Rivista Anarchica Online
Pietro Gori e noi
intervista a Maurizio Antonioli
Maurizio Antonioli insegna Storia contemporanea nella Facoltà di
Scienze politiche all'Università degli Studi di
Milano. È autore di numerosi libri e studi sul movimento operaio, sul sindacalismo rivoluzionario e
l'anarchismo.
In questa intervista ci parla del suo ultimo libro Pietro Gori, il cavaliere errante dell'anarchia (Studi e tesi)
(BFS
edizioni, Pisa, 1995, pagg. 190, lire 20.000).
Perché e attraverso quali vie Pietro Gori è diventato "il Gori", cioè -
come si legge nel titolo del tuo libro -
"il cavaliere errante dell'anarchia"? che ruolo ha svolto questo mito, dove ha trovato maggiore radicamento,
perché poi si è progressivamente inaridito?
Alla domanda che mi poni non
mi è facile rispondere, perché la formazione del mito di Gori durante la sua vita potrebbe
essere (e non è detto che non sia in un prossimo futuro) oggetto di un altro lavoro o di un lavoro
complessivo più ampio.
Mi spiego meglio. Nel mio saggio ho soprattutto analizzato lo sviluppo del mito goriano dal 1911, cioè
dalla morte del
nostro, fino al secondo dopoguerra, il suo dispiegarsi insomma nel classico modo celebrativo successivo alla
scomparsa
del soggetto. Ma il mito di Gori si costruisce prima, durante la vita. Come, attraverso quali tappe, quali momenti,
è ancora
da studiare. Le testimonianze relative alla sua morte, ma anche alla fase della sua malattia, ci danno la misura di
un affetto
popolare straordinario. E non si trattava solo dell'ammirazione per l'eroe o per il leader politico dotato di grande
carisma. Miti di questo tipo ce ne sono stati tanti, di maggiore o minore intensità e durata, spesso
costruiti o, per usare un
linguaggio specialistico, "tecnicizzati". Ma Gori non è né Garibaldi, né Stalin o Mussolini.
Il mito di Gori si forma fin
dalla sua giovinezza ed è intimamente legato alla natura stessa della sua propaganda. Gori è
l'apostolo, il profeta, la
sua propaganda è predicazione non tanto e non solo di un'ideologia, quanto e soprattutto di un "avvenire
di Pace,
Giustizia, di Luce". Gori e il "sol dell'avvenire" si fondono in una sorta di unità simbolica. Gori
è un militante politico, la cui visione del
processo rivoluzionario è una visione di lungo periodo, una complessa trama di trasformazioni, lente e
profonde. Ma
agli occhi di certi popolari abbruttiti, socialmente emarginati, colpiti nella loro dignità umana, rappresenta
un sogno di
giustizia, di riscatto, di vita nuova. Quello che importa non sono tanto gli aspetti concreti del suo pensiero quanto
il
valore simbolico della sua figura, capace di esprimere ideali di redenzione sociale che vanno ben al di là
delle forme
quotidiane della lotta di classe. Gori è in un certo modo il Messia dell'Idea e, l'Idea, è la fede nel
"liberato mondo". Il
mito goriano ha svolto una funzione di coesione, di stimolo, di costruzione di un'identità. Attorno a lui
si sono
costruite e tenute insieme comunità di intenti, nutrite dalle speranze e dai sogni che tale mito suscitava.
Sul piano
geografico ha avuto una diffusione nazionale e per certi aspetti internazionale, ma ha conservato la sua vivezza
soprattutto nella Toscana tirrenica, laddove Gori era di casa e dove fioriva la sua leggenda. Certo, il mito si
è
inaridito. E questo è successo sia per la scomparsa fisica di quelle generazioni che ne erano partecipi, sia
per la
distruzione, dovuta a cambiamenti oggettivi e soggettivi, di quella comunità di intenti che costituiva l'asse
portante di
un certo mondo politico e culturale, ormai tramontato. Ma sicuramente anche per una rimozione della memoria.
Una
rimozione dovuta alla perenne ansia di attualizzazione del passato, ad una visione ciecamente utilitaristica del
patrimonio teorico e sentimentale dell'anarchismo, all'esigenza scarsamente produttiva di esistere e contare
"politicamente" senza tener conto che si esiste e si conta solo se si partecipa di un immaginari collettivo al cui
interno
le proprie istanze siano vitali anche se non necessariamente riconoscibili.
Nella tua premessa, evidenzi le ragioni del tuo complesso legame con Gori. Al contempo, ne
sottolinei la
sempre maggiore inattualità. Allora perché questo libro - peraltro atipico nel suo impianto -
incentrato su di
un personaggio ormai sconosciuto ai
più?
Cercherò di essere chiaro. La sempre
maggiore inattualità di Gori evidentemente non mi fa piacere. Credo che sia
ravvisabile nel mio discorso una sottile vena politica. Perché? Perché, riprendendo il discorso di
prima, sono decisamente
contrario alla rimozione della memoria. D'accordo, non si può ricordare ciò che interessa
più, ma sappiamo bene tutti
che la memoria si mantiene solo se ne ha la possibilità. E quello lo sapevano bene quelli che erigevano
monumenti e lapidi,
che dedicavano vie, ecc. Sul culto (dei santi, degli eroi, dei martiri religiosi ma anche politici) si sono costruite
le fortune
di grandi religioni e di grandi correnti di pensiero. Voglio dire che per molti aspetti la memoria di Gori è
stata abbandonata
e lo si è fatto perché si è pensato che Gori non servisse più, perché Gori
sembrava fuori moda, "politicamente" inutile
o almeno inutilizzabile dai militanti. Nell'ondata postsessantottesca si andava a ripescare l'attualità di
tutto. Malatesta era
attuale, Kropotkin, Borghi e Berneri pure. Poi è diventato attuale Merlino in chiave di revisione
perché aveva regione
contro Marx e magari anche contro Bakunin. Ma Gori non poteva essere utilizzato in questo modo. E il ricordo
sembrava
cosa da vecchi, da anziani militanti un po' rimbecilliti. Si è fatto insomma un uso strumentale delle figure
del passato a
misura della loro utilità contingente. Malatesta era o no favorevole all'Usi? Il quesito si poneva tra
cospiratoria favore
della nuova Usi come coloro che la avversavano. Aveva ragione Merlino sulle opportunità del voto
già alla fine del secolo
scorso, sostenevano gli elezionisti. Ma Malatesta non era contrario anche alle candidature protesta (ricordate
il caso Valpreda?). Se Borghi non aveva
più voluto ricostruire l'Usi nel dopoguerra era il caso di seguire la stessa linea? Dico questo senza
naturalmente
prendermela con gli incolpevoli Malatesta, Borghi, Merlino ecc. Ma la ricerca spasmodica di un brano dell'uno
o
dell'altro che giustificasse una scelta propria o di movimento era francamente ridicola. Se studiamo Malatesta,
Borghi
o Merlino non è perché sono piegabili alle esigenze dell'oggi. Questo non significa che ciascuno
di noi non possa
sentirsi più vicino a Malatesta piuttosto che a Borghi o a Merlino. Semplicemente bisogna partire dal
presupposto
che il passato non può essere soltanto usato per giustificare scelte politiche del presente. Nella vecchia
e popolare
trasmissione della memoria il personaggio non veniva ricordato tanto per quello che aveva scritto, ma per i suoi
comportamenti, per la sua testimonianza, per i valori che sembrava incarnare. A differenza di altri, e per motivi
citati,
per Gori negli ultimi anni la rimozione mi sembra sempre più forte. Il che determina la maggiore
inattualità. Ed è per
questo che ho pensato a questo lavoro. Per andare contro ad una tale tendenza, ma partendo da un punto di vista
che non è quello interno, di colui che si riconosce nell'anarchismo politico attuale, ma come dico
nell'introduzione di
colui per il quale le sirene non canteranno, anche se ricorda con piacere il loro canto.
Infine, una tua valutazione complessiva (non solo da "storico", ma da persona che da un quarto
di secolo
incrocia gli anarchici e criticamente e con simpatia li conosce e li frequenta): in un anarchismo proiettato
verso il Duemila, che cosa si può dire ancora di
Gori?
In fondo questa domanda
è collegata a quella precedente. Ti confesso che Gori mi dice molto di più di tutti gli altri. Il
motivo è semplice. Poiché non sono né un militante anarchico n uno storico del pensiero
politico, ma uno storico dei
movimenti ed un appassionato dei processi di costruzione delle immagini, non mi interessa tanto analizzare che
cosa
pensava Gori e se le sue idee avevano un'operatività politica allora e magari in parte anche oggi. Voglio
fare un esempio,
con riferimento ad un bel lavoro dell'amico Nico Berti, Un'idea esagerata di libertà (
Elèuthera, Milano, 1994, L.
23.000). Nico nel suo capitolo su Malatesta conclude la breve nota introduttiva con queste parole: "i suoi scritti,
costituiti
da molti opuscoli e da diverse centinaia di articoli sparsi nei periodici anarchici di mezzo mondo, rappresentano
un insieme
sostanzialmente organico e delineano un pensiero di straordinaria attualità, specialmente per ciò
che attiene alla teoria
dell'azione anarchica". Non ho obiezioni, ma questa è una valutazione che sta tra il militante e lo storico
del pensiero
anarchico. Amo molto Malatesta, è bene dirlo, ma non tanto per l'aspetto che viene sottolineato da Nico,
quanto per
la sua grande capacità di mobilitazione delle masse e per l'immagine di coerenza che la sua vita riesce
a trasmettere.
Ovviamente non guardo a questi aspetti con l'occhio romantico di qualche vecchio e sempre rispettabilissimo
anarchico,
ma con l'occhio di chi considera fondamentale nella propagazione e nel radicamento delle idee, quelle idee per
cui molti
sono vissuti e sono morti, la costruzione di figure mitiche e simboliche a cui affidare il compito di accumulatori
della fede
politica. La totale laicizzazione della politica, la caduta della tensione etica, hanno portato alla distruzione di tutto
quanto
veniva considerato come elemento rituale. Rimangono a volte i cortei, che pure sono elementi rituali e che sono
una
pallida sopravvivenza della necessità del rito politico collettivo. Chi ricorda il 25 aprile del 1994 a
Milano, sotto una
pioggia battente, con l'interminabile corteo da piazzale Loreto a piazza Duomo non può non vedervi, pur
nelle
differenziazioni interne, l'espressione di uno dei bisogni fondamentali della politica, la necessità di
celebrare un rito
collettivo di iniziazione, di fortificazione dei propositi, di giuramento, ecc. Una sorta di battesimo, di cresima,
di ecc. ecc.
Insomma, ciascuno ha bisogno della propria Pontida. Ma a parte questi episodi, che ci dicono molto ma sono
sporadici,
il rapporto degli elementi di una comunità politica con la contingenza, con l'urgere dell'oggi e del qui, non
può totalmente
essere affidato all'analisi politica nel senso proprio del termine. Nessuna vera comunità esiste soltanto
perché si è
d'accordo su di un teorema politica, ma perché si partecipa di uno stesso sistema simbolico. E all'interno
di questo
sistema non possono non esistere figure mitiche che non sono necessariamente persone, non sono solo i santi e
i martiri,
ma sono anche idee/valori come la libertà, la giustizia, ecc. ma attenzione a disprezzare i santi e i martiri.
Attenzione alla
smania iconoclasta, anche perché come è capitato nel movimento anarchico prefascista
l'iconoclastia poteva diventare
a sua volta un elemento mitico. Naturalmente ogni comunità politica o religiosa non può fondarsi
a lungo sulla ripetizione
di rituali scaduti o su miti tecnicizzati, imposti e sostenuti con la costrizione o la falsificazione. Ad un certo punto,
crolla.
Sono crollati i fascismi e il comunismo stalinista o maoista, anche se esistono ancora i fascisti e i comunisti per
i quali quei
miti sono ancora vitali. Se però non si capisce che le idee o meglio gli ideali (mi piace di più e
significa altro) sopravvivono
anche se si riesce a conciliare il disincanto politico con la "rimembranza", con il rapporto attivo e non subalterno
con i
propri miti e i propri simboli, allora si è votati alla sclerotizzazione ed alla scomparsa. L'interruzione
della catena con il passato, con la tradizione non ha mai portato frutti. Tant'è vero che chi la tradizione
non ce l'ha, se la inventa. Chi ce l'ha non deve perderla, anche se è sempre opportuno mettere in guardia
e spiegarsi
bene. Poche righe fa ho parlato di rapporto non subalterno. Questo è il punto centrale, altrimenti si ritorna
alla
passività, alla mancanza di critica, in una parola si perde ogni dimensione libera e libertaria. I miti e i
simboli di una
comunità non devono essere dei Moloch dispotici e divoratori di coscienze, non devono essere
divinità assolute, ma
invece dei dispositivi di mobilitazione intellettuale ed emotiva. E questo può avvenire solo se si mantiene
correttamente critico ed egualmente attivo il rapporto con il passato. Tu mi chiedi che cosa può dire
ancora Gori ad
un anarchismo proiettato verso il duemila. Al termine di questa conversazione, credo sia evidente che possa dire
molto a patto di non ricercare l'attualità del pensiero ma la validità del simbolo. Probabilmente
le mie parole non
piaceranno a molti. Ma come tu dici io ho un quarto di secolo di riflessione amica ma non di parte sulle
spalle. Per me ha ancora un
senso portare un fiore sulla tomba di Gori, dare fiori al ribelle caduto, al poeta veggente che muor.
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