Rivista Anarchica Online
Ma si, basta e avanza
Chiedo nuova ospitalità alle
colonne di "A" per intervenire circa la questione
astensionismo come sollevata dall'intervento di Andrea Papi
("Astenersi non basta", "A" 172). In parte le
considerazioni che seguono trovano già implicita conferma
negli articoli che lo seguivano nel "dossier astensionismo"
prodotti dai compagni di Palermo.
La questione sollevata da Andrea trova
necessità di approfondimento in quanto non è né
peregrina né infondata. Che...astenersi non basta, lo abbiamo
detto in più occasioni, non tanto per ridurre il valore di
testimonianza che l'astensionismo anarchico ha comunque e sempre
rappresentato, ma per incitare chi come noi si asteneva, rifiutando
il rito elettorale, ad andare oltre abbracciando la pratica
libertaria e rivoluzionaria.
Il voto, la delega incondizionata ed
irrevocabile che viene presupposta nel democraticismo è per
noi anarchici un danno sociale e politico. Le "degenerazioni ",
partitocratiche ed autoritarie delle democrazie bianche lo hanno,
inoltre, reso vano (almeno nell'accezione trasformativa che gli ha
voluto attribuire anche il migliore riformismo).
Da cui votare è inutile e
dannoso.
Sono sempre di più coloro che,
per un verso o per l'altro, giungono a questa considerazione. Che a
questo non segua necessariamente una conseguente pratica libertaria
va da sé; ma è altrettanto vero che quanti, lo ripeto,
per un verso o per l'altro, rifiutano il rito elettorale sono poi
quei soggetti sociali più inclini al cambiamento anche
radicale delle condizioni sociali. Sarà bene precisare, onde
evitare equivoci, che mi pare lapalissiana l'inequazione fra
radicalismo e libertarismo, così come è altrettanto
distante il libertarismo dall'anarchismo.
È
forse qui, la questione sollevata da Andrea. Dico forse, per non
forzare le considerazioni in parte sviluppate. Come dare consistenza
politica all'astensionismo? E, forse, ancora, l'astensionismo è
strategico?
Usando una schematizzazione antagonista
si potrebbe parafrasare: creare/organizzare comitati astensionisti di
scuola-fabbrica-quartiere. Che questo slogan non abbia trovato la
necessaria fortuna quando fu lanciato è sicuramente legato
alla fase bassa che abbiamo attraversato più che alla sua
schematicità. Mi rendo conto che il passaggio nelle
considerazioni può apparire quanto meno repentino. Riparto
quindi da alcune considerazioni che troppo spesso vengono considerate
banali, Ma non dicevano i situazionisti che la banalità è
rivoluzionaria?
Gli anarchici (1) sviluppano la loro
azione rivoluzionaria nel sociale; si definiscono tali quei soggetti
che tendono a trasformare qui ed ora le condizioni di vita
individuali e collettive senza delegarne l'attuazione ad enti esterni
al contesto sociale in cui la trasformazione si determina e si
realizza; in questa azione gli anarchici costruiscono spazi sociali
altri (libertari, autogestionari e comunisti) che nella loro
realizzazione distruggono l'esistente. L'azione trasformativa crea e
distrugge (per chi vuole si può anche invertire l'ordine dei
fattori). Crea (là dove riesce, anche questo è
evidente) gli spazi collettivi di libertà e distrugge tutto
ciò che contro la libertà ha agito o tenta di agire.
Hanno storicamente agito in senso antilibertario il pregiudizio, il
misticismo, l'egoismo, l'egocentrismo, i rapporti sociali basati
sulla sudditanza, l'appartenenza e la protezione. Di questi eventi
sociali si sono fatti interpreti i poteri, comunque manifestatisi,
dal potere politico a quello economico a quello religioso a quello
etnico o antropologico. È
per questo che gli anarchici si sono definiti come i più
accaniti avversari di qualsiasi forma di potere. Ne è
conseguito che gli anarchici (che per definizione agiscono sul
sociale) hanno intrapreso la lotta politica per la distruzione del
potere. Distruzione del potere che passa attraverso eventi
rivoluzionari o attraverso lotte parziali e contestualmente
determinate.
L'astensionismo (o antielettoralismo)
è, a mio avviso, uno di questi momenti di lotte parziali e
contestualmente determinate: si realizza infatti nelle società
bianche-occidentali-industrializzate ed è in queste che trova
maggiore valenza politica in quanto azione di delegittimazione di un
potere che cerca fondamento e legittimazione nel consenso popolare.
Vi è quindi nell'astensionismo
non solo un fondamento etico ma anche un sostanzioso (mi pare)
fondamento politico. Che ciò poi fatichi a tradursi in eventi
leggibili di trasformazione rivoluzionaria è in parte dovuto
alle necessità di maturazione dei processi di acquisizione delle
esperienze ed in parte dovuto all'incapacità degli anarchici
di farne uno strumento maggiormente efficace di lotta politica. Qui
entriamo inevitabilmente nel regno dei se e dei ma. Se il movimento
anarchico organizzato conducesse con maggiore determinazione e
lucidità le campagne astensioniste passando dalla propaganda
all'azione ed all'organizzazione dei soggetti sociali che si
estraniano dai riti elettorali, probabilmente avremmo altro di cui
discutere. Così come mi sembra frettolosa
l'affermazione che... finora non è stata concepita
nessun'altra forma di opposizione rivoluzionaria e anarchica ai
regimi di democrazia...: e le lotte sindacali, ecologiste,
antimilitariste, anticlericali, internazionaliste,
antiproibizioniste, antirazziste, antiburocratiche ed antiautoritarie
di liberazione della donna, delle nazionalità, degli spazi
sociali...(e me ne sono sicuramente dimenticato qualcuna) dove le
mettiamo?
Se partiamo da questa ottica (2)
potremmo dire che astenersi basta ed avanza, visto che
l'astensionismo completa il nostro agire quotidiano nel sociale e
nella lotta trasformativa delle condizioni esistenti. Ma farei
difetto ad Andrea se mi fermassi qui. Anche perché è
esplicito nel suo intervento un interrogativo di ben maggiore portata
strategica (scusate il termine).
Dobbiamo secolarizzare il nostro modo
di vivere politico? Anche questa affermazione attirerebbe una battuta
polemica. Mi limiterò a dire che la visione millenaristica che
Andrea attribuisce frettolosamente agli anarchici è lo
stereotipo con il quale gli avversari degli anarchici hanno sempre
voluto ridurre la portata rivoluzionaria dell'anarchismo. Io ritengo
che negli anarchici a cominciare dalle "barbe bianche" dei
testi maggiormente accreditati dal punto di vista teorico e
progettuale per finire al più giovane compagno che pratica
l'anarchismo a dispetto delle proprie convinzioni non sia
assolutamente presente nessuna visione millenaristica ed anzi le
tattiche politiche che preconizzavano eventi rivoluzionari siano
state il frutto di un anarchismo maturo che assumeva la
responsabilità della lotta politica foriera di nuove
trasformazioni sociali. A meno che non si voglia accreditare un
determinismo alla Bovio che ritengo contraddica alla base il pensiero
e l'esperienza anarchica. Lo stesso storicismo kropotkiniano può
essere visto, a mio parere, più come codificazione
dell'esperienza ed immanenza della necessità di liberazione
sociale che come acquisizione di determinismo e/o millenarismo. Marx,
Bakunin e Malatesta poi possono aver avuto tutti i difetti ma non
sicuramente quello di starsene con le mani in mano ad aspettare il
comunismo. Ritengo invece che una qualche visione millenaristica si
possa sviluppare là dove ci sia crisi nella trasformazione
sociale o senso della sconfitta che viene sublimato con attendismi
poco confacenti ad una lucida e materiale analisi della realtà.
Soggettivamente non ritengo che il mio
sentirmi anarchico sia legato ad alcuna attesa ed anzi si sostanzia
nell'esperienza quotidiana, nella comunanza e simpatia (3) delle
esistenze con le quali mi incontro. L'esperienza, poi, mi dice che
proprio coloro che non accettano questa banale gratificazione vengono
indotti al cinismo o alla ricerca di metafisiche risposte alle loro
esigenze esistenziali.
Progettualmente non aspetto nessun
palazzo d'inverno da assaltare avendo tutti i giorni qualche ostacolo
con cui scontrarmi sia contestuale che strategico ed anzi ritengo di
confermare la banalità se parafrasando il Berneri degli anni
'30 contraddico la sentenza dell'impossibilità rivoluzionaria
in solo luogo (4) auspicando la rivoluzione in ogni paese.
Con stima ed affetto...se non l'avesse
scritto Andrea (di cui riconosco l'onestà intellettuale) forse
non avrei affrontato in questo modo l'argomento.
Walter Siri (Bologna)
(1)
intendo e spero che sempre più si intenda con il termine
anarchici coloro che si determinano tali; ne do quindi un'accezione
estensiva che, per fortuna, travalica (e per certi versi attraversa)
i confini del movimento specifico, cioè delle forme
politiche/associative che si sono dati quanti si autodefiniscono
tali.
(2)
spesso discutiamo se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto
ed in effetti ho voluto giocare con aspetti speculari a quelli
sviluppati da Andrea per, spero, dare un contributo alla discussione
prima ancora che per necessità polemica.
(3)
nel senso letterale "sin-patos" senso (sentimenti) comune.
(4)
luogo, territorio o comunità di persone slegandoci da visioni
geopolitiche imposte. Concepire la trasformazione sociale libertaria
in ogni luogo in cui se ne determinano le condizioni significa
contribuire alla diffusione di questa esperienza e quindi alla sua
estensione territoriale ed alla mutua solidarietà fra i luoghi
liberati.
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