Rivista Anarchica Online
Maschio e femmina
di Filippo Trasatti
Dopo un black-out durato anni, nell'era dell'Aids in cui sembrava dominante
l'equazione sesso = morte, le analisi e
gli studi sulla sessualità cominciano a riemergere in superficie, soprattutto a dire il vero nel mondo
anglo-sassone. Tre
sono i filoni di studio principali la cosiddetta "storia della sessualità" continuazione o contestazione di
quella di
foucaultiana memoria, le ricerche da parte di "femminista" (in inglese suona meglio Women's Studies) e le
ricerche di
parte omosessuale (Gay's Studies). Esistono negli Stati Uniti, ma anche in minor numero in Germania e in
Francia,
cattedre e interi dipartimenti che si occupano di tematiche che ruotano intorno al tema della sessualità.
Noi, intanto,
dobbiamo accontentarci di traduzioni o degli echi della querelle sulla differenza sessuale. Non potendo certo
affrontare qui una questione così ampia, e che meriterebbe di essere trattata dalla rivista in modo ampio,
ci limitiamo
a semplificare assai, ponendo una domandina semplice semplice, che però a me sembra riassumere bene
il centro del
problema: al di là della ovvia differenza di organi sessuali, quali differenze ci sono tra maschi e femmine?
Ma già
questo "al di là" pone dei problemi se si pensa che alcune femministe, nell'ambito del filone della
differenza sessuale,
pongono la radice della differenza già a livello biologico, ancor prima dello sviluppo dei genitali. A me
sembra
incredibile, ma è così, e se proprio volete vi faccio un esempio "La differenza c'è ed
è forte nell'ambito della specie,
ed è probabilmente più forte di quella che esiste tra le razze. Se si pensa che un uomo ed una
scimmia differiscono
solo per quattro cromosomi si comprende che anche un cromosoma diverso, in termini di caratteri genetici, vuol
dire
molto. (
) I cervelli degli uomini e delle donne sono diversi, ragionano in maniera diversa e questa
diversità, a quel
che si vede è grande. Uomini e donne sono fisicamente e psicologicamente differenziati" (Maria Anna
Rosei, La
differenza dei sessi in biologia, in Via Dogana, mag/giu '94). Mi sembra un buon
esempio di una tesi estrema tra un uomo e una donna v'è una differenza abissale che è data dalla
loro costituzione interna, si potrebbe dire della loro essenza e la società e la cultura si limitano a modulare
in modo
diverso queste differenze preesistenti. Ci sono poi posizioni più sfumate ed articolate all'interno della
teoria della
differenza sessuale, e naturalmente anche chi, tra le donne, sostiene invece la tesi dell'estrema somiglianza, ma
qui
inevitabilmente stiamo schematizzando. Ritorniamo alla domandina. Quando mi è capitato, tra amici
o a scuola con gli studenti, di porre questa semplice
domanda, a un primo livello ho ritrovato l'intera gamma delle posizioni, da non ci sono differenze date, ma tutto
si
crea attraverso l'educazione, la cultura e la società, alla tesi di una differenza radicale e insuperabile
più o meno
orgogliosamente esibita. Poi sono incominciati gli slittamenti, i distinguo, la difesa delle generalizzazioni, i dubbi
un po'
come se da una chiusura iniziale, un po' presuntuosa e saccente, ci si aprisse a una ricerca, che è una
ricerca
essenziale della nostra vita, e che a me pare una ricerca propriamente interminabile di continua ridefinizione della
propria identità rispetto ai paletti e ai parametri posti dalle persone che ci stanno intorno, prima di tutto,
ma più in
generale della cultura. Una vera ricerca ha anche il compito di andare al di là delle barriere concettuali
precostituite,
di trovare altri modi per esprimere la propria differenza. Maschile/femminile, omosessuale/eterosessuale,
normale/perverso, sono opposizioni binarie che non hanno niente di
naturale, che servono a far ordine nella società e nella nostra mente, un ordine che non è affatto
neutrale e che è già
profondamente segnato da asimmetrie e gerarchie implicite. La sessualità fa da cerniera tra natura e
cultura, tra
corpo e psiche, tra sensi e pensiero; non c'è nulla al suo interno che sia naturalmente scontato, che non
possa essere
usato come punto di partenza per un capovolgimento, perché gli uomini e le donne sono sì esseri
sessuali, ma esseri
sessuali che immaginano e immaginando creano mondi. E qui la psicoanalisi, con tutte le sue potenzialità
e i suoi limiti,
entra in scena. Vediamo ad esempio come la psicanalista americana Nancy Chodorow (Femminile,
maschile,
sessuale, La Tartaruga edizioni, Milano 1995) si impegni a smontare l'immagine tradizionale del
"femminile"
attraverso una lettura di Freud e di altri psicoanalisti che mette in luce la compresenza di immagini contraddittorie
dello sviluppo femminile. Ma questo in fondo è già stato fatto molte volte, soprattutto in ambito
femminista. Meno
comune è la de-costruzione delle categorie e dell'opposizione
eterosessualità/omosessualità, tranne che da parte di
alcuni settori del movimento di liberazione gay a partire dagli anni Settanta. Che cosa c'è di
più scontato, di più normale dell'eterosessualità? E che cosa dovrebbe fare la psicoanalisi
se non
ricalcare questo senso comune? Chodorow mostra come in effetti all'interno della psicoanalisi si ritrovi a fatica
una
ricostruzione articolata della supposta normalità (e soprattutto del suo sviluppo dall'infanzia alla
cosiddetta età
matura) che è ricavata dal senso comune e dal rovesciamento delle cosiddette perversioni, prima tra tutte
l'omosessualità. Ma è corretto parlare di una eterosessualità e di una
omosessualità come se fossero qualcosa di
omogeneo e compatto, l'una contrapposta all'altra? Per Chodorow, e non possiamo che associarci, ciò che
importa
di più è il modo individuale, unico per la propria costituzione e biografia, di porsi all'interno delle
opposizioni di
genere che sono culturalmente elaborate ed imposte. "Il modo in cui la biologia, i valori e i costrutti culturali, le
soluzioni intrapsichiche ai conflitti, l'esperienza familiare e l'identità di genere influiscono
sull'orientamento,
l'organizzazione, le fantasie e le pratiche sessuali varia molto probabilmente da una persona all'altra" (p. 104).
D'altra parte le istituzioni, le pratiche, i prodotti culturali e le relazioni sociali informano, contribuendo a
costruirle, le
maschilità, le femminilità e le forme della sessualità. Questo mi sembra la sintesi di un
modo di concepire i "sessi"
opposto rispetto a quello da cui siamo partiti. Dice in proposito Chodorow: "Come studiosa, abituata per
formazione a riconoscere il fondamento culturale e
sociale dei nostri concetti circa tutte le esperienze e categorie contrassegnate secondo il genere e il sesso,
comprese
le nostre concezioni della biologia, mi ha sempre colpito la facilità con la quale, quando si parla di genere
e sessualità,
gli psicanalisti passano a far riferimento alle funzioni biologiche e all'anatomia "reali" (p. 151, n. 62); come
abbiamo
visto questa osservazione può estendersi al di là della ristretta cerchia degli psicanalisti. È
raro trovare una (o uno)
studiosa che ammetta tranquillamente di non saper dare risposta alla domanda semplice che ho posto all'inizio
e che
invece di fornire risposte semplificatorie inviti a ricercare al di là dei limiti comunemente
accettati. Tutt'altra strada, sempre per introdurre dei pruriginosi interrogativi sulla opposizione
maschile/femminile, è quella
proposta da un'altra studiosa nordamericana, Majore Gerber (Interessi truccati, Cortini, Milano
1994) che affronta
il concetto di "travestitismo" (suona bene in inglese cross-dressing) nella cultura contemporanea.
I travestiti mettono
in crisi le identità di genere, o meglio il codice binario che distingue e separa nettamente il maschile dal
femminile. Il
libro si apre con un aneddoto interessante. Forse molti non sanno che prima della grande guerra i colori attribuiti
ai
neonati erano esattamente l'inverso di oggi all'inizio del XX secolo i maschi portavano il rosa ("un colore
più forte e
deciso"), mentre le femmine portavano l'azzurro (un colore considerato "delicato e tenero"). È solo un
esempio di
come i codici di ripartizione e lettura dei generi cambino nel giro di un paio di generazioni, imponendosi poi come
qualcosa di assolutamente naturale. Gerber sostiene, avendo presente soprattutto la cultura nordamericana, che
oggi
il tema del cross-dressing si è diffuso nell'arte e nel discorso teorico per un bisogno celato di rimettere
in discussione
il pensiero binario, nelle varianti di maschile e femminile, bianco nero, sé e l'altro, o in tutte le varianti
in cui si
presenti. Il Terzo attira, non è altro termine del codice binario, il terzo sesso non è un sesso,
non è l'androgino, è ciò che mette
in discussione l'idea di identità rigida, di autosufficienza. Laddove appare il Terzo, simile all'Angelo
sterminatore, i
due opposti si congelano nella loro opposizione e mostrano le loro reciproche limitazioni. La studiosa indaga poi
i
numerosi esempi di travestitismo nel campo del teatro, del lavoro, nell'esercito. Ciascuno può trovarne
nel cinema da
The Rocky Horror Picture Show al più recente The Mask, come casi
più evidenti. È questo un segno positivo (e per chi?), oppure questa presenza inquieta non
è che uno degli indicatori di una più
generale crisi delle identità rigide? Forse siamo andati un po' troppo avanti, dimenticando che dietro
la porta di casa del vicino o nel film di cassetta,
nelle aziende o all'angolo di una strada di periferia, un'identità maschile odiosa e oppressiva è
tuttora in piedi, che
dietro l'opposizione maschile/femminile si cela una gerarchia di funzioni e di poteri, che la nostra società
è ancora
fortemente misogina (e questo è in stretta relazione con l'omofobia). O forse abbiamo dimenticato di dare
un'occhiata a ciò che sta accadendo in alcuni paesi islamici. In realtà non c'è affatto
contrasto tra quelle tendenze,
anzi proprio laddove un'identità rigida tradizionale viene minacciata, più forte si profilano la
difesa e l'attacco, più
cieca la violenza per difendere un mondo che si sta sgretolando. Per questo e per altri motivi la questione
maschile/femminile (con il problema del controllo della riproduzione e dell'uso sociale del corpo femminile) va
tenuta
al centro dell'attenzione non come argomento tra gli altri, ma come il centro di una rivoluzione culturale che
è già
cominciata senza di noi.
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