Rivista Anarchica Online
Ritiro, esclusione, ecc.
di Marc de Pasquali
"Se sapeste da quale immondizia escono le poesie senza conoscere vergogna».
Achmatova
Donne pericolose è il titolo d'un romanzo di Compton MacKenzie che
insieme a Vento del sud di Norman
Douglas - demi monde inizio secolo, Capri e dintorni - sono un equivalente letterario dell'appariscente pittura
di Tamara de Lempicka che fece parte del transeunte gruppo smarty (come Dorothy Parker, Tamara non appare
in Garzantine e longeve Treccani). L'appagamento fu per la pittrice mèta e ambizione. Adorava quelle
nottate
che prospettavano d'incendiare il Louvre (con Marinetti), quelle bellezze superficiali e quel crudele potere e
lusso e cinismo, champagne e due tiratine di coca, godendo fieramente di quell'insieme di consumo volgarotto
e fatuo chiamato successo. La quintessenza di questa lunga esistenza è ora esposta a Roma nella
pasquale
Accademia di Francia (Villa Medici), biglietto d'ingresso, catalogo Leonardo Arte, sino al 1° maggio. Tamara
de Lempicka ne sarebbe entusiasta non solo per il vanume delle pareti tutte nuance grigio come nei suoi ritratti
e nel suo bar di casa (tre piani nei quartieri alti della solita Rive Gauche parigina) - e nella galleria milanese per
la sua prima personale che Castelbarco (marito di Wally Toscanini) appositamente intonacò di
grigerognolo nel
1925 - lo sarebbe soprattutto perché qui è stata preceduta da alcuni disegni del suo Ingres (che
a Villa Medici
visse). Tamara nasce Gorska, forse a Varsavia, forse nel 1898, forse scuole a Losanna, forse in Italia con
la nonna.
Raccontare il proprio passato non le garbava, prediligeva farlo fantasmare. Molto bene. Vacanze da una
zia a Pietroburgo dove giovanissima sposa (nella Cappella dei Cavalieri di Malta assolutamente
avulsa dai miserabili abitanti) l'attraente e sfaccendato avvocato Tadeusz Lempiki (Ritratto d'uomo,
incompiuto
del '28) che con la Rivoluzione d'Ottobre viene impirigionato. Lei lo libera offrendosi al console svedese.
Di
filato a Parigi. Nasce Kizette (rintracciabile Sul balcone e In rosa del '27,
Prima comunione del '29) che
pubblicherà nell'87 per Mondadori (passaggio obbligato da Costanzo) Disegno e
passione, in sintonia con una
tournée di teatro canadese. Prima guerra mondiale e disoccupazione, la sorella le suggerisce di provare
a
dipingere, Tamara afferra l'idea al volo. Prende lezioni; determinanti quelle di Lothe - ordine e norma - uguale
a rassicurante cubo ingresismo, ma è Ingres (che coi propri sensi borghesi fu ambiguo) ad ispirare
Tamara che
si lascerà attrarre, amandolo. Full immersion. Ecco gli spropositati nudi e le varie baigneuses in
condensazioni
claustrofobiche, annusati desideri, un po' bramati, un po' svogliati, ostentati in epoche diverse. Orientaleggiante
e ancora permissiva-patrimoniale, scialacquante di drappi, turbanti, tazzine, profumi, musica, abbracci tremendi
e volti classicheggianti, l'epoca del vecchio Ingres; razzista e squadrata, latente di terrori, quella di Tamara (e
nostra), dai colori primari o mezzi toni perlati, albicocca, rosacei, azzurrini, e verdi vescica e ramarrosi e
sottomarini, tutt'una ruggine luminosa, facce da cinema oppressivo, alla Lang-Lubitsch-Murnau, o da spie
d'occupazione (Ritratto del dottor Boucard pantaloni da S.A. in qualche laboratorio di ricerche
III Reich; Adamo
ed Eva pronti per la coazione riproduttiva d'una razza pura; il Ritratto di S.A.I. il
granduca Gabriel e il Ritratto
del marchese d'Afflitto stupratori crudeli d'un'Andromeda nascosta e incatenata, da
trucidare appena le si
consumerà il fuoco del rossetto), un'epoca di scenari ossessivamente incoronati da tronfie architetture
di regime
(da Speer a Piacentini, dalle periferie industriali di Sironi all'epica della pittura murale di Rivera). Ecco la
Donna in nero del '23 e Ritratto d'Ira P. senza data (sua vicina e amante). Se il primo
è storto e forzato, forse
catarroso, certo bisunto e odoroso di pasta e patate da refezione collegiale con una figura nera e masochista che
si port'appresso un Bel-Ami rilegato sangue di bue come la fibbia e le labbra, in uno sfondo color
fango
ingannatore (un tono che colerà sul nazionalismo più omicida e potente), il secondo ritratto
è nell'inclinazione
più tamarosa e volante, afferrato per un secondo, e in fretta avvolto con panno rubro militare, tre calle
addosso
(giuste spade per una signora in posa che vive di satin color ghiaccio in ville tristi, permettendo la consunzione
del suo ventre tondo, e gli occhi sbarrati, tiroidei, lo dicono chiaro) -la sospensione dei manichini.
Così Tamara vende, partecipa ai vari Salons nell'esteriorità dell'Art déco. Una
rivista tedesca le ordina nel '25
1'Autoritratto, ed eccola crudele e sicura, viziosa e rampante, s'una Bugatti virente e urlante (che mai
ebbe) con
cui girerà il mondo, seducendolo. Era un'epoca, e ancora lo è, di miserande incertezze, ricca
solamente di
disperazioni raggirate ad hoc e sfruttate d'abili assassini, D'Annunzio compreso che Tamara visitò al
Vittoriale... Perché allora parlare d'un vampiro liberty tutto manchette accendini portasigarette e
monocoli di platino contro
il disordine del Surrealismo (boicottato)? Perché Tamara de Lempicka non fu del tutto un
lacchè, fu brava e
intelligente, e spesso il suo ispirato ingegno brillò, va detto. Col suo prodotto lunare (al ritorno dalle
scorribande
serali lavorava sino all'alba), riafferma che l'arte non è democratica, è minoranza. Dipingere
non è fatto sociale,
è ritiro, esclusione, personalità, come lo sguardo ch'è libero e istintivamente sa
distinguere il fatuo, scoprire la
commovente potenza dell'arte pur subendo i condizionamenti che gli vengono imposti; lo sguardo nei secoli,
magari segreto, incerto, distratto, ma che vede - accordo del cuore, madre che dal mistero del concepimento
passa alla violenza gaudiosa del parto, nutrendo, crescendo, celebrando l'opera del mondo. Recepire la de
Lempicka come una squadra di piaghe dapprima alla moda, col tempo decaduta, o un'artista citazionista, con
gerarchie indotte, cioè di maniera, di categoria, mi pare allora superficiale, brutalmente proiettivo.
Sì, la sua
produzione ha interessato ed è passata di mano solo in ambienti crapuloni (da Barbra Streisand a Jack
Nicholson
e Gianni Agnelli), tolti quei quattro pezzi visibili al Petit Palais di Ginevra e al museo d'Orleans; sì,
gusto e stile
si formano in anni, ma ogni occhiata può essere comunque anarchica, e scava, resta. Tamara dimostra
questa
dualità in pose risospese, apparenti, sapientemente laccate, spavaldamente poggiate, e le rende gracili,
spoglie,
isolate, virtualmente vizze, povere, solo con soffici pennellate (o coltellate) che, insisto, sono consapevoli (non
a caso copiò poco eseguendo a memoria), e caratterizzano, quanto lo fecero i manieristi (ch'ella
studiò,
essenzialmente i cartoni di Pontormo), in barba ai poteri economici politici religiosi. Lo splendido
Ritratto della duchessa de la Salle palesemente viveur, dandy, nera, sadica, la spavalderia in
stivali di robusto cuoio, una colonna, con mano potente, passatoia cardinalizia, finestre accese per
l'arroventamento di strumenti torturanti, piccolo neo di casata, è un trionfo nella sua perversa camicia
nivea;
così lo è La bella Rafaela (1927) sua concupita, sua adorata preda per un anno,
l'unica ritratta adagiata, carnosa,
orgasmatica; e lo è il tormento meandrico del Gruppo di quattro donne femminili;
e anche quell'ovazione al
muscolo pettorale nel Ritratto di Suzy Solidor lesbica tenutaria del club per sole
donne - massi, che ora schiatti
la piccola borghesia fervente di routine! Sicché dopo amati, amate, amanti, Tamara divorzia. Sposa
il barone ungherese Raoul Kuffner (felice d'un titolo
acquisito nel servir birra per generazioni agli Asburgo), adoratore della paralitica e pizzuta ballerina andalusa
Nana de Herrera (1929). Wall Street prima, l'incendio del Reichstag poi, i soldi finiscono in
Svizzera e via negli
Stati Uniti. Presterà attenzione ai profughi, assistendoli com'era la moda; darà dei colpi di
spatola astratti, ma
ormai è una baronessa, finita a Hollywood, tra Greta Garbo Dolores del Rio e Tyrone Power, e non ha
più
sangue parigino da succhiare. Viale del tramonto. Trasferitasi a Houston, nonna, vedova, fa
e rifà testamento - povero potere ricattatorio. Trasloca in Messico con
Victor Contrera, a Cuernavaca (quella affrescata da Rivera). Muore nel sonno. La figlia con un elicottero
spargerà obbediente le ceneri sopra il vulcano di zona. Era il 1980.
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