Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 147
giugno 1987


Rivista Anarchica Online

Quell'eretico di un Leone
di Andrea Papi

Ottima scelta quella delle edizioni "La Baronata" (cas. post. 22, CH - 906 Lugano 6) di pubblicare la breve antologia "Scritti Eretici" di Leone Tolstoj (pag. 147, lire 10.000).
Come viene spiegato bene nella nota del curatore, vi sono riprodotte le "briciole della sua opera... non a caso meno conosciute", cioè poco citate e quasi mai messe in evidenza. È la parte più scomoda e trasgressiva del suo pensiero e delle sue opere, in cui appare con forza come il noto scrittore russo non sia recuperabile e assimilabile a nessuna istanza precostituita, a nessuna filosofia ufficiale dominante.
In effetti Tolstoj non è incasellabile all'interno di nessun movimento e di nessuna concezione del suo tempo, mentre ha dato notevoli e validi contributi che sono stati fatti propri da più pensatori e più movimenti. Di qui il carattere completamente peculiare del suo pensare, agire e scrivere, dove l'opera scritta riflette il suo cammino interiore, le sue riflessioni e il suo procedere intellettualmente ed esistenzialmente, alla costante ricerca di ciò che è collocato al di là della superficie e oltre l'apparenza.
Egli fu cristiano, ma non si riconobbe nella cristianità. Anzi fu scomunicato e messo al bando dalle chiese ufficiali, detentrici del potere temporale, perché considerato un eretico pericoloso. Buon per lui che era finito il tempo delle inquisizioni, altrimenti, molto probabilmente, avrebbe subìto il martirio che le chiese somministrarono a molti liberi pensatori disobbedienti. Dopo un lunghissimo travaglio interiore, verso i cinquant'anni aderì alla rivelazione delle parole di Cristo, ma ne colse l'aspetto di trasformazione individuale, la solidarietà concreta verso i più deboli e i derelitti, rinnegando al contempo lo sfrenato lusso e il prepotente strapotere delle strutture gerarchiche del dominio ecclesiale. Oltre che cristiano, divenne perciò anche anticlericale.
È stato uno dei riconosciuti padri fondatori della nonviolenza. Ma i nonviolenti, pur riconoscendone con venerazione l'incontestabile validità, in genere prendono le distanze da lui. È pur vero che la pratica nonviolenta fu perfezionata da Gandhi, il quale la fece diventare un vero e proprio fatto collettivo, fino a divenire momento propulsore di lotta di popolo, mentre in Tolstoj è molto più simile a una dichiarazione di principio, anche se ne fa un vero e proprio enunciato di resistenza individuale e lo propugna come metodo di lotta. Ma le ragioni delle distanze, a mio avviso, sono altre. Per il nostro Leone la nonviolenza è una diretta conseguenza di tutto un modo di pensare e di vedere le cose; non è punto di partenza, ma di arrivo, conseguenza delle scelte etiche e della visione della società di potere che contesta. C'è, in lui, un rifiuto radicale delle strutture del dominio, che identifica come causa prima della violenza. Da qui, la sua nonviolenza che si collega direttamente al ripudio delle organizzazioni sociali basate sulla prepotenza dei governi e delle leggi ad essi funzionali.
Fu un sostenitore ad oltranza del pacifismo e dell'antimilitarismo. Però il suo ha ben poco a che vedere con l'attuale pacifismo di facciata. La quasi totalità dei pacifisti, a parte qualche frangia emarginata, oggi propugna di fatto un'illusoria pace basata essenzialmente sull'assenza di guerre mentre si affida alle trattative tra gli stati, nella speranza vacua che si accordino per non combattersi più. Anche i più avanzati, come quelli che chiedono il disarmo unilaterale, lo concepiscono all'insegna di una non ben definita coscientizzazione degli stati stessi che, secondo le loro pie illusioni, dovrebbero pervenire spontaneamente alla decisione di smilitarizzarsi. In Tolstoj, invece, c'è una chiarissima consapevolezza che ciò non può avvenire, perché stati e governi hanno un bisogno congenito degli eserciti, generatori in quanto tali delle guerre. Per lui la pace è l'effetto della cessata esistenza di ogni esercito. Per questo non si chiede a governi e stati di disarmarsi, bensì si disobbedisce loro ribellandosi alle imposizioni. Rispetto al suo anarchismo, la questione è controversa, perché non si riconobbe mai all'interno di nessun movimento anarchico. Lo riteneva portatore di metodi di lotta troppo violenti per sentirsene parte. Sostenitore della resistenza passiva, come metodo di risposta ai soprusi e alle violenze dei poteri costituiti, non poteva accettare né la ribellione violenta né la strategia insurrezionale quali strumenti di lotta contro gli stati, nelle quali l'anarchismo storicamente determinatosi si è sempre riconosciuto.
Gli stessi anarchici discordano nel giudicare la sua personalità politica. Sarebbe lungo riportare il dibattito che in proposito si è sviluppato. Basti qui ricordare che una parte degli anarchici lo ripudia fino a considerarlo pericoloso, in quanto la sua passività di risposta di fronte ai soprusi dei potenti è ritenuta utile solo alla sottomissione. C'è, chi, al contrario, lo considera un anarchico a tutti gli effetti, che si caratterizza per la sua specificità nonviolenta. C'è pure chi, come me, è convinto che, anche se non inseribile all'interno dell'anarchismo classico, Tolstoj ha tuttavia dato un notevole contributo di riflessione e di pensiero, oltre che di testimonianza diretta, all'evolversi dell'anarchismo stesso. Ritengo inoltre molto relativo il fatto che non facesse parte del movimento che si richiama storicamente all'anarchismo. Le sue prese di posizione nei confronti delle leggi, dei governi, del militarismo, dei poteri costituiti, la sua critica radicale alle gerarchie ecclesiastiche e burocratiche, la sua denuncia costante della diseguaglianza e dell'ingiustizia, sono sufficienti ad annoverarlo tra i pensatori libertari che maggiormente hanno contribuito a denunciare il presente stato di cose, e a far sorgere il bisogno di ribellarsi e di lottare per una società basata sulla libertà degli individui e sull'uguaglianza.
Egli spinge continuamente a rifiutare l'organizzazione sociale oppressiva, e, con estrema coerenza etica, invita a non patteggiare con i responsabili di questo stato di cose. Tutto ciò contribuisce, senza ombra di dubbio, allo sviluppo del pensiero e delle pratiche utili a realizzare una società in cui gli anarchici possano riconoscersi.
Per quanto riguarda il suo essere cristiano, mi viene spontanea la seguente riflessione. Ben vengano tutti coloro che, attraverso il vangelo, sono portati a pensare e ad agire come fece Leone Tolstoj. Se le parole di Cristo sono in grado di suscitare sentimenti di ribellione, di rifiuto delle gerarchie ed azioni per l'avvento della libertà e l'uguaglianza, esse non possono essere considerate in sé malefiche, come spesso superficialmente succede. Soprattutto, se pensiamo che invece sono sempre servite ai preti come alibi per imporre il loro terribile potere secolare per quasi due millenni.
Rispetto al vangelo, come del resto ad ogni altro pensiero, i giudizi e le scelte non possono che essere individuali e solo su questo piano debbono fra loro confrontarsi, al di fuori di presunte verità supposte uguali per tutti, perciò da imporre. Partendo proprio dal vangelo Tolstoj divenne eretico, anticlericale e libertario; e noi, pur non condividendo l'insieme del suo pensare, non possiamo che salutarlo come nostro fratello e di ciò rallegrarci. Ce ne fossero di cristiani animati da simili sentimenti e intenzioni!
Secondo me, sono ben altre le critiche che gli si possono muovere. Come la massima parte dei pensatori del suo tempo, si lascia infatti prendere la mano da una buona dose di determinismo e manifesta una spropositata fiducia nelle facoltà razionali. Mostra una profonda convinzione che il mondo proceda verso la salvezza, quasi per un destino insito nell'ordine naturale delle cose sostenuto dalla divina provvidenza. Per lui ci sono addirittura segni evidenti di questo ineluttabile progredire. Scrivendo del rifiuto di un certo Van der Veer, obiettore di coscienza, afferma che il suo gesto sarà forzatamente seguito da altri, fino a far sì che "della guerra e dell'esercito non resterà che il ricordo. E questi sono tempi vicini". In ciò che scrive appare più volte una certezza quasi messianica che il mondo non può che procedere verso una liberazione sempre più prossima. A circa un secolo di distanza, con l'occhio disincantato dagli avvenimenti, oggi possiamo sorridere di questo suo ingenuo determinismo.
Ad esso si accompagna la fede che la ragione prevarrà. Anche questo fu un vizio di pensiero abbastanza diffuso. Ciò che determina l'ingiustizia e la sofferenza è insensato e irrazionale, ma per lui gli uomini sono vicini ad usar la ragione per comprendere l'assurdità di ciò che hanno determinato. Sembra quasi uno strascinarsi residuale del secolo dei lumi. Come quasi tutti i suoi contemporanei, non tiene conto dei condizionamenti culturali, delle tensioni emotive, delle pulsioni inconsce, di tutto quell'apparato irrazionale insomma che riesce il più delle volte ad imporsi sulla nostra ragione, fino a determinare le scelte che muovono le nostre azioni.
È la vecchia illusione secondo cui gli esseri umani scelgono esclusivamente in base alle proprie riflessioni razionali, per cui la causa dei mali che ci affliggono sta nel non aver compreso razionalmente le cause. Come se una volta che queste ci illumineranno, il mondo potesse cambiare d'incanto. Anche questo fideismo razionalistico oggi ci fa sorridere. Nel contempo, Tolstoj ebbe delle intuizioni estremamente attuali, che sembrano contraddire le ingenuità precedenti. Quando, per esempio, comprese che solo la presa di coscienza individuale è in grado di opporsi alla prepotenza della forza armata e all'imposizione gerarchica dei poteri costituiti. Oppure quando si rese conto che il dominio può essere esercitato perché c'è un'interiorizzazione della sottomissione, un addestramento a far diventare gli uomini dei robot, in modo che possano essere reclutati ed educati a pensare come loro si comanda. In altre parole, si rese conto che tutto si sorregge sul consenso delle coscienze, le quali, proprio perché spinte dalla parte irrazionale dell'individuo di cui in altre parti non sembra accorgersi, si identificano con la mentalità e le ragioni di chi ci sottomette.
Nell'antologia "Scritti Eretici" di cui stiamo parlando, tutto ciò compare con molta evidenza. È un libro veramente utile che aiuta a riflettere, oltre che su Tolstoj, soprattutto sull'oggi e sul che cosa fare, perché, come tutti i pensieri autentici, stimola le capacità critiche di ognuno di noi. La critica ci permette di non accettare supinamente ciò che ci viene imposto o rivelato. Quando è genuino, il pensiero degli individui è eretico.