Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 132
novembre 1985


Rivista Anarchica Online

Alla ricerca della coerenza flessibile
di Salvo Vaccaro

L'annoso dibattito all'interno del movimento anarchico tra spontaneismo e organizzazione, pur sempre libertaria, vede oggi l'unanime riconoscimento dell'importanza del secondo, a fronte di un disincanto salutare nei confronti del primo. La scarsa attenzione rivolta alla capacità progettuale di anticipare, nei limiti del possibile e nei vincoli del presente illibertario, elementi organizzativi di una realtà diversa sino alla radice, trova oggi rimedio nelle analisi degli anarchici organizzati di tutto il mondo, le cui critiche non sono soltanto radicalmente "distruttive", ma mirano nel contempo a porre alternative praticabili sin da ora che diano il segno tangibile della vitalità e della reale possibilità del pensiero e della prassi anarchica come organizzazione della vita in un sistema di libertà.
Certo, si fatica a progredire nelle elaborazioni che sono per necessità un work in process che non pretende di esaurire tutto in una astratta architettonica di elementi vitali non irregimentabili né prevedibili a priori; però la strada dei progetti anarchici è stata, quale più quale meno, imboccata e va perseguita con fantasia, tenacia e applicazione.
In questo processo si inserisce talvolta una feroce critica ad un comportamento ideologico "purista" che si trasformerebbe ipso facto in "scelta dell'isolamento marginale". La volontà di ridiventare forza viva nella società, nel suo pieno e non nella periferia, diventa, in questo attacco, una vivace, disincantata e spregiudicata politica pragmatica che fa dell'"opportunismo", dal punto di vista libertario e per i propri fini, una delle armi principali di penetrazione nel tessuto sociale laddove esso è pure istituzionalizzato. Ciò per non essere tagliati fuori da enormi segmenti di società "soffocati" e "rivestiti" da istituzioni politiche e, in ultima analisi, statuali. No al "purismo", quindi, via libera alla "contaminazione", allo "sporcarsi le mani" pur in modo attento e senza tradire finalità e obiettivi di fondo.
Qua sorgono le mie perplessità. Credo che, in questo labirinto sull'orlo di un precipizio, prendere scorciatoie sia pericoloso, e che alcune puntualizzazioni siano opportune e tempestive, al fine di aggirare sia Scilla che Cariddi. Che il "purismo" possa rasentare una condizione di immobilismo politico che, bene che vada, garantisce a stento la mera sopravvivenza, può come non può essere uno stato di fatto; quel che è più preoccupante è la contiguità con un "dogmatismo" che fa dell'ideologia, nel senso forte del termine, l'unico strumento di discriminazione binaria, tra ciò che è (anarchico, giusto, vero, e via dicendo) e ciò che non è. Atteggiamento tipicamente dogmatico (il Parsifal di CL e del suo Buttiglione) perché eleva a normatività una legge universale che tale non è: l'idea (o la morale, che serve individui e non totalità). Mi rendo conto che siamo già in un campo discutibile. Del resto, la credibilità di un'idea qualsiasi (politica, etica, scientifica,... o no?) è legata alla coerenza dei suoi postulati di fondo, in altri termini, l'identità visibile del "nocciolo duro", come si usa dire.
Fare dell'identità una questione esclusivamente ideologica - sovratemporale, universale, normativa - è un rischio che corre il "purismo", che legge la realtà con un paio d'occhiali rigidi, al limite totalmente inadeguati a cogliere ciò che dovrebbe leggere. Da strumento di lettura, l'ideologia nel "purismo" diventa grammatica; e chi legge diversamente, è in errore (para-eretico) proprio perché non usa deliberatamente quella grammatica, utilizzando un altro paio d'occhiali.
Naturalmente, se il nucleo dell'identità è uno spettro ampio di "elementi di fondo" che, inoltre, in determinati aspetti e frangenti di epoca, si arricchiscono variando, il problema della conciliazione tra diverse paia d'occhiali e il "nocciolo duro" si pone relativamente ed elasticamente, in rapporto alle reciproche affastellazioni e flessibilità. Per il "purismo", invece, la pluralità di occhiali cozza contro la monoidentità della legge grammaticale normativa.
Se il "purismo" è un atteggiamento rigido, statico, quasi dogmatico, spesso immobilista, la seduzione dell'"opportunismo" elevata anch'essa a legge è pericolosa, perché smarrisce quei fili che legano coerentemente teoria e prassi, minandone la credibilità. Una tattica "opportunista", presa isolatamente, può anche risultare, appunto, opportuna; ma fattane una regola, si ricade nel vizio opposto al "purismo", eliminando tout-court gli occhiali di lettura e immergendosi totalmente e passivamente nei flussi del reale illibertario subendone la dinamica impressa da altri.
Una strategia politica anarchica dell'"opportunismo" confonde la propria capacità di flessibilità con quella di tutte le istituzioni, il che è da sempre oggetto della critica anarchica che afferma che le dinamiche istituzionali assorbono, vanificandoli, i conflitti depotenziando coscienze combattive, anestetizzano punti di lotta, obbediscono a regole proprie immutabili se non con rapporti di forza ribaltati. Di conseguenza, il pensiero anarchico ha sempre privilegiato la dimensione sociale a quella politico-istituzionale, registrando una netta separazione dei due domini - il che oggi andrebbe rivisto.
Salvo casi sporadici, legati anche a determinate circostanze in cui contraddizioni all'interno del campo istituzionale possono favorire, se inseriti dentro, un temporaneo stravolgimento delle regole, l'analisi è corretta, e l'"opportunismo" tattico può talvolta rispondere a esigenze di interruzione di circuiti politico-istituzionali di potere, sempre entro una prassi critica "in negativo", distruttiva. Ma il lato costruttivo va chiaramente delineato entro una dimensione autogestionaria, diretta, ecc., che nulla ha a che spartire con le istituzioni statuali, locali e periferiche se non bracci di ferro, prove di forza, conflitti, tecniche di spiazzamento e di vanificazione.
Ciò non vuol dire sottovalutare il peso istituzionale nelle lotte e nelle coscienze, anche perché la statualità ha dato sempre segni di enormi capacità di recupero e di ingabbiamento, sia preventivi che successivi, il che non è una disgrazia a patto però di aprire immediatamente un altro fronte di lotta e costringere così l'istituzione a rincorrerti, ad inseguirti sul tuo terreno che tu hai deciso nei tempi e nell'ampiezza tattica di apertura del fronte.
Alla flessibilità statuale - che è comunque legata al pachiderma-stato nei suoi ritmi di azione e di reazione politico-amministrativa - lo stato poggia sui tempi lunghi e sull'anticipo - corrisponde una flessibilità anarchica, che noi chiamiamo "gradualismo".
La gradualità è l'unico asse per il quale viaggia la coerenza flessibile del rapporto teoria (identità, occhiali) e prassi (strategie, tattica), ed è l'unica alternativa alle false scorciatoie del "purismo" e dell'"opportunismo strategico". Essa, più che rendere più vicino il "fatidico giorno" (vecchia concezione della rivoluzione come "alba del giorno nuovo"), consolida giorno dopo giorno quelle condizioni materiali e simbolo-immaginarie che rendono possibile e praticabile un cambiamento qualitativo della vita collettiva.
Nel conflitto quotidiano con lo stato, la gradualità serve, in funzione difensiva, ad evitare di ricominciare da zero ogni ciclo di lotte, e, in funzione offensiva, ad allargare i fronti di lotta, a sfruttare nuovi trampolini di lancio, ad allargare il raggio strategico del "possibile ora" (il cosiddetto "possibile logicum", ciò che rientra nelle concessioni possibili che non intaccano la compatibilità del sistema); e ciò sia in un'ottica "in negativo" che in una "in positivo".
Ritengo, in conclusione, che la riscoperta critica della gradualità strategica possa far uscire dalle secche l'anarchia organizzata, l'attualità della cui utopia possibile, oggi più che mai, può essere la risposta corretta ai problemi delle libertà in una società in trasformazione.