Rivista Anarchica Online
Anarchia nel Levante
di Misato Toda
Perché il pensiero e la vita di Errico Malatesta, anarchico italiano vissuto a cavallo tra '800 e '900,
possono essere
importanti per il Giappone che si affaccia al 21° secolo? Se lo chiede l'anarchica giapponese Misato Toda.
Cari Carla e Giulio, vi ricordate ancora dell'estate 1977? Era la fine di
maggio quando ci siamo incontrati per la prima volta a Caserta,
città che è stata capitale dei Borboni fino all'unificazione dell'Italia nel 1860. Eravate tutti e due
redattori del
"Quotidiano dei lavoratori" un piccolo quotidiano della nuova Sinistra, che ai tempi era molto attiva anche in
Italia. Avevate due figli ancora piccoli, un bambino e una bambina e la vostra famiglia viveva al quarto piano
di un grande casamento, se non mi sbaglio. Nella vostra casa, di sera, si svolgevano accese discussioni tra di
voi
e i vostri amici, la maggior parte dei quali si occupavano di lavori editoriali, mentre altri, invece, erano ancora
studenti. Non mi ricordo chi mi ha indirizzato da voi, probabilmente Marisa, un'appassionata femminista, che
viveva e lavorava a Benevento, un'altra piccola città vicino a Caserta. A quei tempi avevo appena
cominciato la mia ricerca sulla vita e il pensiero di Errico Malatesta (1853-1932),
anarchico che faceva parte della generazione cresciuta durante il periodo della unificazione italiana. Era nato
a
Santa Maria Capua Vetere, una piccola cittadina vicino a Caserta, in una famiglia benestante. Aveva cominciato
la sua attività politica quando era uno studente di medicina all'Università di Napoli, prendendo
parte alla Sezione
di Napoli dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori (Prima Internazionale). Per più di
cinquant'anni fu una
delle più conosciute personalità del movimento anarchico internazionale. Si è perfino
arrivati ad affermare che
la sua vita stessa rappresenta l'anarchismo italiano. Quando egli aveva sette anni, l'Italia venne unita per
formare un moderno "stato-nazione", sotto il regno dei
piemontesi Savoia. Questo fatto ha rappresentato in pratica, per il meridione d'Italia, una conquista da parte del
Nord. Prima dell'unificazione, più precisamente prima della formazione dello stato-nazione, il Sud -
avendo fatto
parte dei territori governati dai Borboni - aveva più o meno goduto di una propria cultura: da un punto
di vista
politico, così come da un punto di vista economico, la zona era rimasta indipendente. Dopo il 1860 il
meridione
si è trovato a vivere una radicale trasformazione della propria vita politica, economica e sociale: Napoli
non era
più la capitale ed era scesa a livello di centro locale; furono introdotti un pesante sistema fiscale e
l'iscrizione
generale, mentre l'unificazione delle politiche doganali portò alla distruzione dell'industria
meridionale. Diversamente, città settentrionali come Milano, Torino e Genova sono diventate
fortemente industrializzate. Più
il Nord diventava ricco, più il Sud diventava povero. In realtà, la politica governativa era quella
di fare del Sud
una colonia interna del Nord, nel contesto di un "moderno" "stato-nazione" italiano. Ovviamente la gente del
Sud
soffriva di povertà e discriminazione sociale. La situazione era nel complesso simile ai problemi che
pone oggi
il divario Sud-Nord a livello mondiale. Errico Malatesta era cresciuto in questo clima di sofferenza e
depressione che regnava al Sud. Solidale con la
gente e indignato per le ingiustizie sociali, cominciò a mettersi alla ricerca di una società in cui
ognuno potesse
amare il prossimo in un clima di felicità, cercando allo stesso tempo un proprio modo di vita che gli
permettesse
di instaurare relazioni umane pacifiche con gli altri. Furono questi i primi passi che mosse nell'ambito della
riflessione sui problemi sociali, mentre allo stesso tempo sottoponeva a verifica il proprio modo individuale di
vivere. Si guardava in giro: c'erano bambini che piangevano per la fame, vecchi che tremavano dal freddo...
in un primo
tempo simpatizzò con le idee di Mazzini e Garibaldi, nella convinzione che lo stato repubblicano
potesse
assicurare la felicità della gente. Successivamente, nel 1871, sotto l'influenza del movimento
rivoluzionario della
Comune di Parigi, divenne anarchico ed entrò a far parte della Sezione di Napoli della Prima
Internazionale. Gli
divenne chiaro che i veri nemici del popolo sofferente erano lo "Stato" e il "Capitale".
Quella domanda Quando vi ho conosciuti, frequentavo l'Archivio di Stato
di Caserta, cercando di chiarire, mediante l'esame di
documenti storici, il processo che ha portato Malatesta a diventare un anarchico, vale a dire, un socialista
sui
generis. Una sera, prima della mia partenza, mi avete invitato a cena in un vecchio ristorante in cima ad
una
collina vicina. Abbiamo parlato, con grande serietà, dei problemi sociali e politici dell'Italia e del
Giappone e
della situazione internazionale in Europa e in Asia. Abbiamo discusso anche della nostra storia. Alla fine, Giulio
mi ha chiesto: "Misato, perché ritieni che le idee di Malatesta siano di importanza essenziale per i
giapponesi?
Hai detto che la società giapponese è altamente autoritaria. Per quali motivi il concetto di
anarchia può essere
utile a coloro i quali sembrano essere soddisfatti di vivere con l'Imperatore Hirohito? Scrivi un articolo su
questo
tema per il nostro giornale" . Io promisi di scriverlo. aggiungendo: "Ma non adesso. Devo approfondire le
mie idee. Quando queste idee
saranno mature, scriverò l'articolo e ve 1o spedirò." Ricordo ancora benissimo la tua faccia
impensierita, mentre
rispondevi: "Sì, sono d'accordo. Solo quando un'idea è matura, si può metterla per
iscritto in un giornale.
Aspetterò, Misato..". Senza rispondere alla vostra domanda, ho pubblicato nel 1988 un piccolo libro
in italiano:
il primo frutto delle mie ricerche sulla vita e sul pensiero di Errico Malatesta. Il libro è intitolato:
Errico
Malatesta da Mazzini a Bakunin. La sua formazione giovanile nell'ambiente napoletano (1868-1873),
Napoli.
Guida Editori. Ve lo avrei senz'altro mandato, se avessi saputo qual è il vostro nuovo indirizzo. Mi
piacerebbe
molto conoscere la vostra opinione su di esso. Probabilmente oggi sono in grado di rispondere alla domanda
di
Giulio: perché è indispensabile per i giapponesi, soprattutto per le generazioni più
giovani, conoscere le idee di
Errico Malatesta e in particolare le sue considerazioni sull'anarchia e l'anarchismo. Vorrei cominciare con la
storia
del processo di modernizzazione del Giappone. Nel 1868 il Giappone ha dato vita ad uno stato "moderno"
che portava il nome di "Grande Impero Giapponese"
e il cui trono era occupato da un imperatore Meiji. Era l'epoca in cui le grandi potenze europee andavano alla
ricerca di colonie o di sfere di influenza, in Asia, in Africa e nel Medio Oriente. Trovatosi ad affrontare questa
situazione internazionale, il Giappone si è visto costretto a diventare ricco e ad entrare in possesso di
una potente
forza militare, pena la perdita della propria indipendenza. Si rese pertanto indispensabile per i dirigenti del
nuovo
governo concentrare tutti gli sforzi della popolazione su obiettivi nazionali. Con grande scaltrezza, i governanti
ricorsero all'uso della famiglia imperiale, la quale aveva in precedenza svolto un ruolo più o meno
importante
nella società giapponese, dando vita ad un nuovo Sistema Imperiale, al fine di attirare su di esso
l'attenzione del
popolo. Oltre a fare da base per la repressione del Movimento per la Libertà e per i Diritti del Popolo,
la
Costituzione del Grande Impero Giapponese (Costituzione Meiji), promulgata nel 1889, definiva l'imperatore
come un dio vivente. Si trattava di una finzione. Ma nei testi scolastici per le elementari rimasti in uso fino alla
fine della Seconda Guerra Mondiale, il Tenno veniva definito, se si traduce letteralmente l'espressione, come
"dio
in spoglie umane" (arahitogami, o dio vivente) e si affermava anche che "il Giappone è un paese di dei".
Il dio imperatore Mi domando come un "dio in spoglie umane" possa dare
prova di responsabilità nelle sue funzioni di sovrano
di uno stato moderno. Mi accorgo che descrivendo adesso questo fenomeno in una lingua straniera, il tutto
prende
un aspetto ridicolo. Eppure, fino all'agosto del 1945, quando il Grande Impero Giapponese fu sconfitto, i
giapponesi furono costretti a considerare il sistema imperiale nei termini descritti sopra. Le idee di Suga Kanno,
una dei precursori del movimento anarchico giapponese, devono essere prese in considerazione alla luce di
questo
contesto. Essa riteneva di grande importanza il fatto che gli imperatori venissero considerati uomini come tutti
noi e non come degli esseri sovrumani o degli dei. Il risultato fu il suo martirio in nome della fede nella
libertà
umana. Fu uccisa perché aveva osato mettere in dubbio quello che era l'elemento sul quale si reggeva
tutto il
sistema imperiale e la cui falsità è oggi chiara a tutti Vi parlerò di quelle che sono
state le mie esperienze personali. Quando andavo alle elementari, credevo a quello
che mi veniva insegnato: che il Giappone fosse un paese di dei e che l'imperatore fosse una specie di dio. A quei
tempi veniva inculcato nella testa dei bambini e delle bambine il dovere di essere pronti a morire per
l'imperatore,
dato che venivano considerati come suoi figli (sekishi). Era pertanto naturale dedicargli la vita
senza esitazione.
Fu grazie a questa psicologia che i giovani andavano sul campo di battaglia a morire come Kamikaze (il vento
degli dei). Arrivò infine il 15 agosto 1945. In quel periodo frequentavo la sesta classe delle elementari
(l'ultima).
Con nostra grande sorpresa, nel giro di poche settimane tutti gli insegnanti che ci avevano insegnato che
l'imperatore era un dio vivente, cominciarono all'improvviso a parlare di democrazia!! Il Giappone era
occupato dalle forze militari americane. I governanti americani avevano l'intenzione di fare del
Giappone un sistema democratico, ma senza abolire completamente il sistema imperiale, dal quale la gente era
abituata a dipendere, perché temevano che in sua assenza si sarebbero potute diffondere tra la gente idee
rivoluzionarie o che comunque la situazione avrebbe potuto farsi caotica. Ma questa politica diede come
risultato
una grande contraddizione: mentre ai giapponesi venivano concessi, per la prima volta nella loro storia, diritti
fondamentali come quello di discutere liberamente e di determinare autonomamente le proprie decisioni, si
chiedeva loro di rimanere ancora dipendenti dal modo di pensare tradizionale. Per quanto riguarda l'occupazione
militare americana del Giappone, la politica di conservazione del sistema imperiale si è rivelata
estremamente
utile; essa ha funzionato pressoché miracolosamente per guadagnarsi l'obbedienza della gente.
Anche se l'imperatore Hirohito dichiarò di non essere più un dio, ma un semplice uomo
e nonostante nella
costituzione l'imperatore non venisse più indicato come il sovrano, ma semplicemente come un
"simbolo" dello
stato, rimanevano pur sempre i residui della vecchia struttura psicologica che era stata inculcata nelle menti
della
gente. Lo stato giapponese moderno è stato fondato, come lo sono stati altri stati moderni del mondo,
sulla base
di una finzione, ricorrendo all'uso di elementi ormai appartenenti alla storia (ma ancora funzionali) della sua
società. Lo stato venne plasmato sul modello di una grande famiglia. In cima vi era il dio vivente,
l'imperatore,
il cui regno veniva giustificato solo sulla base del mito (ma nella vita interna di un imperatore si poteva trattare
del Destino) che la sua progenitrice fosse stata la dea del Sole (Amaterasu-omikami). Il governo
Meiji fece
enormi sforzi per radicare questo mito tra la gente, ricorrendo, a tale scopo, soprattutto alla scuola obbligatoria.
E' inutile dire che all'interno delle forze militari vigeva un sistema educativo che seguiva gli stessi principi. Si
può senz'altro affermare che dai tempi della guerra russo-giapponese del 1904/05, gli sforzi messi in
atto in tal
senso dai governanti giapponesi avevano ormai dato i loro frutti, instaurando un atteggiamento psicologico
comune tra la gente. In base a questo inganno ognuno veniva considerato figlio dell'imperatore, il Padre della
nazione; pertanto, si riteneva che ciascuno, come figlio, fosse uguale davanti all'imperatore, il quale, a sua volta,
veniva ritenuto amare tutti in maniera uguale. Ma la realtà era molto più crudele. Questo
mito, una volta applicato nella società reale, produceva per i suoi
"figli" un mondo che non era equo, bensì altamente gerarchico, dato che il rango sociale di una persona
veniva
stabilito in base alla sua distanza dal trono dell'imperatore. Inoltre, il modello fittizio della grande famiglia
giapponese si basava sul modello del sistema famigliare giapponese reale, nel quale il padre era l'entità
superiore
- come se fosse un piccolo imperatore - e i membri della famiglia di sesso maschile erano superiori a quelli di
sesso femminile. Ogni famiglia patriarcale veniva considerata come un elemento della più grande
famiglia
patriarcale nazionale, ogni membro della famiglia doveva obbedire al proprio padre e allo stesso tempo al Padre
della nazione. Non c'era alcun posto per la libertà individuale, soprattutto per gli individui di sesso
femminile. Oggi,
considerando le cose in base a criteri logici, verrebbero dei dubbi sulla possibilità che l'imperatore,
essendo un
semidio e pertanto non un uomo reale, sia in grado di assumersi responsabilità di governo, nel senso
in cui esse
vengono intese in uno stato moderno di tipo occidentale, al cui modello si ispirava l'Impero giapponese. Non
è
certo necessario far notare che nel modello occidentale tutti coloro che rappresentano lo stato sono esseri umani,
ivi incluso il re o l'imperatore. Si può quindi dire che il trono dell'imperatore, così come
veniva concepito dalla costituzione Meiji, era un trono
vacante; l'imperatore infatti, essendo un dio vivente, non poteva assumersi alcuna responsabilità, visto
che il trono
era qualcosa di così sacro da non poter essere macchiato da errori umani. E in realtà, nella
storia dell'Impero giapponese, il sistema imperiale si è largamente dimostrato come un sistema
improntato all'irresponsabilità. Un efficace esempio di questo fatto era l'esercito giapponese: ogni ordine
veniva
emesso a nome dell'imperatore e pertanto nessuno accettava di assumersi responsabilità definitive. Esse
venivano
rinviate sempre più in alto, fino a quando non arrivavano al trono, che di fatto era come vacante.
Pagine tutte nere Tutto ciò dimostra come il senso di
responsabilità personale possa esistere unicamente in un ambito di profonda
libertà personale, nel quale ciascuno possa decidere il proprio ruolo in base alla propria volontà.
Vale a dire che,
senza autonomia e "autodeterminazione" non sarà mai possibile l'instaurarsi di un senso di
responsabilità.
Nell'Impero giapponese regolato dalla Costituzione Meiji, non esistevano spazi per poter realizzare le
libertà
individuali e sociali indispensabili per dar vita ad una società umana e felice. Questo sistema
politico cessò di esistere con il 15 agosto 1945. All'epoca in cui frequentavo la sesta classe
elementare assistetti al crollo del vecchio sistema. Tutto quello che mi era stato insegnato e a cui avevo creduto,
venne rinnegato nel giro di una notte. Non dimenticherò mai questa scena: i bambini della classe che
cancellano
con dell'inchiostro nero un gran numero di parole e di frasi intere dai loro libri di testo. Alcune pagine
diventavano tutte nere. Le parti che venivano eliminate erano, secondo le forze di occupazione americane,
pericolose e controproducenti per il processo di "democratizzazione" del Giappone, a causa delle idee militariste
o reazionarie che contenevano. Il maestro dettava e noi coloravamo il pezzo di nero. Era come un funerale
del vecchio sistema fittizio. Durante
questo processo, tuttavia, assistemmo allo spettacolo dei nostri insegnanti che si prodigavano a negare quello
che
ci avevano in precedenza insegnato. Fu un'esperienza dolorosa. Nel profondo del mio cuore stabilii che non
avrei
mai più creduto a degli adulti capaci di tradire la fiducia che dei bambini avevano riposto in loro e che
non sarei
mai diventata un adulto del genere. Con ogni probabilità, in quel momento, ero rinata come una nuova
creatura
che stava appena cominciando ad andare alla ricerca di "un vero se stesso", il quale non fosse incompatibile con
l'esistenza di altri esseri umani. Ovviamente a quei tempi non ero così chiaramente conscia della
mia situazione. Come ragazzina di dodici anni
non potevo far altro che intuire quale fosse la mia condizione. Tuttavia, grazie all'esperienza fatta con l'assistere
alla fine di un'epoca storica e all'inizio di una nuova era, sono stata in grado, quarant'anni più tardi, di
comprendere a fondo la situazione nella quale si trovava a vivere Errico Malatesta. Anche lui aveva assistito
con
i propri occhi alla fine del regno dei Borboni e all'inizio di una nuova epoca storica: la transizione politica,
economica e culturale ad un nuovo sistema di valori. Aveva visto con rabbia adulti adunarsi sotto la bandiera
del nuovo sistema di potere per soddisfare i propri impulsi egoistici, mentre altri affogavano nella disperazione.
Cominciò così ad andare alla ricerca della propria strada in questa situazione caotica, portando
avanti, in un primo
tempo come ispirandosi a sogni infantili e in seguito con sicurezza sempre maggiore, la propria rivolta morale
contro l'ingiustizia sociale. Nel 1925, immediatamente a ridosso dell'arrivo di Mussolini al potere, egli scrisse
sul suo periodico Pensiero e Volontà, la cui voce venne soffocata dalle repressioni del
regime fascista, le seguenti
frasi: l'Anarchia è un modo di convivenza sociale, in cui gli uomini vivono da fratelli senza che
nessuno possa
opprimere e sfruttare gli altri e tutti abbiano a propria disposizione i mezzi che la civiltà dell'epoca
può fornire
per raggiungere il massimo sviluppo morale e materiale; e l'Anarchismo è il metodo per realizzare
l'anarchia
per mezzo della libertà, senza governo, cioè senza ogni autorità che con la forza, sia
pure a fin di bene,
impongano agli altri il proprio volere. All'età di settantadue anni formulava per iscritto una
delle sue più profonde intuizioni: ciò che importa, ciò che
li fa anarchici è il sentimento, è l'aspirazione alla libertà, al benessere per tutti, all'amore
fra tutti. Nel tentativo di realizzare questo impulso radicale alla massima libertà umana,
egli poneva un particolare accento
sulla volontà individuale di ogni singolo: L'Anarchia è un'aspirazione umana (...) che
potrà realizzarsi e non
realizzarsi secondo la volontà umana. Questa frase è troppo semplice e chiara per
essere fraintesa. Nella situazione critica in cui ogni libertà umana
veniva repressa dal regime fascista italiano, egli cristallizzò quest'idea che avrebbe dovuto rappresentare
l'eredità
delle lotte per la libertà, l'autonomia e l'autodeterminazione, portate avanti contro il potere da
più generazioni.
L'anarchia è nata in Europa verso la metà del diciannovesimo secolo quando, parallelamente
al potere
capitalistico, venne a crearsi una concentrazione del potere statale (in ambito militare, così come in
quello
burocratico). Nel ventesimo secolo, di fronte ad una sempre maggiore concentrazione del potere dello stato e
del capitale, Errico Malatesta proponeva una rivoluzione umana improntata all'amore. La mia opinione
è che egli desiderava in tal modo cambiare completamente l'ordine gerarchico delle relazioni
sociali, al fine di costruire una nuova società umana, dando incessantemente vita a delle nuove relazioni
umane
tra gli uomini e gli uomini, tra gli uomini e le donne e tra le donne e le donne, per mezzo dell'amore e della
solidarietà. Secondo la testimonianza di Luigi Fabbri, che è stato a lungo suo collaboratore per
quanto riguarda
vari aspetti del movimento, le idee anarchiche di Malatesta erano assolutamente coerenti con i suoi sentimenti
rivoluzionari, con la sua sensibilità umana e con il suo profondo sentimento d'amore. La mia opinione
è che egli
sia sempre rimasto fedele a se stesso e che abbia sempre cercato di collaborare con altri che fossero a loro volta
fedeli a se stessi.
Umanesimo più radicale Un essere umano che rimane fedele alla
propria coscienza è dotato anche della sensibilità sufficiente per
accorgersi quando qualcuno è incline a lasciarsi attrarre dalla possibilità di entrare in possesso
di poteri, per
quanto piccoli possano essi essere, che gli permettano di dominare gli altri, conservando in tal modo la
possibilità
di superare questa tendenza al potere grazie al fatto di essere confortato dal proprio senso di solidarietà.
Pertanto,
senza libertà di coscienza e senza la possibilità di esprimere liberamente tale coscienza, non
vi sarebbe alcuno
spazio per dar vita ad una società umana basata su dei rapporti reciproci equi e senza discriminazioni
sociali.
L'anarchia, quindi, è libertà sotto forma dell'umanesimo più radicale: nata in primo
luogo nella coscienza umana
e nel senso morale di ogni singola persona è cresciuta poi attraverso la solidarietà tra la gente,
nel continuo
rispetto dell'autonomia e dell'autodeterminazione degli altri. Il principio è valido anche per i gruppi
esistenti
all'interno di regioni e zone specifiche. Non importa il gruppo etnico o nazionale al quale essi appartengono:
la
loro autonomia verrà sempre rispettata dagli altri gruppi; e non importa il sesso al quale appartiene una
persona:
essa sarà sempre rispettata. Senza alcun potere socialmente dominante, gli esseri umani possono dar
vita, per
mezzo dell'autonomia e della solidarietà, a delle relazioni reciproche improntate alla libertà e
all'eguaglianza.
Si trattava del principio operativo al quale si ispirava la Prima Internazionale ai suoi inizi: l'Associazione
Internazionale dei Lavoratori fondata in Europa nel 1864, nel periodo in cui andava formandosi il moderno
sistema statale occidentale. In Europa, contemporaneamente al rafforzamento del potere statale andava
intensificandosi anche la resistenza della gente nei suoi confronti. Così, il movimento della Prima
Internazionale
superò quelli che erano i confini tra i vari stati, diventando un'entità internazionale. In
Giappone, invece, lo Stato
Moderno si fondava su di un mito: l'origine del potere dell'imperatore si basava sul mito della sua discendenza
dagli dei e del fatto che la famiglia dell'imperatore avesse sempre governato il paese fin dall'origine dei tempi.
Secondo il governo, di conseguenza, era logico che noi obbedissimo a questo dio vivente. La natura
anacronistica di queste convinzioni è ormai chiarissima ai nostri occhi, ma allora il sistema funzionava
senza intoppi. Uno dei motivi era che il governo non permetteva alla gente di pensare liberamente: le negava
la
libertà di avere una coscienza. Naturalmente tra la gente vi erano delle resistenze. Tuttavia il governo,
mentre
reprimeva i movimenti per la libertà di coscienza, introdusse nel 1890, sotto forma di Decreto Imperiale,
quello
che doveva essere il principio ispiratore del sistema di educazione nazionale e cioè che ognuno doveva
dedicarsi
per intero all'imperatore e allo stato giapponese. Un'altra ordinanza imperiale che decretava la fondazione
dell'Università Imperiale come massimo ente educativo
nazionale, dichiarava che l'Università doveva avere come scopo quello di insegnare agli studenti ad
essere utili
allo stato giapponese. Pertanto, mentre venivano adottate a ritmo incessante tecnologie e politiche di potere
ispirate all'occidente, l'idea di una resistenza da parte della gente venne puntigliosamente rifiutata. Si tratta di
una
tendenza ancora oggi molto forte nella nostra società. Un altro motivo era la situazione internazionale.
L'Impero
giapponese si era formato nel 1868, alla vigilia del periodo dell'imperialismo. Il Giappone avrebbe potuto essere
conquistato, così come lo era stata l'India, o semi-conquistato dalle grandi potenze europee, come lo
era stata la
Cina. La gente era cosciente della situazione di imminente pericolo in cui si trovava la patria, soprattutto dopo
la Guerra russo-giapponese. I sentimenti semplicizzanti della gente furono sfruttati da coloro che tenevano le
redini del sistema imperiale, tra i quali vi erano, ovviamente, i militari.
Il nuovo sistema educativo Il terzo motivo era il periodo feudale della storia
giapponese, durante il quale il paese si chiuse nei confronti di
ogni influsso straniero a partire dal 1639. Fu un anno dopo questa data che il governo militare feudale represse
nel sangue la grande insurrezione dei cristiani giapponesi nella parte meridionale del Giappone. Dopo tale
data venne a cessare la libertà di fede. Tutti dovevano obbedire unicamente agli ordini
dell'autorità
feudale, che veniva chiamata con riverente timore Okami (vertice della gerarchia). Nonostante
con la
Restaurazione dei Meiji il Giappone si fosse formalmente aperto all'esterno, la mentalità feudale rimase:
conservando il proprio appellativo di Okami, l'autorità feudale venne sostituita
dall'Imperatore, che non ebbe
problemi ad occupare il posto più alto nella psicologia della gente. Vi racconterò un
episodio. Quattro anni fa ho partecipato ad un seminario estivo, insieme ad alcuni miei studenti
provenienti dal Giappone settentrionale. A tale seminario partecipava anche una dozzina di studenti stranieri
di
diversi paesi che studiavano in Giappone, tra i quali alcuni coreani, cinesi, indonesiani e iraniani. Una sera
organizzammo una sessione di discussione libera che prevedeva quanto segue: ogni studente straniero, dopo
essersi presentato, avrebbe posto alcune domande relative in qualche modo alle esperienze fatte con la
società
giapponese; a loro volta, gli studenti giapponesi, dopo essersi presentati uno alla volta, avrebbero cercato di
rispondere a tali domande. Il risultato fu molto interessante: cominciammo tutti a riflettere sui motivi per i quali
i giapponesi e la loro società sono così poco comunicativi. Uno studente straniero, per esempio,
ha chiesto,
"Perché i giapponesi hanno un modo di comportarsi doppio?": un amico giapponese l'aveva invitato,
dicendogli
"Vieni a trovarmi a casa mia". Così lui era andato a casa sua a trovarlo: l'amico gli aveva detto
"Benvenuto" ma,
ancora fuori dalla porta, il giapponese gli chiese: "Sei venuto per trattare qualche affare?". Rimase così
raggelato
che non sapeva proprio cosa dire... La maggior parte degli studenti stranieri che studiano da noi hanno avuto
esperienze simili con i giapponesi e hanno con ogni evidenza sofferto in Giappone della differenza tra quelle
che
sono le reali intenzioni di una persona e quello che essa invece finge nei confronti degli altri. L'impressione che,
come mi è sembrato, volevano comunicarci è che in tal modo diventa quasi impossibile
costruire una vera
relazione reciproca, perché nessuno potrebbe fare affidamento su degli atteggiamenti talmente ambigui;
se uno
non è sincero con se stesso e con gli altri, non è nemmeno capace di comunicare con nessuno,
perché una vera
relazione si basa sul cuore di una persona, sulla sua personalità reale. Per cercare di fornire una
risposta ai loro colleghi stranieri, molti studenti giapponesi hanno fatto riferimento al
periodo storico durante il quale era in vigore la politica delle porte chiuse, che ha coperto tutto l'arco di tempo
che va dall'età feudale fino alla Restaurazione Meiji e che ha tenuto continuamente il popolo giapponese
sotto
lo stretto controllo delle autorità, facendo sì che i cuori della gente si chiudessero e
insegnandole ad esprimere
le proprie opinioni solo davanti alle persone nelle quali si ha fiducia; anche se il Giappone si è aperto
al mondo
dopo il periodo feudale, la mentalità tradizionale è rimasta sempre viva. Alcuni hanno detto che
anche in seguito,
sotto il sistema imperiale, non è esistita la possibilità di esprimere la propria opinione
liberamente e
pubblicamente; tutti dovevano nascondere la propria opinione in pubblico, dato che esprimerla poteva essere
pericoloso. Abbiamo fatto dei calcoli: dal momento in cui il Giappone è entrato nel periodo di
isolamento
nazionale nel 1639, fino a quello della Restaurazione Meiji nel 1868 sono passati 230 anni; dal 1868 fino al
1988
esattamente 130 anni. Il periodo di isolamento, quindi, è durato cento anni più a lungo di quello
seguente. La
mentalità ispirata da un comportamento doppio, pertanto, è stata trasmessa da una generazione
all'altra per più
di due secoli, o meglio, per dirla più semplicemente, per 7 o 8 generazioni, mentre meno di 4
generazioni sono
passate dai tempi in cui è stata adottata la politica di apertura del paese verso l'esterno e dopo il 1945
sono passate
solo due generazioni(!). Ci siamo tutti resi conto di come potrà essere difficile la situazione per le
generazioni
più giovani (e per le generazioni che devono ancora venire). Cari Carla e Giulio, la mia lettera sta
diventando molto lunga, eppure ho ancora tante cose da dirvi, soprattutto
per quanto riguarda il nostro sistema educativo ispirato a criteri di controllo, che esercita una violenza non solo
psicologica, ma addirittura anche fisica, sulle generazioni più giovani. Vi darò un solo esempio:
di recente una
ragazza è morta all'entrata della propria scuola, dopo essere rimasta intrappolata in una pesante porta
d'acciaio
a chiusura automatica. La persona che imprudentemente aveva schiacciato il pulsante era il suo insegnante.
Voleva lasciare fuori gli alunni che erano arrivati in ritardo. Il nuovo sistema educativo, che è stato
modellato
dopo la guerra sulla base dei principi che regolano quello americano, sembra ritornare oggi ad una specie di
"militarismo educativo", soprattutto nelle scuole medie inferiori. Gli insegnanti controllano il comportamento
degli allievi in tutti i suoi aspetti (verificano la lunghezza dei capelli, delle gonne, il colore delle calze, ecc.)
sotto
la guida del preside della scuola, il quale, a sua volta, deve obbedire alle direttive del Ministro dell'Educazione
e cioè al governo e ai leader politici. Ovviamente questi ultimi vogliono educare dei giovani che
obbediscano ai
loro scopi. Lo stesso vale per i potentati economici. Quello che vogliono è disporre di soldati del
capitalismo che
si dedichino all'azienda, senza tenere conto delle loro vite private e sociali. Tutto ciò significa che anche
oggi lo
stato e il capitale sono nemici della felicità, della libertà e dell'autonomia. E' inoltre in atto il
tentativo di utilizzare
il nuovo imperatore e la sua famiglia per riorganizzare la società giapponese sotto il nome della
"tradizione". In
particolare, lo stato e il capitale giapponese sfruttano i difetti che sono venuti storicamente a formarsi, come
abbiamo visto sopra, nella società giapponese, per costruire una nuova struttura sociale improntata a
criteri di
discriminazione.
Autonomia e solidarietà Oggi, il popolo giapponese, per potere
ricuperare la propria autonomia di fronte alle violenze perpetrate dallo
Stato e dal Capitale, dovrebbe in primo luogo riuscire a rendersi conto della propria situazione, perché
senza tale
coscienza nessuno potrà accorgersi di stare egli stesso perpetrando inconsciamente la violenza dello
stato e quella
del capitale. Una volta che se ne sarà reso conto, potrà cambiare e scegliere di conseguenza le
proprie strategie
di non cooperazione con questa violenza sociale. L'idea di anarchismo e di anarchia di Errico Malatesta,
è in
grado di aiutare i giapponesi a ritrovare se stessi nei loro tentativi di riottenere la propria libertà e la
propria
autonomia, in modo tale che essi possano scoprire la vera solidarietà con tutti gli altri popoli del mondo.
È questo
un fatto che dimostra come essa sia una delle più preziose tradizioni della saggezza umana della
moderna storia
europea. Ho scritto questa lettera durante il periodo in cui si è svolta la cerimonia di incoronazione
del nuovo imperatore
del Giappone (nov. 1990, n.d.r.). Mentre la cerimonia procedeva sotto stretta sorveglianza della polizia (contro
i movimenti radicali), alcuni giornali asiatici hanno espresso la preoccupazione che l'imperatore possa ottenere,
ancora una volta, lo statuto di "dio vivente". I popoli dell'Asia ricordano ancora molto bene le aggressioni che
i loro paesi hanno subito da parte dell'esercito giapponese che agiva in nome dell'imperatore, ovvero del dio
vivente, e di essere stati costretti anch'essi a credere a questo mito e a tutte le finzioni che ne conseguono. Il
sistema imperiale instaurato con la Costituzione Meiji aveva una doppia faccia: internamente era un sistema
di
violenza sociale, mentre esternamente funzionava come un meccanismo di aggressione. La sua funzione
essenziale era quella di imporre con la forza il proprio sistema di valori sugli altri, al fine di manipolarli,
deprivandoli in tal modo dell'autonomia e dell'autodeterminazione indispensabili affinché le
personalità
individuali possano formarsi e per organizzare sulla loro base delle comunità umane. Si tratta di
un modello che si trova completamente all'opposto del modello sociale di autonomia e solidarietà
dell'anarchismo. Che il nuovo imperatore diventi o meno un dio vivente, sulla base di una "tradizione fittizia",
dipende solo dalla volontà del popolo giapponese. Oggi, durante quello che è un periodo critico
per la storia
dell'umanità, dobbiamo collaborare tutti a livello mondiale, affinché sulla terra vi sia pace. Non
possiamo tuttavia
che cominciare da noi stessi. Errico Malatesta era un uomo che ha cominciato da se stesso, mostrando alla gente
quello che sentiva e quello che pensava attraverso i suoi atti e le sue parole ogni volta che ciò gli era
possibile,
nello sforzo di creare delle relazioni umane che permettessero sia all'autonomia che alla solidarietà di
svilupparsi.
E rimase fedele a se stesso per tutta la vita. Non era un adulto falso. Posso quindi credergli, anche se
può avere
commesso degli errori. E' questo uno dei motivi fondamentali, per cui vorrei introdurre le sue idee tra i
giapponesi e in particolare tra i giovani.
(traduzione dall'inglese di Andrea Ferrario)
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