno per vedere quale crisi di eticità e di politica viviamo e
per vedere anche quanti giovani anarchici vanno più o meno
tranquillamente a fare il servizio civile. È
che la galera, come ben sapete, è brutta e fa paura e a niente servono i
sofismi che "chi obietta non sceglie la galera", poiché salvo
eccezioni rarissime (vedi il caso recente di Pippo Scarso), essa è
inevitabile conseguenza per chi si dichiara obiettore totale. Io,
più realisticamente, preferisco confrontarmi con le migliaia di
giovani che decidono per il servizio civile, proprio per evitare che
questa scelta potenzialmente antimilitarista si riduca ad uno spazio
di comodo imboscamento o peggio a quella "istituzionalizzazione"
in cui Zanoni vede già chiuso e concluso il movimento degli
obiettori. Mi pare un giudizio affrettato e polemico che tende ad
irrigidire un'opposizione tra obiezione totale e servizio civile,
secondo me né necessaria né utile. Credo invece che le due scelte
siano modalità differenti di affrontare la stessa cosa, entrambi
possibilità di lotta antimilitarista. Se
nella coscienza del singolo la risposta all'esercito matura fino al
punto di accettare la conseguenza di un anno di carcere piuttosto che
prestarsi ad una qualsiasi collaborazione, se ancor più si vuol
assumere la politicità di questa obiezione, io non potrò che
sostenere ed appoggiare questa posizione (condivido pienamente le
critiche di Mauro al silenzio stampa pacifista sugli obiettori
totali). Ciò che non comprendo è perché si debba proclamare questa
scelta come l'unica autentica, anarchica risposta al militarismo... Alcune
precisazioni. Franco dice che i Testimoni di Geova sono in carcere
militare a causa delle loro idee. Penso che "idea" sia qualcosa
di più che la pedissequa citazione a memoria della Bibbia. Penso che
la comprensione e la tolleranza siano molto difficili verso persone
che si trovano in galera, sì, ma sottomesse con convinzione e
motivazioni religiose alla più stretta disciplina (che considerano
"esercizio spirituale") e che collaborano in tutto
all'istituzione. In realtà la congrega dei Testimoni di Geova ha
ottenuto 6 mesi pagati di seminario teologico a spese dello stato.
Che poi i più giovani ed i meno indottrinati di loro vivano con
sofferenza quell'assurda costrizione, non può influire sul giudizio
negativo che si deve dare di questa setta nel complesso. Il loro
antimilitarismo è del tutto casuale, si rifà nient'altro che ad
alcuni versetti della Bibbia e si traduce in pratica in una comoda
scuola iniziatica. A
Mauro invece vorrei dire che quando sia io che Giancarlo ci
autoconsegnammo si trattava della seconda volta e che quindi eravamo
certi della condanna ad un anno di carcere militare. I "quindici
giorni" di prassi li avevamo già scontati l'anno precedente:
Giancarlo a Peschiera, io a Forte Boccea (nel novembre '83, quando
anche Mauro era dentro). Quindi nessuna "impreparazione
psicologica": da parte mia vi fu una scelta politica ed etica per
difendere il valore dell'obiezione di coscienza, il diritto a
prestare un servizio civile che per me si configura come servizio
antimilitarista (niente di più "civile" che l'antimilitarismo!). Augurandomi
la continuità del dibattito, un caro saluto.
Sandro Ottoni (Firenze)
Signornò
Mi chiamo Gatteschi
Carlo, ho 29 anni, sono di Genova. Dopo 6 mesi di servizio militare
mi sono autodenunciato, rifiutando di continuare a svolgere il
servizio e dichiarandomi obiettore totale. Sono stato condannato a
sei mesi di reclusione per disobbedienza aggravata, con la
prospettiva di dover tornare a concludere il servizio una volta
scontata la pena. I motivi che mi
hanno portato a questa decisione sono di duplice natura: 1) Una repulsione
istintiva verso il mondo militare e il suo sistema di valori. La
macchina militare, con i suoi meccanismi spersonalizzanti, e la sua
"cultura della violenza", è il vero nemico da combattere, più
dello stesso sistema politico, che teoricamente dovrebbe svolgere
funzioni di controllo, ma che in realtà è esso stesso controllato e
strumentalizzato. 2) Considerazioni di
natura più ampia sull'opportunità di promuovere un vero e proprio
movimento di disobbedienza civile nei confronti delle strutture
militari, rifiutando qualsiasi forma di collaborazione con esse. Per
questo motivo non condivido la scelta del servizio militare
alternativo, vera e propria valvola di scarico della protesta
antimilitarista e nonviolenta, concessa soltanto per motivi di
opportunità politica. Io sono fermamente
convinto che la possibilità di incidere sull'opinione pubblica, e
sulle future scelte politiche e militari del nostro paese, saranno
molto maggiori se i futuri obiettori di coscienza opteranno in massa
per l'obiezione totale, divenendo in questo modo un movimento
terribilmente imbarazzante, e difficile da gestire. In questo modo,
infatti, anche la propaganda a favore del disarmo unilaterale,
dell'abolizione del servizio di leva obbligatorio, della riduzione
delle spese militari e a favore della creazione di una "cultura
della non-violenza", acquisterebbe un peso e un'importanza ben
superiori a quelle attuali. La mia scelta di
sperimentare il carcere militare è quindi, oltre che un'esigenza di
coerenza con le mie posizioni e il modo di pensare, anche e
soprattutto atto dimostrativo e provocatorio, un invito cioè rivolto
a tutti i singoli e i movimenti interessati, dagli anarchici ai
cattolici, a considerare e a discutere la eventualità da me
proposta. Anche il carcere
può e deve diventare un vero e proprio laboratorio di "cultura
non-violenta". Soprattutto oggi si avverte la necessità di nuove
forme di impegno civile e sociale, di una nuova creatività nel modo
di vivere e di fare politica. La mia vuole essere una proposta in
questa direzione.
Carlo Gatteschi
Ma in carcere non
è vita
Personalmente non
volevo tornare pubblicamente sull'argomento su queste colonne perché
speravo altri obiettori si sarebbero impegnati a proseguire il
dibattito, ma visto il perentorio invito non mi sottraggo sperando
comunque che altri partecipino per non far cadere la discussione
nella semplice polemica. A Franco Pasello ho
scritto molte lettere e con lui ho avuto un notevole scambio di
opinioni sul significato del mio gesto anche se nessuno dei due ha
cambiato la propria opinione. Io sono convinto
che il potere va combattuto anche nella sua vocazione repressiva e la
scelta di un tipo di lotta piuttosto di un'altra va fatto in base
alla nostra forza, perché lo stare in galera non serve a nessuno. Quando sono uscito
da Peschiera il mio primo pensiero è stato quello di lottare
affinché anche Sandro e gli altri obiettori potessero lasciare il
lager. Non credo e non penso che nessuno potrà mai convincermi che
subire quella violenza bestiale possa essere una forma di
antimilitarismo. Siamo d'accordo che la galera non si sceglie, ma
quando sono entrato sapevo a cosa andavo incontro come lo sapevano
Franco, Mauro e Sergio e tutti gli altri che hanno dovuto subire
quell'aberrante esperienza. È
abbastanza sofistico parlare di scelta o di imposizione vista
la matematica conclusione dell'atto di obiezione. Io ho sempre
distinto il fatto di obiettare al servizio militare dal servizio
civile, perché credo che se il primo è un atto politico, il secondo
è un'alternativa al carcere oggi, nella situazione in cui il
movimento si trova, è maggiormente praticabile dell'obiezione
totale. Il mio servizio
civile consisterà nel proseguire il lavoro di controinformazione
antinucleare che da anni ho intrapreso e che ritengo in ogni caso
estremamente importante. Tra l'altro mi diverte l'idea di essere
pagato dallo stato per fare informazione contro le scelte di questa
struttura statunitidipendente. È sicuramente una contraddizione,
però une delle tante contraddizioni, anzi forse più accettabile di
tante altre alle quali ogni giorno ci sottoponiamo. Abbiamo
l'automobile, ne paghiamo il bollo, la benzina, paghiamo le tasse per
"servizi" che non vogliamo, sottostiamo a tutte le gabelle
che ci vengono imposte da un sistema nel quale, nostro malgrado,
siamo inseriti e col quale ogni giorno facciamo mille compromessi
solo perché non abbiamo la forza di realizzare quella società
autogestita, ma non per questo rinunciamo alla nostra speranza e alle
nostre lotte. Non sono un puro, e non ne ho ancora conosciuti e non
credo ne esistano. Anche per organizzare il convegno di Venezia i
compromessi con il potere sono stati tanti e se si fosse agito in
"purezza" il convegno non ci sarebbe stato, ma io sono convinto
che ne è valsa la pena e quelli che hanno vissuto quella esperienza
sono sicuro sono d'accordo. Questa divagazione
non vuole essere una giustificazione perché, e questo l'ho già
detto nell'intervista, non me ne importa, è solo una constatazione.
L'essere anarchico oggi, per me, vuol dire essere soprattutto vivi e
vivere intensamente l'esigenza di una società libertaria e proporsi
in questa ottica nel rapporto con gli altri: ma vivere, e a
Peschiera non si vive, nel carcere non si vive. La lotta non si può
fare nelle caserme, nel carcere, nel parlamento, ci vuole spazio,
bisogna sfruttare quello che ci resta. Volevo rispondere a
Franco sull'equivoca interpretazione dello sciopero della fame che io
e Sandro avevamo intrapreso a dicembre, in quanto lottare per il
diritto all'obiezione non vuol dire lottare per una legge, ma
semplicemente cercare disperatamente di affermare il diritto a
rifiutare una struttura demenziale, ma estremamente logica per il
potere, quale è l'esercito. Una cosa vorrei chiarire a quanti
possono aver interpretato in questo senso il mio gesto: io non ho mai
lottato per cambiare le leggi e non credo che finché esisteranno
strutture che possano decidere per la gente esisterà mai una
prospettiva di libertà. Lo sciopero della fame era l'unica arma,
seppur inflazionata, che ci restava per cercare di propagandare il
nostro convincimento. A Mauro, con il
quale ho condiviso il carcere, voglio dire che sono d'accordo
pienamente col finale del suo intervento anche se l'acidità del
"chierichetto" (sì, effettivamente ho fatto anche quello
quando avevo 8 anni) è un po' troppa. Ma superiamo la polemica e
diamoci realmente da fare perché il rifiuto alla struttura militare
diventi una scelta generalizzata, perché tutti i giovani che devono
subire questa esperienza si ribellino, rifiutino l'assurdità. Parlando con i miei
carcerieri (tutti di leva,) il rifiuto era mitigato dalla paura, ma
in ognuno di loro c'era questa istintiva ripulsa per quella struttura
che li imprigionava (quasi come noi). È su questo terreno che
bisogna impegnarsi perché il nostro antimilitarismo vada al di là
del momento testimonianza. Al di là della sterile (e questo mi è
molto dispiaciuto) difesa di un gesto, del cercare di vestirsi della
tunica immacolata della purezza che non esiste. Nella prospettiva
di una società anarchica ognuno dà secondo le proprie possibilità;
evitiamo le polemiche e rimbocchiamoci le maniche. Oggi a Peschiera è
ancora incarcerato Carlo Gatteschi che ha scelto di fare l'obiettore
totale dopo sei mesi di servizio militare. La sua situazione (è
stato condannato per disobbedienza) è estremamente complessa e
rischia di restare in carcere fino al quarantacinquesimo anno di età.
Lottiamo per farlo uscire, perché le carceri, tutte le carceri
vengano distrutte. Anche i
carabinieri, quando sono dietro le sbarre, meritano il nostro
appoggio e la nostra solidarietà; e dico questo con profonda
convinzione: nelle galere c'è un mondo che subisce violenza, una
violenza insopportabile per chi lotta per un mondo di eguali. Abbracci anarchici.
Giancarlo Tecchio
(Vicenza)
Il bisogno del
dubbio
Ci siamo: come al
solito dalla C.P. 17120, e da altre parti beninteso, spunta fuori
qualcuno con le certezze ben salde! Beato lui. Ed io sono qui a
scrivere, non tanto per contestare questa o quella posizione, quanto
piuttosto per sottolineare un certo modo di porsi di fronte ai
problemi. Mi riferisco alle
lettere, apparse su "A" 126, di Franco Pasello e Mauro
Zanoni, sull'obiezione. Meriterebbero due risposte distinte, ma la
molla che li ha spinti a scrivere è la stessa e le due lettere hanno
alcuni aspetti comuni, per cui cercherò di tirare fuori ciò che ho
da dire ad entrambi. Ciò che mi ha
lasciato male è la categoricità di certe affermazioni; la sicurezza
che l'aver fatto una cosa giusta, coerente, li porta a condannare, a
tracciare la solita linea di demarcazione fra gli ANARCHICI e gli
(...anarchici...). Questa sicurezza,
questa solidità, anziché trasmettere anche a me sicurezza, mi fa
paura. Anche la mia attività, il mio sentirmi anarchica, è iniziato
molti anni fa. Anche per me scoprirmi anarchica ha significato
immediatamente cercare di "trasferire questo modo di essere
ideale alla vita concreta". A darmi forza è stata la continua
presenza di questa tensione. Ritengo che questo
sia già molto, ma durante il cammino mi sono scontrata con tanti
ostacoli, ho dovuto "mediare" le mie scelte, facendo i conti
con la realtà di tutti i giorni, con la società che mi circonda. Ho
avuto anche il mio periodo di "militanza intransigente"
dove tutto e tutti erano o di qua o di là. Ma gli anni, l'esperienza
e soprattutto lo scambio continuo con gli altri compagni servono a
maturare, a cercare di "fare sempre meglio". Ed una delle
cose che ho imparato è che forse serve di più, ed è anche più
difficile, poter dire "ho sbaglialo", "non ho ancora
fatto abbastanza", anziché andare avanti convinti di avere
fatto la scelta giusta e che quella qualifica. Per entrare
nello specifico, Franco Pasello dopotutto sostiene che "ognuno è
libero di scegliere il servizio civile", per poi aggiungere che
sono "obiettori" "opportunisti" e che questo non ha
niente a che fare con l'antimilitarismo. E va avanti facendo
intendere che chi come Giancarlo Tecchio e Sandro Ottoni sceglie il
servizio civile, in fondo, ritiene giusto lottare per migliorare le
leggi! Mauro scrive una
lucidissima lettera a cui non ho niente da obiettare: parte dalla sua
esperienza personale arrivando in modo appassionato e sentito ad una
giustissima analisi generale della questione. Conosco Mauro, lo
ammiro per la sua forza e la sua coerenza; so che le sue non sono
parole vuote, ma fatti concreti. Devo solo dirgli questo: non può
trasporre questo a tutti gli altri. È giusto pretendere molto da se stessi e dagli altri, ma questo
non può e non deve significare ergersi a giudici impietosi e
censori. Se qualcosa si sta
muovendo nel movimento anarchico è proprio una nuova consapevolezza,
un nuovo modo di porsi rispetto agli altri ed ai propri ideali:
l'aver colto e fatto propria "l'umiltà intellettuale
necessaria ad essere continuamente aperti al dubbio, al dialogo, alla
verifica, alla curiosità per tutto ciò che è dentro e fuori di
noi. Perché quell'umiltà può permettersela, contrariamente alle
apparenze, solo chi ha la certezza della propria identità"
(Amedeo Bertolo, Volontà n. 3/84, pag.8). Cerchiamo di
abbandonare vecchi decaloghi, non perché i contenuti siano
sbagliati, ma perché questi contenuti non possono essere racchiusi,
pena la loro sterilità. E questo significa accorgersi delle
contraddizioni in cui tutti noi viviamo, con la volontà di
superarle, ma con la consapevolezza che sempre se ne presenteranno.
Avere sempre questa tensione e da questa fare in modo che, immersi
come siamo in tante situazioni non scelte, possiamo in ogni caso, in
ogni situazione, "lasciare un segno", allargando le
"possibilità" ed accorciando la distanza fra il nostro
"essere" ed il nostro "voler essere". Tutto questo cosa
significa rispetto alla questione su cui stiamo dibattendo? Non
significa certo sminuire le scelte degli obiettori totali. E qui
capisco il risentimento di Franco e Mauro che si sono sentiti in un
certo modo criticati per la loro scelta. Non è certo la mia
intenzione, non li considero "inutili eroi" e mi piacerebbe
che non fossero pochi casi isolati. Ma questa scelta,
visto che di galera si tratta, può partire solo dall'individuo, non
la può dettare nessun codice di comportamento. Se volessimo epurare
il movimento anarchico di quelli che non sono riusciti a fare questa
scelta, sarebbe une strage. Perché ora tanti scelgono il servizio
civile, ma i compagni delle generazioni precedenti (parlo degli
anarchici oggi 30-40enni), diciamocelo, in maggioranza facevano il
servizio militare. Il movimento
anarchico è sempre stato antimilitarista, ma spesso il lavoro
antimilitarista si è esaurito con affermazioni dogmatiche. I
principi ben saldi c'erano, ma non si facevano molti passi verso la
realtà, per far capire e rendere praticabili questi principi. E
questo ha provocato, da una parte, l'isolamento degli obiettori
totali: sono sempre stati "casi individuali" e come dice
giustamente Mauro la loro lotta non è raccolta e sostenuta a
sufficienza. Ma dall'altra parte, e per gli stessi motivi, questo
dogmatismo ha anche fatto sì che tutte le altre scelte rimanessero
parcellizzate, frazionate, silenziose: un compromesso da tacere. Ci è mancata la
capacità di raccogliere ogni grande e piccolo rifiuto individuale in
un progetto più ampio che rendesse l'antimilitarismo una realtà
sempre più dirompente e tangibile. Io non credo all'utilità sociale
del servizio civile, ma se questo dimostra anche solo "la
repulsione al servizio militare", perché tacerlo? Anche questa
semplice repulsione può essere un "contatto" con
l'antimilitarismo e perché proprio noi non vogliamo raccoglierlo?
Rosanna Ambrogetti
(Forlì)
Allora ho sbagliato tutto?
Caro Zanoni, non sono d'accordo
con te! Aprendo "A" 126, a pag. 40, mi sono sentito addosso tutti
i miei 24 anni di vita. Ho pensato, ad un certo punto, di aver
sbagliato tutto. Io mi sono scoperto
anarchico molto presto, ma a sentire te che parli di rottura con lo
Stato attraverso il rifiuto della scuola, del militare, del lavoro
salariato, ho pensato per un attimo di essere sempre stato un
socialdemocratico. Sono stato 5 anni in una scuola media superiore e
per 5 anni ho sempre lottato e dato tutto me stesso nella lotta; ho
fatto il servizio militare (se vuoi per vigliaccheria: non ho avuto
il coraggio di stracciarla quella maledetta cartolina) ma anche lì
ero uno di quelli che "la guerra non la faranno mai"; sono
stato spesso lavoratore dipendente, ma i soldi purtroppo mi servivano
e mi servono; sono stato emarginato ed esorcizzato in tante occasioni
(specie nel "movimento" (?)" P.aC.I(fista). E vorrei inoltre
dirti (bada, chi sta scrivendo è proletario per estrazione sociale,
non per meriti acquisiti) che io non sto accettando lo Stato, né
questi mi paiono compromessi con esso: il rifiuto dello stato può
anche essere espletato, a mio avviso, in altri modi, con altri metodi
più o meno diretti. Per arrivare all'antimilitarismo e parlare di
ciò di cui tu hai parlato (anche delle tue contestazioni al servizio
"Partiti civili, arrivati totali" pubblicato su "A"
125) io penso che l'obiezione al militarismo (sia civile, sia totale)
sia, di fatto, un porsi in antagonismo con lo Stato, un rifiuto di
esso anche nel primo caso. E a dire il vero, io penso che un
anarchico in galera sia sì la dimostrazione della repressione, della
intollerabilità, dell'oppressione, del terrorismo dello Stato e dei
suoi servi, ma anche che un anarchico fuori dalla galera possa agire
e lottare in maniera più utile e diretta (in fondo, ho qui davanti a
me il volantone della riunione di Carrara del 17.3.84 dei lavoratori
anarchici sulla scala mobile...). Non voglio con ciò dire che le tue
scelte non siano giuste (anzi, tutt'altro), ma che possono esistere
altri modi e forme di essere anarchico e di essere convinti che lo
Stato non è invulnerabile. Ciao e anarchia.
Angelo Toccaceli
(Marsciano)
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