Rivista Anarchica Online
Verso una costruzione consapevole dei propri riferimenti
di Francesco Ranci
Da qualche decina d'anni, scienziati ed epistemologi dichiarano a gran voce di
aver scoperto l'importanza cruciale
di quella che chiamano la "storia della scienza" aggiungendo - implicitamente o esplicitamente - "moderna"
nella
presunzione, peraltro mal specificata e perciò sempre più traballante, di una siffatta differenza
qualificante fra i
vari Galileo, Bacone, Newton, Darwin, etc., e i vari Pitagora, Tolomeo, Archimede che li hanno preceduti.
Tale atteggiamento storicistico, e sociologizzante, pur con tutte le carenze metodologiche dimostrate - basti
pensare a quanti problemi comporta un'asserzione del tipo: "non c'è altro senso che quello creato nella
e dalla
storia" (Castoriadis, La logica del magma, in Il pensiero eccentrico, 1992), quando, invece, ogni
giorno mettiamo
la pentola sul fuoco per cucinare senza temere affatto che "fuoco", "acqua" e "pentola" possano comportarsi
diversamente dal giorno prima o, soprattutto, quando ogni giorno raccontiamo qualcosa, e possiamo farlo in
cento
e uno modi diversi - tale atteggiamento, dicevo, ha comunque il merito di contrapporsi ad una tradizionale forma
di dogmatismo dei "filosofi della scienza", per i quali i risultati della fisica-chimica cui viene attribuita
un'univocità invero poco giustificata, costituirebbero una sorta di prius intoccabile. Una sorta di
necessario punto
di partenza, o addirittura di "modello intoccabile" per chiunque si cerchi la qualifica di "scienziato".
Tuttavia, anche questa contrapposizione non è così radicale come potrebbe a prima vista
sembrare, infatti, se le
teorie scientifiche considerate, diventano - anziché il culmine del Progresso e della Ragione - un esito
storico fra
gli altri possibili, la spiegazione del successo o dell'insuccesso di una di esse viene pur sempre ricondotta al
confronto con una presunta Realtà, la Storia invece della Natura: un confronto - purtroppo in pochi se
ne rendono
conto, in meno hanno il coraggio di affermarlo, e ancor meno ne traggono le conseguenze - che è del
tutto
impossibile ad eseguirsi, essendo irriducibilmente metaforica la separazione fra le due "cose" da confrontare
(fra
"realtà" e "Realtà"). Una rassegna esemplificativa di alcuni dei maggiori problemi che
l'epistemologia contemporanea pone a chi si
occupa di riformulare i paradigmi della cultura politica, oltre che della cultura strettamente tecnico-scientifica
da
un punto di vista che mi piace considerare anti-dogmatico - nonostante la formulazione in negativo comporti
sempre degli imbarazzi a chi propone qualcosa - si trova nel volume collettivo dedicato a "Il pensiero
eccentrico"
("Volontà", 4/'92). Ad esempio si rileva, sulla scia delle ricerche di Paul Feyerabend, che la scienza
avrebbe
"scoperto l'anarchia", cioè che le presunte "regole" canoniche del metodo scientifico sono poco
rispettate nella
pratica scientifica o non lo sono affatto. E si contrappone, perciò, alla tradizione "centrista" il formarsi
di un
nuovo "paradigma", che permetterebbe di individuare "strutture e relazioni" che il precedente paradigma non
"consentiva di percepire". Alcuni credono di dover constatare che il paradigma "centrista" sarebbe "inconscio"
(Colombo), aprendo così la problematica di una sua possibile consapevolizzazione; per altri, sarebbe
da prendere
in considerazione anzitutto "lo sguardo stesso" - perché "sempre relativo all'occhio"- e, di conseguenza,
ogni
sforzo modellizzante non potrebbe che portare ad un "principio d'ordine" che riprodurrebbe sempre la medesima
"struttura profonda" (T. Ibanez). Se, quindi, da un lato si individuano delle potenzialità , dall'altro
lato, tuttavia, si pongono dei vincoli, più o meno
tassativi, a qualsivoglia opzione in merito. Giorello afferma che la critica del "centro" non vuol essere una
"apologia del disordine", in netta contrapposizione con gli entusiasmi di Lizcano, per il quale, invece, la
"scoperta" del caos aprirebbe nuovi orizzonti, e forse anche con Vaccaro, per il quale "l'eccentrico" non vuol
essere affatto un "polo antagonista", ossia un "altro e diverso modo di centralità". La distinzione fra
natura e
cultura attraversa questo problema dello statuto epistemologico, ed ideologico, del "disordine": ad esempio,
Morin
afferma che nelle società "umane", e solo in esse, "la gerarchia e la centralizzazione" si
manifesterebbero come
"inibizione della componente anarchica". Tuttavia, non sono affatto chiari e condivisi i criteri di una simile
separazione dell'umano, e al riguardo trovo particolarmente significative le invocazioni di Atlan a "discipline
di
frontiera" che dovranno accollarsi il compito di elaborarli. Atlan, parlando del "senso", si limita ad utilizzare
la
fortunata metafora dell'"emergere,", che ritroviamo poi pari pari in Prigogine, quando afferma che il
meccanismo
secondo il quale dal disordine e dal caos "possono emergere" leggi ed ordine deve ancora essere chiarito. In
proposito, sono a mio avviso importanti i contributi forniti dalla simulazione artificiale delle attività
mentali:
mentre i primi progettisti di calcolatori hanno privilegiato un organo centrale di elaborazione - notano Petitot
e
Rosestiehl - i loro fallimenti, nella simulazione delle attività mentali, e le indagini neuroscientifiche
hanno
comportato un ripensamento sul ruolo funzionale del "cervello", nel contesto dell'organismo, della
società e
dell'ambiente di cui può far parte. La "mente" cioè, non può essere vista solo come
elaboratore di "informazioni"
già "date", ma bisogna considerarla, anche, come elemento attivo e passivo di un organismo biologico.
Sono
questi alcuni dei problemi principali che si pongono ad un progetto di autonomia e responsabilità, non
fondata
su dogmi ma sulla consapevolezza delle proprie opzioni paradigmatiche, e delle conseguenti valorizzazioni, al
fine di controllarne autonomamente il mutamento, desiderato o imposto che sia. Sembra evidente - ancora una
volta - che occorre una critica radicale dell'impostazione stessa del problema epistemologico, ed è a
partire da
questa critica che viene proposto il riferimento ad una "auto-organizzazione dinamica", o "auto-poiesi", come
modello della controparte organica dell'attività mentale (Zeleny e Pierre), attività cui si cerca
di accedere tramite
una sua analisi come "funzione". Il tentativo di eliminare ogni forma di trascendenza, e ogni presunta
localizzazione di essa in una qualsiasi sorta di "centro" di potere così legittimato - dalla cattedrale alla
parrocchia,
dal centro alla periferia, dall'università all'asilo, dalla famiglia alla persona o viceversa secondo i sistemi
ideologici - deve fare i conti con una tradizione, quella delle scienze, che, se da un lato cerca da sempre di
ricondurre al controllo i risultati della propria attività , dall'altro lato subisce tuttora la trascendenza
insita nel
problema epistemologico.
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