Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 173
maggio 1990


Rivista Anarchica Online

Ma si, basta e avanza

Chiedo nuova ospitalità alle colonne di "A" per intervenire circa la questione astensionismo come sollevata dall'intervento di Andrea Papi ("Astenersi non basta", "A" 172). In parte le considerazioni che seguono trovano già implicita conferma negli articoli che lo seguivano nel "dossier astensionismo" prodotti dai compagni di Palermo.
La questione sollevata da Andrea trova necessità di approfondimento in quanto non è né peregrina né infondata. Che...astenersi non basta, lo abbiamo detto in più occasioni, non tanto per ridurre il valore di testimonianza che l'astensionismo anarchico ha comunque e sempre rappresentato, ma per incitare chi come noi si asteneva, rifiutando il rito elettorale, ad andare oltre abbracciando la pratica libertaria e rivoluzionaria.
Il voto, la delega incondizionata ed irrevocabile che viene presupposta nel democraticismo è per noi anarchici un danno sociale e politico. Le "degenerazioni ", partitocratiche ed autoritarie delle democrazie bianche lo hanno, inoltre, reso vano (almeno nell'accezione trasformativa che gli ha voluto attribuire anche il migliore riformismo).
Da cui votare è inutile e dannoso.
Sono sempre di più coloro che, per un verso o per l'altro, giungono a questa considerazione. Che a questo non segua necessariamente una conseguente pratica libertaria va da sé; ma è altrettanto vero che quanti, lo ripeto, per un verso o per l'altro, rifiutano il rito elettorale sono poi quei soggetti sociali più inclini al cambiamento anche radicale delle condizioni sociali. Sarà bene precisare, onde evitare equivoci, che mi pare lapalissiana l'inequazione fra radicalismo e libertarismo, così come è altrettanto distante il libertarismo dall'anarchismo.
È forse qui, la questione sollevata da Andrea. Dico forse, per non forzare le considerazioni in parte sviluppate. Come dare consistenza politica all'astensionismo? E, forse, ancora, l'astensionismo è strategico?
Usando una schematizzazione antagonista si potrebbe parafrasare: creare/organizzare comitati astensionisti di scuola-fabbrica-quartiere. Che questo slogan non abbia trovato la necessaria fortuna quando fu lanciato è sicuramente legato alla fase bassa che abbiamo attraversato più che alla sua schematicità. Mi rendo conto che il passaggio nelle considerazioni può apparire quanto meno repentino. Riparto quindi da alcune considerazioni che troppo spesso vengono considerate banali, Ma non dicevano i situazionisti che la banalità è rivoluzionaria?
Gli anarchici (1) sviluppano la loro azione rivoluzionaria nel sociale; si definiscono tali quei soggetti che tendono a trasformare qui ed ora le condizioni di vita individuali e collettive senza delegarne l'attuazione ad enti esterni al contesto sociale in cui la trasformazione si determina e si realizza; in questa azione gli anarchici costruiscono spazi sociali altri (libertari, autogestionari e comunisti) che nella loro realizzazione distruggono l'esistente. L'azione trasformativa crea e distrugge (per chi vuole si può anche invertire l'ordine dei fattori). Crea (là dove riesce, anche questo è evidente) gli spazi collettivi di libertà e distrugge tutto ciò che contro la libertà ha agito o tenta di agire. Hanno storicamente agito in senso antilibertario il pregiudizio, il misticismo, l'egoismo, l'egocentrismo, i rapporti sociali basati sulla sudditanza, l'appartenenza e la protezione. Di questi eventi sociali si sono fatti interpreti i poteri, comunque manifestatisi, dal potere politico a quello economico a quello religioso a quello etnico o antropologico. È per questo che gli anarchici si sono definiti come i più accaniti avversari di qualsiasi forma di potere. Ne è conseguito che gli anarchici (che per definizione agiscono sul sociale) hanno intrapreso la lotta politica per la distruzione del potere. Distruzione del potere che passa attraverso eventi rivoluzionari o attraverso lotte parziali e contestualmente determinate.
L'astensionismo (o antielettoralismo) è, a mio avviso, uno di questi momenti di lotte parziali e contestualmente determinate: si realizza infatti nelle società bianche-occidentali-industrializzate ed è in queste che trova maggiore valenza politica in quanto azione di delegittimazione di un potere che cerca fondamento e legittimazione nel consenso popolare.
Vi è quindi nell'astensionismo non solo un fondamento etico ma anche un sostanzioso (mi pare) fondamento politico. Che ciò poi fatichi a tradursi in eventi leggibili di trasformazione rivoluzionaria è in parte dovuto alle necessità di maturazione dei processi di acquisizione delle esperienze ed in parte dovuto all'incapacità degli anarchici di farne uno strumento maggiormente efficace di lotta politica. Qui entriamo inevitabilmente nel regno dei se e dei ma. Se il movimento anarchico organizzato conducesse con maggiore determinazione e lucidità le campagne astensioniste passando dalla propaganda all'azione ed all'organizzazione dei soggetti sociali che si estraniano dai riti elettorali, probabilmente avremmo altro di cui discutere.
Così come mi sembra frettolosa l'affermazione che... finora non è stata concepita nessun'altra forma di opposizione rivoluzionaria e anarchica ai regimi di democrazia...: e le lotte sindacali, ecologiste, antimilitariste, anticlericali, internazionaliste, antiproibizioniste, antirazziste, antiburocratiche ed antiautoritarie di liberazione della donna, delle nazionalità, degli spazi sociali...(e me ne sono sicuramente dimenticato qualcuna) dove le mettiamo?
Se partiamo da questa ottica (2) potremmo dire che astenersi basta ed avanza, visto che l'astensionismo completa il nostro agire quotidiano nel sociale e nella lotta trasformativa delle condizioni esistenti. Ma farei difetto ad Andrea se mi fermassi qui. Anche perché è esplicito nel suo intervento un interrogativo di ben maggiore portata strategica (scusate il termine).
Dobbiamo secolarizzare il nostro modo di vivere politico? Anche questa affermazione attirerebbe una battuta polemica. Mi limiterò a dire che la visione millenaristica che Andrea attribuisce frettolosamente agli anarchici è lo stereotipo con il quale gli avversari degli anarchici hanno sempre voluto ridurre la portata rivoluzionaria dell'anarchismo. Io ritengo che negli anarchici a cominciare dalle "barbe bianche" dei testi maggiormente accreditati dal punto di vista teorico e progettuale per finire al più giovane compagno che pratica l'anarchismo a dispetto delle proprie convinzioni non sia assolutamente presente nessuna visione millenaristica ed anzi le tattiche politiche che preconizzavano eventi rivoluzionari siano state il frutto di un anarchismo maturo che assumeva la responsabilità della lotta politica foriera di nuove trasformazioni sociali. A meno che non si voglia accreditare un determinismo alla Bovio che ritengo contraddica alla base il pensiero e l'esperienza anarchica. Lo stesso storicismo kropotkiniano può essere visto, a mio parere, più come codificazione dell'esperienza ed immanenza della necessità di liberazione sociale che come acquisizione di determinismo e/o millenarismo. Marx, Bakunin e Malatesta poi possono aver avuto tutti i difetti ma non sicuramente quello di starsene con le mani in mano ad aspettare il comunismo. Ritengo invece che una qualche visione millenaristica si possa sviluppare là dove ci sia crisi nella trasformazione sociale o senso della sconfitta che viene sublimato con attendismi poco confacenti ad una lucida e materiale analisi della realtà.
Soggettivamente non ritengo che il mio sentirmi anarchico sia legato ad alcuna attesa ed anzi si sostanzia nell'esperienza quotidiana, nella comunanza e simpatia (3) delle esistenze con le quali mi incontro. L'esperienza, poi, mi dice che proprio coloro che non accettano questa banale gratificazione vengono indotti al cinismo o alla ricerca di metafisiche risposte alle loro esigenze esistenziali.
Progettualmente non aspetto nessun palazzo d'inverno da assaltare avendo tutti i giorni qualche ostacolo con cui scontrarmi sia contestuale che strategico ed anzi ritengo di confermare la banalità se parafrasando il Berneri degli anni '30 contraddico la sentenza dell'impossibilità rivoluzionaria in solo luogo (4) auspicando la rivoluzione in ogni paese.
Con stima ed affetto...se non l'avesse scritto Andrea (di cui riconosco l'onestà intellettuale) forse non avrei affrontato in questo modo l'argomento.

Walter Siri (Bologna)



(1) intendo e spero che sempre più si intenda con il termine anarchici coloro che si determinano tali; ne do quindi un'accezione estensiva che, per fortuna, travalica (e per certi versi attraversa) i confini del movimento specifico, cioè delle forme politiche/associative che si sono dati quanti si autodefiniscono tali.
(2) spesso discutiamo se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto ed in effetti ho voluto giocare con aspetti speculari a quelli sviluppati da Andrea per, spero, dare un contributo alla discussione prima ancora che per necessità polemica.
(3) nel senso letterale "sin-patos" senso (sentimenti) comune.
(4) luogo, territorio o comunità di persone slegandoci da visioni geopolitiche imposte. Concepire la trasformazione sociale libertaria in ogni luogo in cui se ne determinano le condizioni significa contribuire alla diffusione di questa esperienza e quindi alla sua estensione territoriale ed alla mutua solidarietà fra i luoghi liberati.