Rivista Anarchica Online
Un profondo senso di irrequietezza
di Marzia Rubega
"Forse per la prima volta, sto facendo una cosa che ho sempre desiderato fare, e
non ho mai fatto: andare fino in fondo
a un sentiero. Voglio scoprire dove sbuca: se sulla sommità della collina o sul mare"
Con queste parole
si conclude,
lasciando in realtà al lettore il compito di immaginare una triste disfatta o un'eventuale lieto fine, il
racconto flashback del
giovane protagonista - io narrante del primo romanzo di Giampiero Rigosi (Dove finisce il sentiero,
Edizioni Theoria,
Roma-Napoli, 1955, lire 00.000). L'ultima pagina ci rimanda al clima iniziale, alla lunga rievocazione, il cui
pretesto
consiste nella veglia dell'amico gravemente ferito da un colpo di pistola, in un alberghetto stamberga del sud, dove
i due
ragazzi si sono rifugiati per scampare al feroce inseguimento di una banda di criminali professionisti che li ha
costretti a
percorrere migliaia di chilometri su un auto sconquassata nel disperato tentativo di salvarsi. Il ritmo della
riflessione del
narratore, sul filo della memoria, assume, a tratti, un tono concitato molto vicino all'immediatezza
cinematografica e si
materializza - creando uno spazio reale percepibile - in un tempo psicologico scandito da qualche battuta
affettuosa con
il compagno e dalle numerose sigarette consumate durante la ricostruzione a ritroso di ciò che è
stato il percorso comune.
Ma attenzione, al di là dell'espediente narrativo, che rende peraltro la lettura molto diretta e gradevole
(io-narrante in
prima persona, forme al presente, dialoghi), si tratta comunque di un romanzo di azione, ricco di eventi e colpi
di scena.
Non di un monologo interiore. Questo noir all'italiana, come l'hanno definito, è anche la storia di una
grande amicizia che
vincola in modo indissolubile due personaggi al primo sguardo opposti: uno "regolare", tranquillo, sembra ormai
rassegnato a seguire docile la lezione facilmente prevedibile di un'esistenza di opinabili e consolidati modelli
(come il
diploma di ragioniere svogliatamente conseguito e un lavoro di ordinaria routine); l'altro, Alberto, abbandona la
scuola,
vivendo alla giornata in una dimensione di allegra precarietà, tra una partita di biliardo, una a carte e
grandi bevute, sorride
ironico e enigmaticamente inafferrabile di fronte alle timide perplessità del compagno in conflitto con
una realtà che -
opaca, poco intrigante e senza prospettive di cambiamento - non sa se accettare rifiutare radicalmente. Avventure
rocambolesche, che evocano un sapore di ingenuità donchisciottesca, segnano veloci il trascorrere degli
anni e,
improvvisamente, i due adolescenti, complici delle bravate sui banchi di scuola (si appropriano dell'edificio
scolastico
per una notte, nascondendosi in cantina, per combinarne di tutti i colori!) sono diventati uomini. Alberto, il ribelle,
con
gli occhialini tondi da intellettuale, lui che proprio intellettuale non è,vuole e cerca qualcosa che una
comoda sistemazione
e una sicurezza economica non possono offrirgli. L'insofferenza mal celata verso un quotidiano determinato dalle
leggi
del mercato, del successo e della macchina nuova diventa l'elemento propulsore, il meccanismo che, spingendo
all'azione
Alberto, coinvolge anche l'amico-narratore in un'affannosa ricerca di un'alternativa possibile. Naturalmente il
possibile
si fa impossibile, temerario e romantico al tempo stesso il rifiuto dei compagni prende forma tra le note di un
blues e gli
echi di un film di Tarantino. I protagonisti, superando quel clima un po' fumettistico in cui sono calati, risultano
vicini,
simpatici, "ragazzi come tanti" e proprio quest'idea di "normalità" indica un nodo di difficile soluzione,
un tema di
discussione quanto mai acuto, per chi ha oggi 30 anni e forse non solo per loro. E allora, il romanzo non è
solo la storia
delle loro esperienze, di un viaggio attraverso mezza Europa, dei problemi causati dall'hashish e dagli impacciati
tentativi
degli amici per guadagnarci dei soldi. L'epilogo non c'è: fuga o mancata integrazione. Si può
leggere, tra le righe, un
profondo senso di irrequietezza, un desiderio di libertà agognata, cullata in un'altalena di sogni
adolescenziali e progetti
strampalati, che emergono dallo sfondo anonimo di una città, non importa quale. La domanda rimane
senza risposta: dove
finisce il sentiero? E c'è davvero una possibilità di scelta?
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