Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 181
aprile 1991


Rivista Anarchica Online

Musica è....
di Comuna Utopina

Buon pungolo mi ha dato, per il pistolotto che verrà, il recente e nostrano festival sanremese, rassegna canora che offre puntualmente lo spunto per interessanti divagazioni in ambito musicale, cingendo tutto tondo "stampacritica" e palinsesti televisivi. Più mi guardo attorno, indagando tra i menù dei network e più lo sconforto prende corpo dentro di me. Nei loro burrascosi trascorsi costernati da Discoring e Tam Tam Village non v'è che spazio per super-classifiche a piccolo e grande raggio vinilico; non si scorge nemmeno l'ombra di quella che può essere definita una programmazione decente, pluralista, ammiccantemente volta ad accaparrarsi certe frange di pubblico solitamente ai margini di questo microcosmo.
Per carità! No, senza pietà alcuna dimostra di essere anche Videomusic, cassa di risonanza impolverata e ormai obsoleta, stretta nelle sue evidenti contraddizioni: mi sono spesso domandato come possa essere così ben ermetica la decodificazione dei programmi, visto che per tante volte mi sono trovato a fare i conti con svarioni conducibili o alla mancata trasmissione del programma o alla sua imperterrita seconda o terza replica. Se penso poi che tutto questo riguarda solamente il lato formale c'è di che spaventarsi, dato che il terrore subentra solamente soffermandosi sui contenuti di tali programmi ! (...)
Ma se in America aleggia sulle teste dei musicisti il fantasma del PMRC, nel bel paese, figlio della subcultura USA non si scatenano i moralisti benpensanti, assolutamente non coinvolti dalle diatribe musicali, bensì i numerosi disinformati e qualunquistici esperti del settore. Facile è individuare, estrapolando dal numeroso lotto, quale archetipo del perfetto critico il Sig. Luzzatto Fegiz, tanto celebrato, quanto ignorante in materia. Per lui, armonia e melodia sono sinonimi avvolti da un turbinio di cacofonie per lo più incomprensibili. Le recensioni di concerti e rassegne musicali offrono spunto per divagazioni fuorvianti, inerenti le fogge e gli atteggiamenti del pubblico. Come se non bastasse negli articoli del Fegiz nazionale fioccano copiose le inesattezze, le imprecisioni: cognomi stravolti, dati anagrafici errati, titoli di pezzi storpiati, costituiscono l'unico motivo di sollazzo nella lettura dei brani.
Conseguentemente, alla fine di tutto questo bailamme di proposte distruttive, sorge spontanea una considerazione, semplice, ma di indubbia verità: la musica contemporanea fa schifo proprio perché v'è una sola logica che ne governa la diffusione, quella della mercificazione spietata.
Ad essere obiettivi, tutto il mondo musicale è sempre stato succube di questo condizionamento, anche qualche decennio fa le case discografiche pattugliavano il mercato così come fanno ora; senonché ai tempi v'era molto più da inventare (musicalmente intendendo) rispetto ai giorni nostri. Allora si potevano porre le basi, dare i fondamenti, aprire spiragli verso molteplici settori di pubblico: il mercato stesso era tutt'altro che saturo, si fiutava il primo consumismo e il pubblico era plasmabile senza troppi sforzi, bisognoso com'era di musica.
Oggi la situazione è radicalmente mutata, grazie alle successive evoluzioni dovute al passare degli anni, al trascolorare dei miti. Tutto è così andato consolidando la progressiva e inarrestabile "invarianza" del mercato, ricavata dalle leggi economiche più comuni. Come è d'uopo constatare, tutto il marciume è inevitabilmente fiorito con l'esasperazione e la specializzazione delle ricerche di mercato, con la perdita di spontaneità da parte di compositori ed esecutori, sempre più propensi a vendersi, con l'avvento della società dell'immagine e dello stereotipo. La pletora di codesti accadimenti ha sicuramente contribuito a concedere il monopolio del mercato agli organizzatori dello stesso, castrando così in modo palese la già difficile crescita musicale dei giovani.
L'assimilazione del prodotto da parte del fruitore è a tutt'oggi passiva, operata con scelte dettate da un non-gusto assai comune, adattata alla necessità di evitare l'ormai drammatico e sperduto soliloquio.
Il riempire i silenzi della propria vita, l'evitare l'interiorizzazione, sono le mire di facile individuazione se si riesce ad analizzare il tipo di musica proposta e l'approccio che molti hanno con essa. Quanti si adoperano per tradurre e comprendere i testi delle canzoni? Quanti si sforzano per conoscere le strutturazioni dei brani? Quanti discernono gli strumenti sottraendosi agli input dei videoclip? Pochi, troppo pochi, individuabili tra gli accoliti di questo o quel gruppo e tra coloro che la musica la vivono sugli strumenti. Gli altri qualche sbirciatina all'interno degli album la danno; per vedere le foto session, per cogliere le espressioni dei poseurs di turno.
Troppa indifferenza e trascuratezza sono dunque gli elementi essenziali per non rendersi conto del lavaggio del cervello al quale si è spessissimo sottoposti, per individuare il persuasore occulto.
Così facendo si consolida sempre più il binomio musica-ignoranza, binomio tanto caro a quanti costruiscono il proprio futuro secondo i dettami lasciati in principio da Cecchetto e company, scaltri lettori del sistema, quanto lo può essere un bravo allenatore nell'inquadrare una situazione tattica favorevole all'interno di una partita. Ben pochi sono i resipiscenti, generalmente seguaci dell'iter comportamental-anagrafico proprio dell'individuo veramente "convinto" delle proprie scelte personali (a diciotto anni si fa, quando ci si sposa non si potrà più...); mentre sparuti sono anche coloro che aborriscono questo scempio; per loro la vita è difficile, nessuna struttura li supporta e li stimola, a sorreggerli è solo l'entusiasmo, l'amore per la musica. Sia l'underground, sia il rock nelle sue numerose sfumature vedono preclusa la diffusione, (di quest'ultimo ad esclusione del suolo americano) oltre che l'effettuazione di concerti e il reperimento di spazi opportuni.
E' un vecchio discorso, trito e ritrito, condito da "disavventure" di centri sociali, di cascine occupate da ragazzi a cui è spesso negato anche quello spazio. Il prezzo da pagare è altissimo, l'obolo per la crassa società è imponente, unica via se si vuole divulgare, farsi apprezzare o per quanto si dice o per quanto si suona; l'accoppiata è difficilmente ottenibile. E' troppo pretenzioso, non è permesso monopolizzare, decidere, gestirsi etc. etc.
Dunque vale la pena accettare il compromesso ora, in previsione di un futuro più "libero"?
Con tutti questi imbelli all'ascolto per me proprio no.