Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 222
novembre 1995


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

Titoli monchi

Chi si occupa di linguaggio e di pensiero sa che l'uomo procede per correlazioni, dalla più piccola (tipo "corri da me", "arriva a Roma", "parte da Milano") a quelle più grandi che, dalla frase più semplice, possono diventare racconti o romanzi interi. Alla logica del discorso, in lingue come la nostra, servono non pochi elementi che fungono da correlatori - parolette come "di", "a", "da", "in", etc. - deputate a mettere in rapporti vari i pezzi correlati. La maggior parte delle nostre comunicazioni - e il fatto di esser comprese o meno - dipende dalla sapiente di distribuzione di questi elementi. Che, tuttavia, a volte possono venire a mancare: il "capo della stazione" può diventare il "capostazione", e così via risparmiando. In altre parole: certe comunicazioni hanno successo nonostante qualcosa sia rimasto implicito. A patto che gli interlocutori condividano un sapere comune.
Il titolo originale dell'ultimo film di Gus Van Sant è To Die For che, nei miei penosi tentativi di traduzione, continua a presentar misi più o meno come Morire per. Continua, cioè, a mancarmi qualcosa. Anche al distributore della versione italiana dev'essere capitato qualcosa del genere. Tanto è vero che il film - fatto linguisticamente più unico che raro - è stato proposto con il titolo Da Morire.
Si può ridere da morire, ma si può anche correre da morire, o ci si può vergognare da morire e chissà quant'altre sono le opzioni a nostra disposizione. Nulla, allora, sembrerebbe garantire quel sapere come sufficiente a far sì che lo spettatore supplisca da sé a quanto rimane implicito.
In realtà le cose stanno diversamente. Il film è tutto dedicato a Nicole Kidman (quella di Ore 10: calma piatta di Noyce) che fa la parte della bellissima americana e sciagurata, che passa anche sul cadavere del marito pur di far carriera in tv, perché, traducendo Cartesio e Mike Bongiorno, "se non appari in tv, non esisti". Orbene, è inutile dire che costei, per fare la parte della bellissima, americana e sciagurata, ha, come si ama dire, il fisico del ruolo: bionda, occhio chiaro, visino d'angelo con labbra socchiuse, lunga lunga con gambe lunghe lunghe e sempre più fuori che dentro. Il manifesto pubblicitario del film le si affida completamente: c'è il suo mezzobusto mozzafiato e sotto Da Morire. Ovvio che, nelle intenzioni di chi vende la merce, il cliente dovrebbe completare la correlazione monca in un modo solo: bella da morire.
Questa richiesta di intervento per farsi almeno parzialmente il titolo da sé fa riflettere. Da un lato ci si rende conto che lo spettatore tabula rasa è ormai dato, sociologicamente, per inesistente.
Chi va al cinema e chi va a vedere quel film e non un altro è stato coltivato a lungo, ben da prima dal momento in cui si sceglie il film da vedere. Anche volendo non si riesce più a vedere un film di cui si ignori tutto: televisioni e giornali ti preparano alla trama ed alle sue implicazioni morali e civili - preselezionate e dettate con lungimiranza politica -, agli attori rovistati dentro e fuori dei loro personaggi, ai registi ed alle loro legittimate ideologie. Si è oberati da "prossimamente" (oggi "trailers") che durano una vita e che del film ti dicono già tutto il necessario, spezzoni anticipati, foto di scena, interviste o polemiche astutamente artificiose. Al cinema ci si arriva già imbottiti. Tanto che ci si può permette di vendere la propria merce con un etichetta incompleta. Come dire che quel vasto processo che attiene alla "costruzione del pubblico" ha ormai raggiunto un preoccupante livello di raffinatezza. Dall'altro ci si rende anche conto che non si compra più semplicemente un film. Si compra un pacchetto di offerte fra cui c'è anche un film. Nel caso in questione, a questo film di Gus Van Sant, si aggrega perlomeno un'attrice, una tipologia di bellezza da omologare, un manifesto ed un'associazione mentale della forte connotazione valoristica. Che poi il film voglia costruire l'ennesimo "intelligente atto d'accusa" contro i mass media diventa un fatterello trascurabile.

P. S.: qualche critico che si crede in dovere di essere informato fa notare che Gus Van Sant è un omosessuale e che, dunque, si spiega l'insistenza sulla protagonista, mostrata in tutta la sua bellezza ed in tutta la sua profonda e ben radicata scemenza. Sarebbe come dire che il fatto che Don Abbondio non abbia attentato alla virtù di Renzo, dipende dal fatto che il Manzoni era eterosessuale. Chi sa perché al primo tipo di argomentazione si fa spesso ricorso, mentre al secondo mai.