Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 140
ottobre 1986


Rivista Anarchica Online

Morte da cani
di Fausta Bizzozzero

Da cinque anni un gruppo di ragazzi gestisce in modo diverso il canile di Vigevano. Le istituzioni, che pure dovrebbero occuparsene, se ne fregano. Ora questi ragazzi non ce la fanno più. E il canile di Vigevano tornerà ad essere quel lager che era.

Domenica mattina. Proprio di fianco al cimitero dove i "buoni cristiani" sfilano in pellegrinaggio sulle tombe dei loro morti, proprio lì a due metri dall'entrata c'è un cancello anonimo. Dall'interno giungono latrati e dalla piccola apertura nella parte inferiore sporgono, ammucchiati, musi di cani di ogni tipo, che i misericordiosi passanti non degnano di un'occhiata. È il canile di Vigevano, un canile come tanti se non fosse per il fatto che è gestito - o meglio autogestito - da un gruppo di ragazzi.
Fino a cinque anni fa, infatti, il canile funzionava "normalmente", cioè sopprimendo i cani dopo tre giorni di permanenza. Poi, Lino, Daniela, Lorenzo, Giovanna, Paolo hanno deciso di occuparsene, spinti dall'amore per i cani e dalla speranza di riuscire a gestire il canile in modo diverso. Non sapevano cosa li aspettava. Da quel momento sono stati lasciati completamente soli e hanno dovuto far fronte a difficoltà di ogni tipo: costruire cucce che non esistevano, provvedere di tasca propria all'acquisto di cibo e disinfettanti, trovare un veterinario che prestasse la sua opera gratuitamente. Di fatto, da quel momento, Comune e USL se ne sono lavati le mani anche se il canile è comunale e dovrebbe essere gestito dalla USL.
Il problema più grosso, però, e che si è andato aggravando progressivamente, è quello dello spazio e del numero di cani che ormai sono una sessantina stipati in un luogo che potrebbe ospitarne trenta.
"Sono anni ormai - dice Lorenzo - che continuiamo a chiedere uno spazio più grande senza alcun risultato. Il comune sostiene di non potersi fare carico della costruzione di un nuovo canile perché a Vigevano vengono portati i cani raccolti in 52 comuni e quindi anche questi comuni dovrebbero contribuire; l'USL, che ha - o meglio dovrebbe avere - il carico della gestione, sostiene che è un problema del Comune, in un palleggio continuo di responsabilità. Tutt'e due, poi, dicono che il problema ce lo siamo voluti noi, visto che prima veniva risolto con la soppressione. Abbiamo quindi una continua situazione di sovraffollamento che scatena - come sempre - problemi di aggressività che diventano a volte gravissimi perché l'accalappiacani arriva durante il giorno quando noi non ci siamo e butta i cani nuovi in mezzo agli altri provocando aggressioni quando non di peggio".
Certo, perché tutti lavorano per vivere e devono ritagliarsi il tempo (circa due ore al giorno sabato e domenica compresi) da dedicare ai cani; in questi anni ne hanno sistemati più di 500 e quelli che restano - quelli che nessuno vuole - li conoscono uno per uno, sono ormai i loro cani. Sembra impossibile, viste le condizioni in cui vivono, ma questi cani non se ne vanno neppure quando il cancello è aperto!
"Ce ne sono di tutti i tipi - dice Lorenzo - e ci sono anche cani di razza abbandonati come giocattoli vecchi dai loro padroni quando si rendono conto che il rapporto con un altro essere vivente implica responsabilità e impegno. E d'altra parte tutti sanno che noi non li ammazziamo e allora ne approfittavano, scaricando su di noi il loro problema. Ora, però, non è più così e quando vengono per lasciarci i loro cani li rispediamo in malo modo: che ciascuno si assuma le sue responsabilità !".
La storia più emblematica dello sfruttamento a cui spesso i cani sono soggetti è quella di Margherita, una cagna S. Bernardo di circa 15 anni. Quando l'hanno raccolta era ridotta a 30 chili, pelle e ossa, con mammelle lunghissime a forza di fare cucciolate. Evidentemente quando non è stata più in grado di produrre cuccioli i suoi padroni se ne sono liberati.
Oltre ai rapporti estremamente frustranti e improduttivi con le istituzioni (basti pensare che quando si sono presentati al direttore della USL la prima domanda è stata: di che partito siete?), questi ragazzi, soli, slegati da qualunque partito o forza politica, hanno cercato di stabilire rapporti con la popolazione, hanno cercato di sensibilizzare la gente in diversi modi: hanno costituito un "club del cane", sono andati nelle scuole di Vigevano e dei paesi vicini con un veterinario, un cantautore e fotografie del canile suscitando molto interesse soprattutto nei bambini dei paesini. Hanno quindi fatto un lavoro di controinformazione e di "educazione" certamente importante e che è servito anche concretamente perché ha portato aiuti economici. Ma poi hanno dovuto lasciar perdere perché non riuscivano da soli a fare tutte e due le cose: la gestione pratica del canile e il lavoro informativo di supporto.
"Certo che se in Italia ci fossero tanti gruppi come il nostro - dice Lino - probabilmente si riuscirebbe a strappare qualche cosa alle istituzioni, mentre così... pensa che recentemente abbiamo avuto epidemie di cimurro e di scabbia, abbiamo chiesto alla USL di fare una disinfezione e quelli ci hanno risposto che prima avremmo dovuto sopprimere tutti i cani, poi loro avrebbero provveduto alla disinfezione! Noi cerchiamo di assolvere a questo impegno, che di fatto è diventato un secondo lavoro, al meglio delle nostre possibilità, ma non è facile perché le condizioni oggettive sono quelle che sono. Ad esempio noi facciamo sempre firmare una dichiarazione di impegno a chi viene a prendersi un cane e fino ad un po' di tempo fa andavamo a controllare di persona che il cane fosse trattato bene: ora non riusciamo più a farlo, ogni anno arrivano circa 300 cani, riusciamo a sistemarne due terzi ma non più a seguirli uno per uno".
Sono stanchi e hanno tutte le ragioni per esserlo. Più che stanchi, delusi e amareggiati. Per cinque anni hanno lavorato quotidianamente per cercare di cambiare una struttura disumana - il canile - e di diffondere una cultura diversa del rapporto uomo-animale senza riuscirci. Volevano che i cani non fossero più soppressi e a volte si trovano essi stessi nella necessità di farlo.
"A che scopo continuare, allora? - dice Lino - Ci teniamo i nostri 60 cani, questo è certo. Stiamo cercando qualcuno che ci dia un pezzo di terra per costruirci un canile nostro (e lo costruiremo anche senza permessi) e là continueremo ad aver cura di loro. Ma questo canile, il canile di Vigevano, tornerà ad essere quello che era".