Rivista Anarchica Online
Firenze
di Massimo Panizza
Villa Fabbricotti,
immersa nel verde, fuori dai circuiti della Firenze caotica e
turistica accoglie in alcune sale di fresco restauro la
festa/convegno sul "vivere insieme" come esperienza globale,
ricerca di affinità, nuove possibilità d'intervento (promossa dalla
rivista AAM Terranuova in occasione dell'equinozio di primavera,
22-23 marzo). I partecipanti sono
numerosi (più di un centinaio) e disomogenei per provenienza, età,
caratteristiche. Il filo conduttore, il consesso dei dialoghi e degli
scambi, mi sembra, ancor più che il vivere insieme, l'alimentazione,
la coltura biologica, il riciclaggio, quasi che la scelta comunitaria
costituisca solo un mezzo per allontanarsi dalle città, per produrre
cibi sani e per vivere come ecologia comanda. È ora di cena e
gli organizzatori stanno approntando il desco: pasta, miglio,
verdure, minestre, tutto rigorosamente bio-integral-macrovegetal.
Qualche carnivoro impenitente, frustrato dalla sua diversità si sarà
convinto che finché non perde il "vizietto", di vivere insieme
non se ne parla. Peccato, perché a bassa voce uno dei ragazzi della
comunità di Sovicille mi ha confessato che loro di carne ne
mangiano. Carne buona, allevata da loro, senza tossine, senza
estrogeni, eccome se la mangiano! E la vendono pure. Eccome se la
vendono! Dopo cena musica
folk, ottimi budini alla frutta e un discutibile video su una festa
contadina della tradizione lucana. Il giorno dopo
verso le dieci ha inizio l'assemblea conviviale. Per raccogliere
energie positive dell'aere e propiziare la mattinata di lavoro, si
forma un cerchio, le mani ben strette e si emette un suono. Male non
può far, facciamolo. È
per lo spirito. Dà la dimensione tribale. Come se potessimo
sceglierci la cultura. I primi interventi
riassumono il lavoro svolto nel pomeriggio di ieri dai partecipanti
riuniti in alcuni gruppi d'interesse e di affinità. Tutti i
coordinatori hanno lamentato la mancanza di tempo per affrontare temi
tanto vasti e scottanti. Per lo più c'è stato un grosso scambio di
esperienze personali frutto del vissuto dei partecipanti.
L'impressione che ricavo da questa sintesi è comunque di una scarsa
progettualità al di là della generale tendenza verso un
miglioramento della propria esistenza. Quindi curiosità ed interesse
sono rivolti alle problematiche interne: responsabilità,
spontaneismo, impegno, organizzazione, regole, creatività,
convivenza, relazioni, comunicazione, ruoli, educazione, linguaggio,
lavoro. E nel seminario coordinato da Alberto L'Abate del movimento
nonviolento si fa riferimento ad esperienze condotte in Olanda, dove
gruppi affinitari si sono impegnati nello sperimentare lo star bene
insieme quale progetto di un grosso lavoro di analisi sulle
possibilità di costruire la leadership diffusa, il potere di tutti. A conferma di
questa tendenza interviene più tardi Hocy Mazzini, conoscitore della
realtà comunitaria danese. In Danimarca la capacità di autogestire
i momenti di vita collettiva è molto alta e diffusissima a vari
livelli di coinvolgimento. In rapporto alla popolazione una grossa
percentuale di danesi scelsero in passato nuove forme di vita in
contrapposizione alla normalità. Ma le facilitazioni del governo
laburista limitarono la contrapposizione generando un recupero da
parte dello stato di questo fenomeno fiorito come forma di lotta e di
rifiuto negli anni della contestazione. Andrea Papi
sottolinea questo pericolo, ma il tempo stringe e non so fino a che
punto il suo breve intervento sia stato inteso. Teresa Branduzzi,
interessata al mondo comunitario da molti anni e lei stessa
protagonista itinerante, osserva la stessa scarsa progettualità e
una chiusura verso l'interno e il "personale" nelle comunità
tedesche. Nella scelta
comunitaria quanto è presente la contrapposizione al sistema? Il
carattere politico di rottura è a fondamento del progetto iniziale?
Quali forme di lotta e d'intervento sul sociale caratterizzano e
distinguono la scelta politica da una meno significativa fuga in
campagna? Queste domande che mi balenano in testa sono rimaste
irrisolte. Solo Marco della comunità Aquarius, accenna
all'importanza dell'impegno e della responsabilità nel territorio
d'appartenenza intorno ai fatti legati all'ambiente, alla giustizia,
alla gente. Aggiunge che purtroppo la dimensione comunitaria
inizialmente, assorbe molto, penalizzando quest'aspetto fondamentale.
La tendenza è di accantonare i temi che hanno caratterizzato le
lotte del decennio scorso per indirizzare l'azione al raggiungimento
di risultati più immediati. È
quello che stanno facendo gli "Zappatori senza padrone" nel
comprensorio dell'Acquacheta e nel forlivese. Tra le comunità
presenti Damanhur (180 persone, Piemonte) fa la parte del leone.
Invitati per fare un quadro della realtà italiana ("cosa si muove
e non ce ne accorgiamo" leggo sul programma) preferiscono
soffermarsi sul loro raffinato progetto di autosufficienza. Al grido
di libertà per l'individuo hanno fondato una vera e propria città,
e parlano di totale autosufficienza e autonomia dalle istituzioni.
Peccato si contraddicano solo in alcune cose! Sono presenti nelle
liste verdi e nella comunità montana. Eleggono un governo interno
che dispone spostamenti ed occupazioni degli individui. Posseggono un
sistema economico ed una moneta, il "credito", con tanto di
quotazione e di cambio. Ogni adepto versa nella cassa comune i suoi
averi. Nel tempio si celebrano cerimonie a carattere esoterico alle
quali partecipano con tuniche di colore diverso che indicano
posizioni gerarchiche ben precise. Il sesso inizialmente era
rigidamente controllato. Ora, testuali parole - c'è una maggiore
apertura, ma niente licenziosità, naturalmente. Naturalmente. Insomma la solita
setta totalitaria. Quel che mi lascia
allibito è che una simile setta - a cui era stata appunto affidata la
relazione sul movimento comunitario in Italia, che alcuni hanno
proposto come punto di riferimento nazionale e che comunque ospiterà
il prossimo incontro del movimento comunitario - possa svolgere un
ruolo centrale nel movimento stesso.
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