Rivista Anarchica Online
Musica è....
di Comuna Utopina
Buon pungolo mi ha
dato, per il pistolotto che verrà, il recente e nostrano
festival sanremese, rassegna canora che offre puntualmente lo spunto
per interessanti divagazioni in ambito musicale, cingendo tutto
tondo "stampacritica" e palinsesti televisivi. Più
mi guardo attorno, indagando tra i menù dei network e più
lo sconforto prende corpo dentro di me. Nei loro burrascosi
trascorsi costernati da Discoring e Tam Tam Village non v'è
che spazio per super-classifiche a piccolo e grande raggio
vinilico; non si scorge nemmeno l'ombra di quella che può
essere definita una programmazione decente, pluralista,
ammiccantemente volta ad accaparrarsi certe frange di pubblico
solitamente ai margini di questo microcosmo. Per carità!
No, senza pietà alcuna dimostra di essere anche Videomusic,
cassa di risonanza impolverata e ormai obsoleta, stretta nelle sue
evidenti contraddizioni: mi sono spesso domandato come possa essere
così ben ermetica la decodificazione dei programmi, visto che
per tante volte mi sono trovato a fare i conti con svarioni
conducibili o alla mancata trasmissione del programma o alla sua
imperterrita seconda o terza replica. Se penso poi che tutto questo
riguarda solamente il lato formale c'è di che spaventarsi,
dato che il terrore subentra solamente soffermandosi sui contenuti
di tali programmi ! (...) Ma se in America aleggia sulle teste
dei musicisti il fantasma del PMRC, nel bel paese, figlio
della subcultura USA non si scatenano i moralisti benpensanti,
assolutamente non coinvolti dalle diatribe musicali, bensì
i numerosi disinformati e qualunquistici esperti del settore. Facile
è individuare, estrapolando dal numeroso lotto, quale
archetipo del perfetto critico il Sig. Luzzatto Fegiz, tanto
celebrato, quanto ignorante in materia. Per lui, armonia e melodia
sono sinonimi avvolti da un turbinio di cacofonie per lo più
incomprensibili. Le recensioni di concerti e rassegne musicali
offrono spunto per divagazioni fuorvianti, inerenti le fogge e gli
atteggiamenti del pubblico. Come se non bastasse negli articoli del
Fegiz nazionale fioccano copiose le inesattezze, le imprecisioni:
cognomi stravolti, dati anagrafici errati, titoli di pezzi
storpiati, costituiscono l'unico motivo di sollazzo nella lettura
dei brani. Conseguentemente, alla fine di tutto questo bailamme
di proposte distruttive, sorge spontanea una considerazione,
semplice, ma di indubbia verità: la musica contemporanea fa
schifo proprio perché v'è una sola logica che ne
governa la diffusione, quella della mercificazione spietata. Ad
essere obiettivi, tutto il mondo musicale è sempre stato
succube di questo condizionamento, anche qualche decennio fa le
case discografiche pattugliavano il mercato così come fanno
ora; senonché ai tempi v'era molto più da inventare
(musicalmente intendendo) rispetto ai giorni nostri. Allora si
potevano porre le basi, dare i fondamenti, aprire spiragli verso
molteplici settori di pubblico: il mercato stesso era tutt'altro che
saturo, si fiutava il primo consumismo e il pubblico era plasmabile
senza troppi sforzi, bisognoso com'era di musica. Oggi la
situazione è radicalmente mutata, grazie alle successive
evoluzioni dovute al passare degli anni, al trascolorare dei
miti. Tutto è così andato consolidando la progressiva
e inarrestabile "invarianza" del mercato, ricavata dalle
leggi economiche più comuni. Come è d'uopo constatare,
tutto il marciume è inevitabilmente fiorito con
l'esasperazione e la specializzazione delle ricerche di mercato, con
la perdita di spontaneità da parte di compositori ed
esecutori, sempre più propensi a vendersi, con l'avvento
della società dell'immagine e dello stereotipo. La pletora di
codesti accadimenti ha sicuramente contribuito a concedere il
monopolio del mercato agli organizzatori dello stesso, castrando
così in modo palese la già difficile crescita musicale
dei giovani. L'assimilazione del prodotto da parte del fruitore è
a tutt'oggi passiva, operata con scelte dettate da un non-gusto
assai comune, adattata alla necessità di evitare l'ormai
drammatico e sperduto soliloquio. Il riempire i silenzi
della propria vita, l'evitare l'interiorizzazione, sono le mire di
facile individuazione se si riesce ad analizzare il tipo di musica
proposta e l'approccio che molti hanno con essa. Quanti si adoperano
per tradurre e comprendere i testi delle canzoni? Quanti si sforzano
per conoscere le strutturazioni dei brani? Quanti discernono gli
strumenti sottraendosi agli input dei videoclip? Pochi, troppo
pochi, individuabili tra gli accoliti di questo o quel gruppo e tra
coloro che la musica la vivono sugli strumenti. Gli altri qualche
sbirciatina all'interno degli album la danno; per vedere le foto
session, per cogliere le espressioni dei poseurs di turno. Troppa
indifferenza e trascuratezza sono dunque gli elementi essenziali
per non rendersi conto del lavaggio del cervello al quale si è
spessissimo sottoposti, per individuare il persuasore occulto. Così
facendo si consolida sempre più il binomio musica-ignoranza,
binomio tanto caro a quanti costruiscono il proprio futuro secondo i
dettami lasciati in principio da Cecchetto e company, scaltri
lettori del sistema, quanto lo può essere un bravo allenatore
nell'inquadrare una situazione tattica favorevole all'interno di una
partita. Ben pochi sono i resipiscenti, generalmente seguaci
dell'iter comportamental-anagrafico proprio dell'individuo veramente
"convinto" delle proprie scelte personali (a diciotto anni
si fa, quando ci si sposa non si potrà più...); mentre
sparuti sono anche coloro che aborriscono questo scempio; per loro
la vita è difficile, nessuna struttura li supporta e li
stimola, a sorreggerli è solo l'entusiasmo, l'amore per la
musica. Sia l'underground, sia il rock nelle sue numerose sfumature
vedono preclusa la diffusione, (di quest'ultimo ad esclusione del
suolo americano) oltre che l'effettuazione di concerti e il
reperimento di spazi opportuni. E' un vecchio discorso, trito e
ritrito, condito da "disavventure" di centri sociali, di
cascine occupate da ragazzi a cui è spesso negato anche
quello spazio. Il prezzo da pagare è altissimo, l'obolo
per la crassa società è imponente, unica via se si
vuole divulgare, farsi apprezzare o per quanto si dice o per quanto
si suona; l'accoppiata è difficilmente ottenibile. E' troppo
pretenzioso, non è permesso monopolizzare, decidere, gestirsi
etc. etc. Dunque vale la pena accettare il compromesso ora, in
previsione di un futuro più "libero"? Con tutti
questi imbelli all'ascolto per me proprio no.
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