Rivista Anarchica Online
Pedro niente altro
di Fernando Mastropasqua
La pubblicazione da parte della Biblioteca Serantini di Pisa del dramma di Mario
Benedetti Pedro e il Capitano (pagg.
80, lire 12.000), nella traduzione di Furio Lippi, rivela al pubblico italiano un'opera di grande potenza espressiva
e di
scabro rigore compositivo dell'autore uruguayano, nato a paso de Los Toros nel 1920. Il testo è
costruito secondo la forma antica del contrasto, dove principi contrapposti - ma annodati dal destino
che
ne incrocia le esistenze - si danno battaglia con ferocia e determinazione. La storia del teatro ne è percorsa
e
animata: dall'arcaico dialogo mesopotamico tra padrone e schiavo ai combattimenti tra Carnevale e Quaresima;
dalle
zuffe tra Pantalone e Zanni della Commedia dell'Arte allo scontro di classe di Puntila e Matti nel dramma
brechtiano.
Il genere del contrasto nasce da una contesa che non ammette tregua né lieto fine: anche
quando l'esito riveste i
panni del comico non è per muovere un riso consolatorio, ma per esplodere in ghigno crudele. Nella
pièce di Benedetti il tema viene svolto sul piano più violento ed elementare della
contrapposizione: Pedro e il
Capitano sono il torturato e il torturatore. La condizione particolare dei contendenti non ammette accomodamento:
il
contrasto è messo a nudo nella sua forma più aspra. Sullo sfondo una realtà del mondo
latino americano, così diffusa
da stemperare la tragedia in folklore, e in primo piano una metafora sull'uomo contemporaneo, la cui crudezza
e
concretezza smentisce ogni edulcorazione mitologica, scongiura l'indifferenza che fa esotico ogni terrore. Sotto
questo profilo il dramma si allinea alla coraggiosa denuncia di testi come The Brig di Kenneth
Brown e di spettacoli
come Sette meditazioni sul sadomasochismo del Living Theatre. Il dramma si divide in quattro
movimenti sostenuti dai concetti di "tortura" e "persuasione". La tortura altro non è che
la forma estrema di persuasione. Parola e dolore sono nell'azione collocati sullo stesso piano: strumenti della
persuasione, diversi solo per qualità, ma non per intensità e ferocia; complementari in alcune fasi
dell'interrogatorio-scontro. Se il torturato si lascia persuadere dalla parola, può evitare in parte o diminuire
la quantità di sofferenza
fisica, ma non sfuggire alle conseguenze di aver ceduto alla persuasione. L'esito è identico. Perché
esso possa essere
scongiurato il torturato deve resistere sia al dolore che alla parola. Nel primo movimento lo scontro è
rappresentato al livello base del problema: alla parola del Capitano-torturatore
Pedro-torturato oppone il silenzio, l'unica arma in grado di sconvolgere la strategia del discorso persuasivo. Il
confronto si rafforza visivamente con Pedro incappucciato, avvolto nel proprio ostinato silenzio, e il verboso
Capitano a capo scoperto. Drammaticamente il dialogo disatteso si avvilisce a monologo imperfetto: il
silenzio di Pedro rifrange ogni parola.
Dal secondo movimento, quando a Pedro viene tolto il cappuccio, parola si contrappone a parola, dolore a dolore.
In un crescendo che investe il terzo e il quarto movimento i ruoli si alternano, si scambiano, i destini si incrociano,
le
parole si confondono. Più il dolore delle torture fiacca il corpo di Pedro più il potere della sua
parola incrina la logica
del Capitano. Più il corpo di Pedro muore, più acquista vita (e verità) anarchicamente la
sua idea. Il corpo distrutto
potenzia la parola del torturato che devasta la mente del torturatore. L'affrancamento di Pedro nasce dalla sua
resistenza alla tortura, sia in quanto dolore che parola. Il suo NO inesorabile si afferma come unica
possibilità di
riscatto di fronte alla violenza della persuasione e vibra nella rivendicazione di quel nome che nega il nome:
PEDRO
NIENTE ALTRO. La parola di Pedro è più efficace di quella del Capitano perché
è la parola della verità contro la
parola della persuasione, contro il "mercato" della parola, contro la parola come sopraffazione. Il segreto della
vittima è nella sua "forza di negazione" come poeticamente suggerisce la bella illustrazione di copertina
di Francesco
Moretti: una margherita fiorente in catene troppo larghe per imprigionare lo stelo. Attualità
problematica e originalità di scrittura drammaturgica fanno di questo testo un piccolo capolavoro che
meriterebbe una appassionata rappresentazione. La Biblioteca Franco Serantini ha il grande merito di contribuire
con
sensibilità e tempismo a far conoscere, con il Benedetti drammaturgo, un teatro che è di nuovo
luogo di riflessione,
coscienza collettiva e indagine profonda della storia e delle vicende umane. Il che è proprio degli editori
liberi.
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