Rivista Anarchica Online
Toh, i situà!
di Pietro Adamo
Verso la fine di maggio del 1968 uno dei funzionari della sede del partito
comunista moscovita si vide
probabilmente recapitare il seguente telegramma: CREPATE DI PAURA, BUROCRATI. PRESTO LA
POTENZA INTERNAZIONALE DEI CONSIGLI DEI
LAVORATORI VI SPAZZERA' VIA COMPLETAMENTE. L'UMANITA' NON SARA' FELICE FIN
QUANDO L'ULTIMO BUROCRATE NON SARA' IMPICCATO CON LE VISCERE DELL'ULTIMO
CAPITALISTA. LUNGA VITA ALLA LOTTA DI MAKHNO E DEI MARINAI DI KRONSTADT CONTRO
LENIN E STALIN. LUNGA VITA ALL'INSURREZIONE DEI CONSIGLI DI BUDAPEST DEL 1956.
ABBASSO LO STATO! Il nostro funzionario doveva rimanere ancora più sbalordito di fronte
alla firma: Comitato d'occupazione della
Sorbona. Evidentemente gli studenti parigini, pur essendo presi da tutt'altre faccende, avevano trovato il
tempo di
occuparsi anche dei principali nemici esterni, sia pure limitandosi alla minacciosa comunicazione delle loro
intenzioni. Oggi può sembrare strano che gli enragés delle università, in
futuro quasi completamente
assoggettati ai paradigmi marxisti-maoisti-leninisti, abbiano manifestato una tale antipatia per i dogmi della
gauche tradizionale. Tuttavia non c'è molto da sorprendersi, se si pensa che nel comitato
degli studenti -
un'assemblea permanente - erano presenti alcuni membri dell'Internazionale Situazionista, che nei primi
momenti del maggio parigino contribuirono non poco a prestare al movimento studentesco una serie di
motivazioni libertarie e uno stile paradossale e originale: le più celebri scritte murali e
i più celebri slogan
dell'epoca sono chiaramente ispirati da uno spontaneismo antiborghese e anticapitalista di matrice situazionista.
L'Internazionale si era formata nel 1957, frutto della fusione di tre differenti organismi (il «Movimento
per un
Bauhaus immaginista», il «Comitato psico-geografico di Londra» e 1'«Internazionale lettrista»). Inizialmente
il gruppo si era interessato soprattutto alle potenzialità euristico-politiche dell'arte (sulla scia di
surrealisti e
dadaisti) ed era infatti composto da pittori, scultori, registi, ecc. Dalla fine dei cinquanta l'enfasi si
spostò
sull'analisi della cultura materiale dell'Occidente, concretandosi nella teoria della «società dello
spettacolo»
proposta dal massimo santone del movimento, Guy Debord. Se il punto di partenza era la rivisitazione
lefebvreiana del Marx degli scritti giovanili, in seguito - con l'acquisizione della strumentazione critica fornita
dal pensiero libertario e anarchico - i situazionisti sono giunti a formulare un progetto di sovversione
politico-culturale che è divenuto uno dei punti di riferimento indispensabili della sinistra eterodossa e
meno «ufficiale», Mi pare che due siano i contributi significativi dell'analisi situazionista: la
concettualizzazione dello
«spettacolo» come nuovo cemento unificante della società tardo-capitalista (o «postmoderna»), con
una nuova
enfasi sulla trasmissione/comunicazione/controllo dati, e la valorizzazione delle forze della creatività,
della
trasgressione e dell'autoaffermazione dell'individuo, come strategia complessiva che trasformi in azione politica
la pratica di smascheramento e svelamento delle relazioni tra i singoli. Secondo Debord «lo spettacolo non
è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra individui, mediato da
immagini. [Si tratta] di una Weltanschaung divenuta effettiva, tradotta materialmente. È
una visione del mondo
che si è oggettivata, [ ... ] nello stesso tempo risultato e progetto del modo di produzione esistente.
È il cuore
dell'irrealismo della società reale» (La società dello spettacolo, ora SugarCo,
Milano 1990, p. 86). Debord e i
suoi colleghi/seguaci avevano capito anzitempo che le tecniche repressive e le procedure coercitive associate
in genere all'ente «Stato» si erano trasformati in strumenti ben più sofisticati e complessi di imposizione
del
consenso. Le forme usuali del controllo politico-culturale della dissidenza si sono incanalate in nuovi linguaggi:
restando a Debord (stavolta in collaborazione con P. Canjuers), «il rapporto tra autori e spettatori è solo
una
trasfigurazione del rapporto fondamentale tra dirigenti ed esecutori. Risponde perfettamente ai bisogni di una
cultura reificata e alienata: il rapporto che viene stabilito in occasione dello spettacolo è, in se stesso,
portatore
irriducibile dell'ordine capitalista» (in I situazionisti, Manifestolibri SET, Roma 1991 , p. 91).
Semplificando
all'eccesso, potremmo dire che la funzione svolta in precedenza dagli apparati polizieschi di stato diventa ora
prerogativa delle strutture trans e meta-industriali che, attraverso la gestione
mercificata delle idee e delle
informazioni, impongono i modelli di ricezione e di circolazione delle stesse. In una prospettiva di questo
genere, l'azione politica dei libertari non può che configurarsi come processo di
svelamento dei rapporti «spettacolari» (falsi, ma veri nella loro falsità) imposti, o meglio propagandati,
dal
sistema tardo-capitalista. E l'unica tecnica possibile è quella che mette in discussione le norme stesse
che
regolano il buon funzionamento della société du spectacle. Da qui l'enfasi
situazionista sullo «spiazzamento»
(détournement), un «linguaggio della contraddizione, che deve essere dialettico nella
forma come lo è nel
contenuto»: una continua opera di traslazione e riconversione, che «smente ogni
autonomia durevole della sfera
della teoria espressa, facendovi intervenire per mezzo di questa violenza l'azione che sconcerta
e rovescia ogni
ordine esistente» (La società dello spettacolo, cit., pp. 220, 223). Inizialmente concepita
come un linguaggio
della trasgressione artistica (e della comunicazione visiva), la pratica del détournement
è slittata sul terreno
dell'interazione sociale e politica, divenendo forma di vita nella controcultura degli anni Sessanta.
In questo
senso l'infrazione programmata di hippies, psichedelici, comunitari, fautori del libero amore, ecc.,
non è affatto
riflusso nel privato o magari negazione della «rivoluzione» (secondo la sinistra marxisteggiante pienamente
invischiata nella rete dello spettacolo): è anzi l'unico modo possibile di far politica, con un metodo che
Debord
definisce «costruzione sperimentale della vita quotidiana» (I situazionisti, cit., p.83). Le
teorie del gruppo appaiono in nuce in uno dei testi chiave di Debord, recentemente tradotto:
I situazionisti
e le nuove forme d'azione nella politica e nell'arte, (Nautilus, caso post. 1311, 10100 Torino),
1993, pagg.
16, lire 2.500, originariamente pubblicato nel 1963. Il programma è descritto sin dalle primissime righe:
«il
movimento si pone nello stesso tempo come un'avanguardia artistica, una ricerca sperimentale di una libera
costruzione della vita quotidiana e infine un contributo all'articolazione teoretica e pratica di una nuova
contestazione rivoluzionaria» (p. 3). Per la rinascita del radicalismo, occorre innanzitutto riprendere in
considerazione le esperienze passate, precisandone la reale portata e identificando le tendenze riconducibili a
una «mistificazione globale» (p. 5, probabile allusione alla sinistra riformista o comunista) (in La
società dello
spettacolo Debord avrà parole di apprezzamento per l'anarchismo meno elitario, soprattutto per
l'esperienza
spagnola del 1936-38, e in genere per i tentativi di costruire democrazie consiliari). Il progetto immediato si
fonda su una visione realistica degli spazi creati all'interno dalla società dalla stessa velocità
dello sviluppo
materiale. Gli specialisti, tutori dell'ordine costituito, proprio per la loro «funzione di guardiani della
passività» (p. 5),
sono costretti a rinunciare alle nuove possibilità fornite dalle innovazioni (e in questo programma
Debord
sembra persino anticipare il nucleo del cyberpunk più politicizzato). «Nuovi tipi di ribellioni» (p.
6) sono possibili. I tre esempi forniti da Debord sono emblematici: gli studenti
colombiani rubano quadri e poi offrono di scambiarli con prigionieri politici («una strada esemplare per trattare
l'arte del passato», p. 7), i danesi lanciano bottiglie Molotov sulle agenzie turistiche o aprono radio clandestine
(una «violenza che svela altri aspetti dell'altra violenza alla base di questo ordine "umanizzato''», p. 8), gli
inglesi pubblicano surrettiziamente i piani per la sopravvivenza del governo in caso di guerra nucleare
(rivelando «il grado del potere statale [raggiunto] nell'organizzazione del territorio, il livello più
avanzato» di
totalitarismo, p. 9). In tutti e tre i casi, si tratta di svelare la logica fondatrice della gestione del potere e
dell'esercizio dell'autorità, con un'operazione che implica una qualche forma di
détournement, ma che non
propone immediati suggerimenti positivi (irrimediabilmente contaminati, in questo stadio, dal potere dello
spettacolo): si tratta, scriverà poi Debord, soprattutto di uno «stile della negazione» (La
società dello spettacolo,
cit., p. 220). L'Internazionale Situazionista, smembrata dalle scissioni, si scioglierà nel
1972. Anche in questo breve testo
Debord non manca di polemizzare con gli avversari all'interno del movimento (si compiace anzi della sua
«inflessibilità» nell'«eliminazione» del nemico, p. 7). Nonostante la sostanziale scelta di campo
libertaria (oltre
Gauguin, Van Gogh e Picasso, l'unica altra autorità citata in positivo nel libro è Bakunin), il
gruppo ha lavorato
in un contesto accentrato e autoritario: forse anche per questo il situazionismo non ha pienamente sviluppato
i presupposti teorici della sua analisi, restando più uno stile che un pensiero.
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