Rivista Anarchica Online
L'autogestione in fiera
di Maria Matteo
Un appuntamento per tutti coloro che nella pratica dell'autogestione individuano l'ambito progettuale capace
di aprire uno spazio in cui l'effettualità nel qui ed ora sia congiunta ad un'inesausta tensione della
trasformazione sociale. Un'occasione per gettare un ponte tra chi vive in una casa occupata e chi fa commercio
equo solidale, tra chi costruisce una comunità agricola e chi una scuola libertaria, tra quelli impegnati
nell'autoproduzione di libri e dischi e quanti han dato vita a federazioni municipali di base. Questo è stata
la
seconda Fiera dell'Autogestione tenutasi a Padova dal 7 al 10 settembre.
Dal 7 al 10 settembre Padova, città nota ovunque come meta di viaggi
devozionali al santuario di sant'Antonio, è stata
visitata da ben altra genia di pellegrini. Il vivace e composito popolo dell'autogestione ad un anno di distanza
dalla fiera di Alessandria è tornato ad incontrarsi,
a scambiarsi esperienze e prodotti, a fare e rinnovare conoscenze. Sono stati quattro giorni molto intensi,
quattro giorni sull'autogestione ma soprattutto quattro giorni di autogestione in cui
persone provenienti da tutt'Italia oltre ad esponenti di alcune importanti esperienze europee hanno esposto
progetti,
discusso ipotesi, tentato di intessere più solide ed efficaci reti di relazioni. Al di là della
grande varietà di interessi, percorsi politici ed esistenziali, l'elemento comune, il filo sotterraneo di
collegamento fra tutti è stato la volontà di tracciare un percorso capace di dare dignità
di movimento alle tante, tantissime
esperienze di autogestione che si sforzano di prefigurare un'alternativa concreta alla gerarchia e al capitalismo.
L'universo
autogestionario, sebbene convogli grandi energie, tuttavia molto spesso non riesce ad avere visibilità, non
è capace di
conferire dignità progettuale complessiva al proprio intervento. Un gruppo sparso di case non è
un paese finché non si
costruisce una piazza, un luogo comune dove incontrarsi, discutere, prendere decisioni. La fiera dell'autogestione
è lo
strumento con il quale cominciare a porre le fondamenta di questa piazza. Una piazza dove si scambiano prodotti
e idee
al di fuori di ogni logica mercantile, dove si costruiscono momenti di cooperazione, dove emerge la dimensione
pubblica,
politica del percorso autogestionario. È una dimensione della quale oggi si avverte in maniera prepotente
la necessità,
poiché la scelta dell'autogestione, lungi dall'essere mera occasione di sperimentazione esistenziale,
nonché opzione
eminentemente etica, si configura come l'unica alternativa possibile ad un'organizzazione sociale votata alla
distruzione
di ogni risorsa umana e materiale del pianeta.
Buon Senso? Chi stigmatizza l'autogestione come
utopia irrealizzabile, appellandosi al buon senso, dimostra di averne ben poco. Tranne
che vivere in un mondo il cui prodotto principale sono i rifiuti, in cui la risoluzione dei conflitti è sempre
più affidata alle
guerre, in cui il divario tra nord e sud del mondo appare ogni giorno più incolmabile, in cui la
libertà è privilegio, non sia
indice di buon senso. Il popolo dell'autogestione cerca di coniugare il buon senso e l'utopia, l'agire concreto
con la prospettiva della
trasformazione sociale. Non è un percorso facile. Molti temono che l'autogestione, lungi dall'incrinare
la gerarchia e il
capitalismo, finisca involontariamente per esserne il puntello. Temono che le attività autogestite possano
essere riassorbite
entro i limiti di compatibilità del sistema e finiscano coll'esaurirsi in una marginalità agevolmente
tollerata ed altrettanto
agevolmente repressa. È possibile, non dico di no. Nondimeno mi pare che questi timori evidenzino
l'incapacità di
pensare la trasformazione sociale come processo che nega l'ordine vigente, tracciando concretamente un diverso
itinerario. L'autogestione può essere riassorbita o repressa non più e non meno dell'impegno
sindacale, dell'azione antimilitarista,
del sabotaggio o della lotta non violenta. La valenza rivoluzionaria dell'autogestione dipende dalla sua
capacità di
sviluppare una modalità di intervento che sappia operare un profondo cambiamento di cultura. La parola
cultura è qui
assunta nel senso antropologico, profondamente pervasivo del termine, che investe sì l'ambito dei valori
e dei saperi ma
per ricomprendere anche le modalità relazionali e la materiale quotidianità
dell'esistere. Abbiamo assistito negli ultimi quarant'anni all'estendersi inarrestabile delle metropoli: è
un fenomeno che non interessa
soltanto il nord sviluppato ma ha ormai portata planetaria. Definire le metropoli "grandi città" è
solo un pietoso eufemismo,
poiché i giganteschi conglomerati urbani nei quali risiede metà della popolazione mondiale son
ben altro: un enorme,
mostruoso cancro che corrode l'ambiente umano, naturale, sociale di noi tutti. Le metropoli sono l'emblema di
una civiltà,
la cui unica folle razionalità è quella del profitto e del dominio. Il caos primigenio dal quale la
narrazione mitica ci dice
essere emerso l'ordine del mondo doveva in qualche modo somigliare alle odierne megalopoli: un incubo infantile
che
diviene terrificante, pulsante realtà. Negli anni '80 e '90 le metropoli sono state il centro di grandi
conflitti, conflitti la cui posta in gioco è stata sempre meno
il lavoro e vieppiù l'espressione tangibile della rabbia dei ghetti, delle grandi periferie urbane abitate da
una massa
crescente di esclusi.
Quel disagio Sono state rivolte durissime ma prive
di progettualità politica, avulse da ogni tensione utopica, che si sono esaurite nel
corso di pochi giorni talvolta poche ore. Quest'estate a Riccione è bastata una piccola scintilla, l'arresto
di due piccoli
spacciatori, per innescare scontri violentissimi con la polizia. L'obbiettivo non dichiarato ma reale era la difesa
di una
piccola area non normata dove campeggiare liberamente, presenziando, sia pure marginalmente, ai grandi riti
consumistici
dell'estate vacanziera. A Torino il 10 settembre alcune migliaia di giovani hanno dato vita ad una vera e propria
guerriglia
urbana perché era stato interdetto l'ingresso in una discoteca. È significativo che quella stessa sera
si concludesse con
grande esibizione di pippibaudi vari la grande kermesse organizzata dalla Fiat e patrocinata da comune, provincia
e
regione per promuovere le ultime novità della fabbrica d'auto. Le due manifestazioni di protesta
organizzate dai centri
sociali cittadini non sono riuscite nemmeno a muovere un passo: pochi i partecipanti, prontamente individuati
dalla polizia,
sono stati caricati di peso sui cellulari ed hanno trascorso la serata in questura. Questi episodi sono l'emblema
di un disagio che non sa e non vuole assumere le forme classiche dello scontro politico,
perché è un disagio che non riesce a tradursi in critica del sistema vigente e, quindi, in progetto
di trasformazione. Per disinnescare il meccanismo infernale della metropoli occorre ripensare la città
dei cittadini, reinventare uno spazio
pubblico al di fuori della sfera statale. Uno spazio pubblico che non si configura come astrazione teorica ma si
sostanzia
nella costruzione di ambiti di socialità libera, di esperienza di socialità libera, di esperienze di
autoproduzione, di
cooperazione sociale e di mutuo appoggio, nella pratica difficile ma necessaria ed affascinante
dell'autogestione. La fiera di Padova è stata un'occasione preziosa per approfondire la riflessione su
questi temi, nonché punto di innesco
di iniziative di collegamento e informazione tra le varie esperienze. La discussione su possibilità e
prospettive di un welfare autogestito, già affrontata in marzo in occasione del convegno
tenutosi a Torino su "Crisi del welfare e progetto libertario", è stato sviluppato in modo assai interessante
nella tavola
rotonda "Salute e medicina di base: elementi per la costruzione di una medicina pubblica non-statale", in cui,
anche
attraverso l'esame dei alcune esperienze concrete, si è mostrato come l'autogestione della salute sia non
solo possibile
ma necessaria. L'autogestione di un ambulatorio da parte di cooperative di medici, infermieri e pazienti consente
non solo
un controllo diretto sulla propria salute ma anche il miglioramento della qualità di un servizio non
più delegato allo stato
ma costruito in prima persona.
Il problema delle risorse La tavola rotonda "Per una
comunicazione autogestita" ha altresì evidenziato come, nell'epoca dell'informazione di massa
solo modalità relazionali orizzontali consentano l'emergere di una sfera pubblica di riflessione e confronto
in cui si dia un
agire comunicativo che, salvaguardando i differenti approcci , "riesca ad attraversare il mondo creando un modo
diverso
di farne esperienza". Di grande interesse è stato altresì il dibattito sulle risorse che si è
focalizzato sulla critica di un modello di sviluppo divenuto
oramai insostenibile non solo per l'intollerabile impatto ambientale ma anche perché accresce in modo
incolmabile il
divario tra paesi ricchi e paesi poveri. La tavola rotonda "sfera pubblica e autogestione" ha posto l'accento
sulla necessità di ampliare i luoghi di un agire politico
extraistituzionale, luoghi di confronto in cui una comunità locale, un gruppo di cittadini avochi a
sé la facoltà decisionale,
rifuggendo ogni meccanismo di delega. Federazioni municipali, assemblee di quartiere, osservatori urbani
sono il terreno di cultura di una concezione della politica
in cui fuori e contro ogni logica gerarchica e di dominio emerge la polis, la città dei cittadini. La
presentazione e la
discussione delle più diverse e variegate esperienze concrete di autogestione è stato il momento
più interessante e
partecipato della fiera: si è passati dall'uruguaiana Comunidad do Sur al quartiere della Croix Rousse di
Lione, dalla Mag
6 di Reggio Emilia ai "bolo" svizzeri. L'incontro si è concluso con l'assemblea generale di tutti i
partecipanti in cui è emersa con forza l'esigenza di ampliare
la rete di collegamento tra chi è impegnato sul terreno dell'autogestione. L'isolamento e la
frammentazione sono spesso di segno distintivo di molte attività autogestite che raramente riescono a
mantenere contatti stabili, indispensabili per lo scambio di notizie, idee, prodotti. La fiera si è conclusa
con la decisione
di dar vita ad "Un'agenzia di informazione e collegamento sull'autogestione", che dovrebbe fungere da punto di
riferimento per la circolazione dei saperi, e lo scambio dei materiali. Un piccolo ma importante passo
perché le tante case
sparse del popolo dell'autogestione gettino le fondamenta della loro piazza, del loro paese.
Una rete fuori dal mercato
Durante la fiera dell'Autogestione di Padova (7/10 settembre) si è tenuta una riunione molto informale
su:
scambi, baratti, gratuità, condivisione per una rete di rapporti extramercantili. Questo è il
comunicato che è
stato sottoscritto dai/dalle partecipanti: "Esistono, anche in Italia, realtà locali che stanno sviluppando la
possibilità di scambiarsi beni e servizi in una sfera extramercantile. Fino ad ora è stato utilizzato
principalmente
il baratto, ma si pratica anche la gratuità, l'ospitalità e la condivisione sia attraverso bollettini di
collegamento
che attraverso momenti di incontro come feste e mercatini. Per quanto riguarda Milano e Imperia nasce
spontanea la necessità di praticare forme più allargate di baratto utilizzando gettoni locali o altre
metodologie.
Proprio l'esistenza di tante possibili alternative (alcune delle quali già sperimentate: dollari verdi, reti
LET,
crediti elettronici, gettoni tempo eccÂ… e altre ancora da sperimentare) ha creato la consapevolezza che una
nuova economia alternativa non potrà adottare un unico metodo, ma dovrà sostenersi
integrandone molti e
puntando sulla molteplicità. L'obbiettivo non è tanto, distruggere il denaro, quanto distruggere
la dittatura del
denaro sulle nostre menti, cambiando in primo luogo quegli atteggiamenti che tendono a riportarci ai parametri
che sono tipici del sistema mercantile. Le prime esperienze locali sottolineano che praticare direttamente le
alternative al denaro è molto più proficuo e costruttivo della troppa teoria che si consuma sulla
ricerca
dell'unico metodo perfetto, e che finisce per essere un ostacolo alla partecipazione diretta. RETE DEGLI
SCAMBI E DEI BARATTI (autoproduce un bollettino che riporta notizie e informazioni sul
baratto, proposte di baratto, gratuità, ospitalità ecc. provenienti da tutte quelle zone che non hanno
ancora
riferimenti locali. Fa anche da collegamento tra i vari nodi che già praticano varie forme di scambio) Via
Farini
79, 20159 Milano. RETE DEL LIBERO SCAMBIO DI IMPERIA (autoproduce un bollettino che riporta le
varie proposte di
baratto locali, organizza anche mercati del baratto) Via Nazionale 68 Imperia presso il Centro Studi Libertari
Emma Goldman. PRISCILLA E FRANCO (produzione orticola biologica, tentativi di scambio anche tramite
dono) Negi
Crestiai, Seborga, Imperia. COOPERATIVA ALEKOS (scopo: favorire la realizzazione di un ambiente di
lavoro attento ai lavori della
relazione, della convivenza, del mutualismo, della solidarietà e dell'ecologia) via Plana 49,
Milano. È importante sottolineare che esistono altre realtà locali che praticano il baratto, ma
non essendo stati presenti
alla fiera non hanno potuto sottoscrivere quanto sopra. |
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