Rivista Anarchica Online
Le due mafie
di Antonio Cardella
Quando, subito dopo il delitto Dalla Chiesa, scrissi tre lunghi articoli nei quali
ipotizzavo - e non soltanto in via
puramente teorica - che il generale, fresco di prefettura, fosse stato ucciso, certamente dalla mafia, ma non per
motivi di mafia, molti compagni rimasero perplessi, interpretando quel mio intervento, se non proprio come
difesa
d'ufficio del potere mafioso, come espediente per buttare tutto in politica. Ebbene, a dieci anni da quella
sera di settembre, nella quale dalle bocche dei kalasnikov uscirono le raffiche
mortali per i coniugi Dalla Chiesa, quell'ipotesi viene accreditata dalle confessioni dei pentiti, non sottovalutate
dai magistrati inquirenti, i quali, adesso che lo scontro con i politici è aperto, non esitano ad alzare il
tiro e, nel
caso specifico, ad accreditare la tesi del delitto politico. Non sono tra coloro che hanno grande simpatia per i
cosiddetti pentiti: sono convinto, e non da oggi, che i più noti e potenti tra loro giochino un ruolo
rilevante nella
ristrutturazione dell'organizzazione: più precisamente nello smantellamento della vecchia struttura che
ha retto
la gestione del traffico di droga, adesso troppo esposta e culturalmente inadeguata a gestire i nuovi settori
d'attività
della mafia: la finanza internazionale, la politica energetica ed il commercio di armi sofisticate e di distruzione
di massa. Per quanto furbi ed esperti, infatti, si fa fatica ad attribuire, ad esempio, ad un Riina la
capacità di
leggere un bilancio d'impresa o un listino di borsa. Di lui, come dei tanti come lui, pentiti o no, si
parlerà ancora
per molto tempo, ma nella logica della vera cupola mafiosa, costituita da uomini ancora senza volto, essi sono
morti che camminano, zombi che non trovano la via per riposare in pace e togliersi di torno.
Enorme quantità di denaro Ma anche se la tara da fare alle
dichiarazioni dei pentiti è tanta, chiarissimo è il disegno complessivo che essi
perseguono nei riguardi dei politici collusi. Poiché non sono ormai di alcuna utilità agli interessi
mafiosi attestati
su ben altre posizioni, va drasticamente arginata la residua loro possibilità di ricattare. Vanno, quindi,
eliminati
come Lima o screditati irreversibilmente come sta accadendo a Giulio Andreotti, al vice presidente della
Camera,
Mario D'Acquisto o all'ex ministro delle liquidanze politiche per il Mezzogiorno, Calogero Mannino, per citarne
solo alcuni. Ciò non significa, ovviamente, che la mafia si disinteresserà della politica:
mantenere l'esercito della
manovalanza, dei fiancheggiatori e degli infiltrati, le molte migliaia di persone, insomma, che consentono il
controllo del territorio, significa reperire risorse sempre nuove e queste possono venire soltanto o almeno
prevalentemente da appalti pubblici. Continuerà così la lotta per conquistarseli, ancora per
qualche tempo, tra le rissose schiere dei capifamiglia; poi
da asettici accordi tra i vertici dello stato e delle regioni e immacolate, insospettabili imprese leader dei singoli
settori in Italia: perché la realtà di cui bisogna tener conto per il futuro prossimo è
proprio questa: l'enorme
quantità di denaro ricavata dai molti commerci della mafia, ha trovato impiego, grazie alla mediazione
del
mercato finanziario, in apparati produttivi efficientissimi e di alta tecnologia, in grado di passare immuni
attraverso qualsiasi controllo e di contrastare con successo ogni concorrenza. Non vi sto certo prospettando
un mondo pacificato dalla mafia: lo stesso sfacelo delle istituzioni in Italia e in
molte altre aree dell'occidente non facilita il compimento del disegno, il quale, però, è
già definito e prevede il
taglio del secolare cordone ombelicale che lega ancora la mafia al potere politico: intendo dire che si
interromperà
il raccordo organico con un apparato politico divenuto inaffidabile; prevede un controllo più
soft del territorio e
grandi raccordi internazionali, questi ultimi facilitati dalla mobilità e duttilità delle strutture
create, che non hanno,
a differenza degli stati, problemi sociali da risolvere, trattati da rispettare. Questo processo - che è
certamente alla fase iniziale - è reso più spedito dalla migrazione delle imprese europee
verso localizzazioni più favorevoli per inferiori costi dei fattori della produzione, le quali imprese, col
migrare,
lasciano libere ampie aree di insediamento, subito occupate dalle nuove strutture mafiose che, non avendo
problemi di bilancio, mirano essenzialmente all'occupazione del territorio per predisporlo ai traffici illeciti ed
alle
speculazioni. Falcone diceva che la mafia, come ogni cosa mortale, è destinata a finire. E, in effetti,
la mafia tradizionale, quella
legata al feudo, prima, ed alla speculazione edilizia dei grandi centri urbani, poi, già non esiste
più, anche se
alcune manifestazioni legate ad interessi locali farebbero pensare diversamente. Questa mafia che aveva alle
spalle
una tradizione solidaristica con i governi che si sono succeduti nella storia d'Italia, dalla fine del processo di
unificazione sino agli anni Settanta del nostro bel secolo, ha svolto per intero la propria funzione, ha raggiunto
il punto più alto della parabola e adesso è alla fine della corsa. Significato
ambiguo Ma dalle sue viscere è sortita una nuova, grande e pericolosissima
organizzazione criminale, i cui membri e le
cui attività sono tuttora assolutamente coperte. Si sa solo che esiste, perché non tornano i conti
dei colossali
capitali accumulati negli ultimi decenni d'attività e che non risultano reinvestiti nella droga (settore che
la mafia
sta abbandonando). E' per questo che i processi che si svolgono nelle aule giudiziarie rivelano un "panorama
mafia" che con l'attualità non ha nulla a che vedere. Mentre scrivo queste righe, il giornale radio
dà la notizia del
suicidio del giudice Signorino. È un altro protagonista del "maxiprocesso uno" che se ne va,
accrescendo i sospetti
e le perplessità che quella vicenda giudiziaria ha suscitato, sin dalla sua fase istruttoria. Un altro
dramma dal significato ambiguo.
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Alcune forme di riciclaggio del denaro
sporco:
1) cambio di biglietti di piccolo taglio superiore; 2) trasporto materiale di denaro in paesi "sicuri",
variamente denominati: centri off-shore, tax-hayens, paradisi
fiscali; 3) trasferimento di capitali attraverso società "dal guscio vuoto" (società per azioni
al portatore, società fiduciaria
etc.) e con la creazione di documenti falsi; 4) esportazioni fittizie: emissione false e loro pagamento con
denaro pulito. 5) autofinanziamento e prestiti alle imprese-paravento o strumentali; 6) sistema del
"doppio prezzo" nell'acquisto di beni; 7) "doppia fatturazione": una per le attività legali, l'altra per
le attività illegali; 8) compensazioni. Il sistema delle compensazioni prevede quattro passaggi: 1)
raccolta all'estero di rimesse di
emigrati e di altra valuta estera destinata in Italia a persone residenti; 2) raccolta in Italia di valuta estera
destinata
all'esportazione clandestina; 3) utilizzo della valuta italiana destinata all'esportazione per corrispondere ai
residenti il controvalore della valuta straniera che avrebbero dovuto ricevere all'estero; 4) utilizzo della valuta
straniera che avrebbe dovuto essere rimessa in Italia per la creazione all'estero di disponibilità
finanziaria a favore
degli esportatori clandestini di capitali; 9) acquisto di opzioni di contanti a termine in varie valute e
speculazione sui cambi. Le opzioni possono essere
su valuta e su merci (variazioni di prezzo).
Creare e difendere il lavoro pulito
La mafia non soltanto soffoca le coscienze e tappa le bocche, ma succhia vampirescamente il sangue di chi
lavora
onestamente. In tutte le sue fasi, non ha mai prodotto sviluppo, anzi ha taglieggiato chiunque - contadino o
pescatore, commerciante o industriale - abbia prodotto beni o servizi. Anche quando offre - col ricatto
clientelare - "posti di lavoro", in realtà propone impieghi e stipendi, non mestieri
e attività gratificanti. Come cittadini comuni dobbiamo pretendere che lo Stato si preoccupi, con
la sua attività legislativa ed esecutiva,
di strappare alla mafia sacche di disoccupati e di sottoccupati disposti a vendere tutto - dal voto alla
libertà - per
acquistare un minimo di denaro e di prestigio. Ma anche in questo campo non possiamo aspettare che la classe
politica attuale rinunzi, di punto in bianco, a mantenere sotto la spada di Damocle del suo potere clientelare
migliaia di famiglie. Perciò dobbiamo impegnarci e creare, per noi e per gli altri, occasioni di lavoro
"pulito" che spezzino, almeno per
chi non è particolarmente assetato di denaro, il giogo del sistema politico-mafioso. E dobbiamo,
parimenti,
impeganrci a difendere, per noi e per gli altri, il lavoro "pulito" che già esiste e sul quale grava la
continua
pressione del "pizzo" (la tangente dei mafiosi) e della "tangente" (il pizzo dei politici). La mafia va piegata,
inoltre, boicottando tutte le sue attività legali e illegali, a cominciare dal contrabbando delle
sigarette sino allo spaccio della droga. Anche su questo punto bisogna essere sinceri con se stessi ed ammettere
che non pochi di noi, antimafiosi a parole, ci serviamo senza troppi scrupoli dell'organizzazione commerciale
mafiosa per risparmiare o per procurarci merce illegale. E' ora di impegnarci, a voce alta, a non fare affari coni
mafiosi e con i loro complici, neppure se convenienti. E' ora di dire che i tossicodipendenti (per quanto essi
stessi
vittime di una società ingiusta e violenta) sono attualmente tra i migliori clienti del business mafioso
e che, perciò,
stanno non solo distruggendo se stessi ma anche la convivenza sociale. Ma è anche ora di riproporre,
in termini
espliciti ed adulti, il problema del proibizionismo delle droghe, superando la pigra equazione mentale di
"antiproibizionista" e di "lassista": anche se la mafia si nutre attraverso molti canali, vanno ipotizzate e
gradualmente sperimentate nuove vie che strappino alle multinazionali del crimine il monopolio sulle droghe
e
ne attribuiscano il controllo allo Stato.
da: Liberarsi dal dominio mafioso opuscolo curato dal Centro Sociale
"San Francesco Saverio", dal Distretto Socio-Sanitario della USL 58, dal Cocipa, dall'Associazione
palermitana per la pace, dal Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato". Palermo,
settembre 1992
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