Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 173
maggio 1990


Rivista Anarchica Online

Diversi ma insieme
di Giuseppe Gessa

Anche il mondo dell'immigrazione è diventato terreno di manovra per piccoli e grandi scalatori della politica e dell'economia. Con Igor Zecchini, tra i fondatori dell'associazione "Diversi ma insieme", parliamo delle prospettive che la recente legge sull'immigrazione offre a chi arriva in Italia. Non certo molto buone

Noi pensiamo che il razzismo cresce e prospera su di un humus di carattere culturale, ma il suo dispiegarsi è il prodotto di una disgregazione sociale. Per questo, nel 1988, quando, in seguito alla prima affermazione elettorale della Lega Lombarda, i media italiani intrapresero una campagna apparentemente antirazzista, non prestammo loro molto credito e decidemmo, inizialmente con italiani, di dare vita all'associazione.
Igor Zecchini è uno dei fondatori di Diversi ma insieme, un'associazione milanese tra le più attive sui problemi dell'immigrazione in Italia dal Terzo Mondo.
II nostro antirazzismo di fondo è quello di aiutare gli immigratati ad organizzarsi, perché possano uscire da quella condizione di esercito di manodopera di riserva sempre ricattabile ed usato in modo classico ai fini di una divisione del movimento dei lavoratori. Convinti che il problema dell'immigrazione si apprestava ormai a diventare una condizione strutturale della realtà italiana, decidemmo all'inizio di dare vita a un'attività di informazione, attraverso l'apertura di una linea telefonica per la denuncia degli episodi di razzismo.
Lo sviluppo dell'associazione fu rapidissimo, in quanto mancava a Milano un organismo che affrontasse il problema dell'immigrazione secondo una logica che non fosse solo quella assistenziale. È questa una caratteristica non solo di realtà associative cattoliche ma anche di quelle laiche o marcatamente di sinistra; le stesse azioni di solidarietà messe in piedi dal sindacato non sfuggono a questo limite di intervento.
Igor Zecchini intende comunque sottolineare l'utilità anche di questo tipo di intervento, ricordando che senza le strutture di accoglienza delle associazioni cattoliche, il tributo di morti per freddo pagato dagli immigrati lo scorso inverno a Milano sarebbe certo stato rilevante.
Un approccio al problema dell'immigrazione puramente assistenziale tende però a riprodurre il fenomeno piuttosto che a risolverlo, non a promuovere un'emancipazione sociale ma a mantenere i livelli di gerarchia esistenti.
C'era quindi uno spazio vuoto nella città, lo spazio di una struttura di organizzazione degli immigrati per la lotta sociale. Lo stesso associazionismo interno all'immigrazione, a causa delle pressioni politiche esterne - spiega Igor - non riesce in molti casi a uscire dalla logica dell'assistenza. Ciò è dovuto anche ai meccanismi messi in moto dai primi interventi legislativi sulla questione, che hanno dato vita alle cosiddette "consulte per l'immigrazione", strutture che dovrebbero tutelare gli interessi degli immigrati ma che sono prive di alcun potere effettivo. La falsa rappresentatività di queste strutture ha già provocato dei veri e propri disastri: prima ancora che si potesse creare un movimento di massa degli immigrati è stata già creata una struttura di direzione, l'unica ad essere riconosciuta dall'amministratore locale come referente per le eventuali trattative.

Italiani brava gente?
Chiedo ad Igor quali sono le caratteristiche della nuova e vecchia immigrazione e quali le prospettive sulla vita degli immigrati con la legge Martelli.
All'esplosione dell'immigrazione in Italia ha corrisposto une forte chiusura legislativa da parte di altri paesi europei, in relazione all'accesso ed alle condizioni di permanenza dei cittadini dei paesi del Terzo Mondo. In secondo luogo, il nostro paese è stato l'ultimo, anche se oggi stiamo ormai marciando nella direzione degli altri stati, che ha conosciuto fenomeni di razzismo consistente a livello di massa. Possiamo anche dire che l'ideologia degli italiani-spaghetti e italiani-brava gente in qualche modo ha sedimentato e ha spinto molta gente a scegliere l'Italia per emigrare. L'elemento che ha favorito una spinta superiore all'immigrazione è però la progressiva flessione dei livelli di vita nei paesi di origine, che ormai da molti anni presenta una curva decrescente.
Quanti sono effettivamente gli immigrati in Italia e cosa si nasconde dietro la campagna condotta da molti sulla presunta invasione del territorio italiano?
La questione del numero degli immigrati è stata usata dal governo in modo abile, nella fase precedente la nuova legge, per giustificare la questione del numero chiuso. Sono state perciò gonfiate le cifre dell'immigrazione, in particolare di quella clandestina, per giustificare la politica dell'"al lupo al lupo", con tutto quello che ne consegue. La sanatoria sta in realtà portando a un forte ridimensionamento delle cifre. Personalmente non credo che il numero complessivo degli immigrati superi il milione di persone, molto al di sotto delle stime governative che parlavano di un milione otto centomila persone.
La questione del commercio ambulante, al centro degli ultimi episodi di razzismo a Firenze non è, secondo Igor Zecchini, quella più rilevante, ma è solo quella più visibile, i problemi più gravi sono poi altri, più nascosti.
Nelle grandi città l'area del commercio è anche quella più organizzabile, perché consente di avere come riferimento nuclei di persone abbastanza concentrate. Bisogna distinguere due categorie nel commercio ambulante: la prima, quella dei senegalesi, lo pratica come scelta di vita. I senegalesi sono per tradizione un popolo di commercianti e si possono trovare, oltre che in Europa, praticamente in tutta l'Africa. Di fronte alle repressioni si assiste comunque, dopo un po' di tempo, allo sradicamento dalla loro cultura e molti finiscono per cercare un'altra occupazione. Per quanto riguarda l'immigrazione dal Marocco, si trattava in origine di un'immigrazione stagionale, concentrata nei periodi morti del lavoro agricolo. La siccità che colpisce da anni questo paese ha però finito per trasformarla, gradatamente, in immigrazione stabile.

A chi servono i clandestini
Sulla valutazione generale della legge Martelli, presentata come una legge democratica e più avanzata rispetto alle altre legislazioni europee, Igor ribadisce che al centro di essa non c'è la sanatoria, ma la militarizzazione del territorio contro gli immigrati e un regalo alle esigenze del sistema produttivo, sia palese che sommerso. Sulla possibilità di attuare un blocco delle frontiere non esiste, al di là delle trovate propagandistiche degli ultimi giorni, alcuna possibilità concreta: anche nel governo c'è la consapevolezza che, di fronte a persone che si lasciano alle spalle la certezza della morte per fame, ogni misura dissuasiva non può che rivelarsi inutile.
La clandestinità - dice Igor - in realtà è molto utile: in parte per alleggerire le strutture pubbliche dal farsi carico delle esigenze di carattere sociale degli immigrati ma, soprattutto perché c'è un settore della nostra economia nazionale che sulla clandestinità vive e prospera. Piccoli imprenditori, artigiani, commercianti, proprietari di ristoranti o anche chi, per ragioni di status sociale e di prestigio, ama avere due colf al posto di una, a suggellare la propria posizione nella scala sociale. Non dimentichiamo un settore della malavita che, sulla clandestinità e sulla conseguente emarginazione sociale, potrà trovare "personale" per le proprie attività. La clandestinità è, in sostanza, un favore alla parte più retriva del padronato.
La sanatoria è oggi però stata fatta perché, effettivamente, c'è l'esigenza della grande industria di recuperare manodopera per lo svolgimento di attività ai più bassi livelli produttivi, quelle più faticose e pericolose. Ci sono state infatti forti pressioni sul governo, da parte di settori confindustriali di molte province italiane, per poter inserire gli immigrati nelle proprie strutture produttive.
Se rispetto al lavoro dipendente i problemi di inserimento, per chi si regolarizza, dovrebbero essere superati, molto più ambigua è la situazione di coloro che opteranno per altre forme di attività, pure previste dalla normativa, quali la cooperazione e il commercio ambulante.
Le cooperative che potrebbero formare gli immigrati saranno di fatto tagliate fuori da qualsiasi forma di finanziamento e di sostegno pubblico.
Per quanto riguarda il commercio, che interessa la grande maggioranza degli immigrati, il problema viene spostato - chiarisce Igor Zecchini - ad un altro livello. Si dà la possibilità, secondo la legge, dell'iscrizione all'albo, previa però frequentazione di un corso e sostenimento di un esame, con tutta probabilità in italiano. Questo significa in concreto eliminare una notevole fetta di immigrati dalla possibilità di accedere alla professione. Rimane comunque il problema della licenza, per la quale esistono liste lunghissime anche per gli italiani, nonché, nella remota ipotesi che un immigrato riuscisse ad ottenerla, quello di trovare un posto dove esporre la merce.
La legge non offre in proposito alcuna garanzia lasciando alle forze dell'ordine un margine di discrezionalità praticamente assoluta.
Quando questo colloquio veniva registrato, non erano ancora note le dichiarazioni dell'on. Martelli a proposito dell'utilizzo delle forze armate per sorvegliare le frontiere nazionali. Parole grosse e vuota retorica pre-elettorale, è stato detto, che non avevano altro scopo da quello di scrollare di dosso al partito socialista un'immagine troppo indulgente verso gli immigrati creata dalle opposizioni repubblicane alla legge Martelli. L'abisso tra la realtà dell'immigrazione, fatta di sofferenze e di inevitabile risentimento che cova sotto di esse appare evidente, rispetto alle miserie di una classe politica che, ormai esaurita ogni legittimazione ideale, sembra essere atta solo a deresponsabilizzare gli individui da ogni capacità di autogoverno e di spirito solidaristico.
Questo secolo ha già conosciuto gli effetti di una politica che spinge i popoli a cercare in un capro espiatorio il destinatario dell'odio e del sospetto per la paura di perdere vere o presunte sicurezze economiche o morali. L'incertezza che grava sull'occidente, per l'insostenibilità di una competizione economica sempre più feroce e per la necessità di trovare qualche freno al disastro ambientale, con i relativi costi sociali, potrebbero ridestare, in un corpo sociale desolidarizzato e diffidente prima verso se stesso che verso gli altri, sentimenti di rivalsa preoccupanti e pericolosi.