Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 207
marzo 1994


Rivista Anarchica Online

Toh, i situà!
di Pietro Adamo

Verso la fine di maggio del 1968 uno dei funzionari della sede del partito comunista moscovita si vide probabilmente recapitare il seguente telegramma:
CREPATE DI PAURA, BUROCRATI. PRESTO LA POTENZA INTERNAZIONALE DEI CONSIGLI DEI LAVORATORI VI SPAZZERA' VIA COMPLETAMENTE. L'UMANITA' NON SARA' FELICE FIN QUANDO L'ULTIMO BUROCRATE NON SARA' IMPICCATO CON LE VISCERE DELL'ULTIMO CAPITALISTA. LUNGA VITA ALLA LOTTA DI MAKHNO E DEI MARINAI DI KRONSTADT CONTRO LENIN E STALIN. LUNGA VITA ALL'INSURREZIONE DEI CONSIGLI DI BUDAPEST DEL 1956. ABBASSO LO STATO!
Il nostro funzionario doveva rimanere ancora più sbalordito di fronte alla firma: Comitato d'occupazione della Sorbona.
Evidentemente gli studenti parigini, pur essendo presi da tutt'altre faccende, avevano trovato il tempo di occuparsi anche dei principali nemici esterni, sia pure limitandosi alla minacciosa comunicazione delle loro intenzioni. Oggi può sembrare strano che gli enragés delle università, in futuro quasi completamente assoggettati ai paradigmi marxisti-maoisti-leninisti, abbiano manifestato una tale antipatia per i dogmi della gauche tradizionale. Tuttavia non c'è molto da sorprendersi, se si pensa che nel comitato degli studenti - un'assemblea permanente - erano presenti alcuni membri dell'Internazionale Situazionista, che nei primi momenti del maggio parigino contribuirono non poco a prestare al movimento studentesco una serie di motivazioni libertarie e uno stile paradossale e originale: le più celebri scritte murali e i più celebri slogan dell'epoca sono chiaramente ispirati da uno spontaneismo antiborghese e anticapitalista di matrice situazionista.
L'Internazionale si era formata nel 1957, frutto della fusione di tre differenti organismi (il «Movimento per un Bauhaus immaginista», il «Comitato psico-geografico di Londra» e 1'«Internazionale lettrista»). Inizialmente il gruppo si era interessato soprattutto alle potenzialità euristico-politiche dell'arte (sulla scia di surrealisti e dadaisti) ed era infatti composto da pittori, scultori, registi, ecc. Dalla fine dei cinquanta l'enfasi si spostò sull'analisi della cultura materiale dell'Occidente, concretandosi nella teoria della «società dello spettacolo» proposta dal massimo santone del movimento, Guy Debord. Se il punto di partenza era la rivisitazione lefebvreiana del Marx degli scritti giovanili, in seguito - con l'acquisizione della strumentazione critica fornita dal pensiero libertario e anarchico - i situazionisti sono giunti a formulare un progetto di sovversione politico-culturale che è divenuto uno dei punti di riferimento indispensabili della sinistra eterodossa e meno «ufficiale»,
Mi pare che due siano i contributi significativi dell'analisi situazionista: la concettualizzazione dello «spettacolo» come nuovo cemento unificante della società tardo-capitalista (o «postmoderna»), con una nuova enfasi sulla trasmissione/comunicazione/controllo dati, e la valorizzazione delle forze della creatività, della trasgressione e dell'autoaffermazione dell'individuo, come strategia complessiva che trasformi in azione politica la pratica di smascheramento e svelamento delle relazioni tra i singoli.
Secondo Debord «lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra individui, mediato da immagini. [Si tratta] di una Weltanschaung divenuta effettiva, tradotta materialmente. È una visione del mondo che si è oggettivata, [ ... ] nello stesso tempo risultato e progetto del modo di produzione esistente. È il cuore dell'irrealismo della società reale» (La società dello spettacolo, ora SugarCo, Milano 1990, p. 86). Debord e i suoi colleghi/seguaci avevano capito anzitempo che le tecniche repressive e le procedure coercitive associate in genere all'ente «Stato» si erano trasformati in strumenti ben più sofisticati e complessi di imposizione del consenso. Le forme usuali del controllo politico-culturale della dissidenza si sono incanalate in nuovi linguaggi: restando a Debord (stavolta in collaborazione con P. Canjuers), «il rapporto tra autori e spettatori è solo una trasfigurazione del rapporto fondamentale tra dirigenti ed esecutori. Risponde perfettamente ai bisogni di una cultura reificata e alienata: il rapporto che viene stabilito in occasione dello spettacolo è, in se stesso, portatore irriducibile dell'ordine capitalista» (in I situazionisti, Manifestolibri SET, Roma 1991 , p. 91). Semplificando all'eccesso, potremmo dire che la funzione svolta in precedenza dagli apparati polizieschi di stato diventa ora prerogativa delle strutture trans e meta-industriali che, attraverso la gestione mercificata delle idee e delle informazioni, impongono i modelli di ricezione e di circolazione delle stesse.
In una prospettiva di questo genere, l'azione politica dei libertari non può che configurarsi come processo di svelamento dei rapporti «spettacolari» (falsi, ma veri nella loro falsità) imposti, o meglio propagandati, dal sistema tardo-capitalista. E l'unica tecnica possibile è quella che mette in discussione le norme stesse che regolano il buon funzionamento della société du spectacle. Da qui l'enfasi situazionista sullo «spiazzamento» (détournement), un «linguaggio della contraddizione, che deve essere dialettico nella forma come lo è nel contenuto»: una continua opera di traslazione e riconversione, che «smente ogni autonomia durevole della sfera della teoria espressa, facendovi intervenire per mezzo di questa violenza l'azione che sconcerta e rovescia ogni ordine esistente» (La società dello spettacolo, cit., pp. 220, 223). Inizialmente concepita come un linguaggio della trasgressione artistica (e della comunicazione visiva), la pratica del détournement è slittata sul terreno dell'interazione sociale e politica, divenendo forma di vita nella controcultura degli anni Sessanta. In questo senso l'infrazione programmata di hippies, psichedelici, comunitari, fautori del libero amore, ecc., non è affatto riflusso nel privato o magari negazione della «rivoluzione» (secondo la sinistra marxisteggiante pienamente invischiata nella rete dello spettacolo): è anzi l'unico modo possibile di far politica, con un metodo che Debord definisce «costruzione sperimentale della vita quotidiana» (I situazionisti, cit., p.83).
Le teorie del gruppo appaiono in nuce in uno dei testi chiave di Debord, recentemente tradotto: I situazionisti e le nuove forme d'azione nella politica e nell'arte, (Nautilus, caso post. 1311, 10100 Torino), 1993, pagg. 16, lire 2.500, originariamente pubblicato nel 1963. Il programma è descritto sin dalle primissime righe: «il movimento si pone nello stesso tempo come un'avanguardia artistica, una ricerca sperimentale di una libera costruzione della vita quotidiana e infine un contributo all'articolazione teoretica e pratica di una nuova contestazione rivoluzionaria» (p. 3). Per la rinascita del radicalismo, occorre innanzitutto riprendere in considerazione le esperienze passate, precisandone la reale portata e identificando le tendenze riconducibili a una «mistificazione globale» (p. 5, probabile allusione alla sinistra riformista o comunista) (in La società dello spettacolo Debord avrà parole di apprezzamento per l'anarchismo meno elitario, soprattutto per l'esperienza spagnola del 1936-38, e in genere per i tentativi di costruire democrazie consiliari). Il progetto immediato si fonda su una visione realistica degli spazi creati all'interno dalla società dalla stessa velocità dello sviluppo materiale.
Gli specialisti, tutori dell'ordine costituito, proprio per la loro «funzione di guardiani della passività» (p. 5), sono costretti a rinunciare alle nuove possibilità fornite dalle innovazioni (e in questo programma Debord sembra persino anticipare il nucleo del cyberpunk più politicizzato).
«Nuovi tipi di ribellioni» (p. 6) sono possibili. I tre esempi forniti da Debord sono emblematici: gli studenti colombiani rubano quadri e poi offrono di scambiarli con prigionieri politici («una strada esemplare per trattare l'arte del passato», p. 7), i danesi lanciano bottiglie Molotov sulle agenzie turistiche o aprono radio clandestine (una «violenza che svela altri aspetti dell'altra violenza alla base di questo ordine "umanizzato''», p. 8), gli inglesi pubblicano surrettiziamente i piani per la sopravvivenza del governo in caso di guerra nucleare (rivelando «il grado del potere statale [raggiunto] nell'organizzazione del territorio, il livello più avanzato» di totalitarismo, p. 9). In tutti e tre i casi, si tratta di svelare la logica fondatrice della gestione del potere e dell'esercizio dell'autorità, con un'operazione che implica una qualche forma di détournement, ma che non propone immediati suggerimenti positivi (irrimediabilmente contaminati, in questo stadio, dal potere dello spettacolo): si tratta, scriverà poi Debord, soprattutto di uno «stile della negazione» (La società dello spettacolo, cit., p. 220).
L'Internazionale Situazionista, smembrata dalle scissioni, si scioglierà nel 1972. Anche in questo breve testo Debord non manca di polemizzare con gli avversari all'interno del movimento (si compiace anzi della sua «inflessibilità» nell'«eliminazione» del nemico, p. 7). Nonostante la sostanziale scelta di campo libertaria (oltre Gauguin, Van Gogh e Picasso, l'unica altra autorità citata in positivo nel libro è Bakunin), il gruppo ha lavorato in un contesto accentrato e autoritario: forse anche per questo il situazionismo non ha pienamente sviluppato i presupposti teorici della sua analisi, restando più uno stile che un pensiero.