Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 181
aprile 1991


Rivista Anarchica Online

Collages e travestimenti
di Paola Grassi

Herbert Achternbusch è molto noto in Germania e molto poco in Italia. Arrabbiatissimo, eccentrico ed egocentrico, Achternbusch è un po' di tutto: drammaturgo di professione ma anche regista e pittore.
Nato a Monaco nel 1938, sin dagli anni Sessanta conferma questa sua poliedricità: comincia a scrivere per il teatro, ma si dedica anche al cinema - la sua prima sceneggiatura è per "Cuore di vetro" di Herzog - e alle arti figurative: ex-allievo dell'Accademia delle Belle Arti di Norimberga, nel 1988, per i suoi cinquant'anni è stata allestita una grande mostra personale al "Deutsches Museum" di Monaco.
Considerato un ciarlatano al suo apparire, ha cominciato ad essere progressivamente ascoltato e adesso come adesso c'è chi lo considera un genio.
Paradossalmente Achternbusch odia il teatro: scaglia invettive contro le istituzioni che lo manovrano, e che sovvenzionandolo gli impongono determinate scelte e limitano la libertà dell'individuo di esprimersi. Concepisce il teatro al di là delle istituzioni e della drammaturgia tradizionale. Se la prende con il pubblico del teatro, un pubblico pigro e triste. Per la maggior parte chi va a teatro ci va perché si sente solo o perché non sa cosa fare e porta la sua demotivazione in teatro, dove magari si annoia in compagnia. Chi va al cinema è molto più attento e impaziente. Il teatro in questo senso - si chiede Achternbusch - è "masochismo o no?".
Il suo scopo è quello di cambiare questo teatro preconfezionato e di cambiare l'atteggiamento del pubblico. E in questo riesce pienamente, perché Achternbusch può affascinare o infastidire, ma senz'altro non lascia indifferenti.
Odia dunque gli schemi, è un ribelle, si mette sempre in discussione, e questo atteggiamento si riflette sulla sua particolarissima produzione, che non è possibile associare ad un genere preciso: le sue opere subiscono collages e travestimenti in continuazione. I suoi personaggi, quasi sempre appartenenti all'"universo" bavarese e a quello familiare, si spostano con facilità dai romanzi ai testi teatrali. Ed è proprio così che comincia la sua attività di drammaturgo, nel 1978, trasferendo da un proprio romanzo, "Verrà il giorno", la figura di Ella, sua madre: nasce un monologo che avrà molta fortuna in tutta Europa. Anche in Italia, grazie agli allestimenti del Beat 72 e dei Magazzini.
La serie di monologhi, accanto agli altri testi scritti su misura per la scena, prosegue con Susan del 1979 e Gust del 1980. Proprio quest'ultimo, visto a Milano il mese scorso, ci rivela con precisione come tutto in lui si risolva nel grottesco, per dipingere le banalità del nostro vivere. Fratello del nonno di Achternbusch, già presente nel romanzo la "Battaglia di Alessandro" (1971 ) - che avremmo tanto voluto leggere ma, come gran parte delle sue opere, non è stato tradotto in italiano - Gust è un vecchio contadino bavarese. Durante il monologo ripercorre le tappe della sua esistenza seguendo un filo apparentemente illogico. In un campo parla con Lies, la sua seconda moglie, che giace quasi priva di vita ai suoi piedi. Gust sembra non fare caso al dramma di questa donna che sta morendo come un animale, inascoltata, e le si rivolge spietatamente con frasi come "Facciamoci una presa; tanto per Lies non c'è più niente da fare..." e quando alla fine la donna gli chiederà una parola dolce Gust non troverà niente di meglio che dirle "miele". Il vero dramma è quello di Lies, attorno al quale ruotano i fantasmi di Hitler e la guerra, il tetano, la dura vita dei contadini bavaresi, la trebbiatura, le api. La Baviera e la sua "piccola" cultura strumentalizzata sono onnipresenti, non solo in Gust, ma in tutti gli scritti di Achternbusch: una terra "troppo spesso asservita, canzonata, polverizzata, misconosciuta, liquidata e mercantilizzata dalla Controriforma, dai principi, dai burocrati, dai re, dai prussiani, dalla rivoluzione, dagli assassini di destra ed ora dai diavoli neri". Questa amara considerazione finisce inevitabilmente per estendersi a tutta la nazione tedesca e a un popolo che "ha accolto effettivamente con favore una sola forma di governo: la dittatura".
Per Achternbusch non c'è differenza fra il Terzo Reich e quell'invenzione "burocratica e diabolica" che è la Repubblica Federale. La generale assuefazione del popolo tedesco ritorna anche in un testo recentissimo, già rappresentato a Monaco e molto provocatorio: "La battaglia perduta". Scritto subito dopo la caduta del muro, ci appare un uomo DDR che non riesce ancora ad adattarsi alla nuova situazione ed è spaesato di fronte a un regime nuovo e non ancora funzionante: la defunta repubblica democratica è vista come un peso sullo stomaco, ed egli non riesce né a digerirla né a liberarsene.