Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 222
novembre 1995


Rivista Anarchica Online

La "questione amazzonica"
di Giovanni Alioti

Nessuno ne parla più, o quasi. Ma è una questione drammaticamente aperta. E anche noi abbiamo le nostre responsabilità

Da quando si sono spenti i riflettori del vertice mondiale di Rio sull'ambiente, la questione amazzonica sembra essere scomparsa dall'agenda politica, nonostante continui a rivestire la stessa importanza per l'equilibrio ecologico del pianeta.
L'Amazzonia (1) è la più grande riserva di biodiversità, da sola rappresenta un terzo delle foreste tropicali del mondo e possiede il 20 per cento delle acque dolci che si gettano negli oceani.
È la più grande zona naturale a disposizione dell'uomo. Fino a venti anni fa dei 5 milioni di Kmq che costituivano l'Amazzonia "legale" brasiliana (2), uno spazio coperto per 2/3 da foresta densa e 1/3 da savana e cerrado, solo una minima parte (lo 0,5 per cento) era stata trasformata da insediamenti umani. Oggi nell'Amazzonia brasiliana abitano 14 milioni di persone (di cui solo 182.000 sono indios tribali).
Le due città più importanti (Belem e Manaus) superano il milione di abitanti ciascuna, la crescita demografica amazzonica è più del doppio della media nazionale. In certe zone la popolazione si decuplica ogni 5 anni, per effetto della migrazione di contadini poveri e avventurieri provenienti in particolare dal nordest brasiliano, con la speranza (o il miraggio) di possedere un pezzo di terra o trovare l'oro nei garimpo (miniere a cielo aperto, spesso in terra indigena).
Per i più questa speranza si rivela una amara delusione, ma le conseguenze di questo fenomeno migratorio, mosso dal bisogno e spinto da interessi politici ed economici (dalla penetrazione nella foresta dell'industria del legname alle attività minerarie, dall'espansione dei latifondi destinati a pascolo alla realizzazione di enormi centrali idroelettriche), sono devastanti: il 10-12 per cento della foresta è stata distrutta e molte terre degli indios sono invase da garimpeiros, fazendeiros e madereiros.
Il record assoluto si è verificato nel 1987, quando 80 mila Kmq di foresta nativa e 120 mila di Kmq di foresta secondaria sono stati bruciati. Dal 1978 al 1987 sono stati distrutti in media 20,3 mila Kmq all'anno.
Dal 1987 al 1991, il ritmo di deforestazione è diminuito a 11 mila Kmq per anno, che equivalgono a 3 mila ettari al giorno ed a 2 ettari al minuto.
Il rallentamento della deforestazione si spiega, soprattutto, per la grave recessione economica che ha conosciuto il Brasile in questo periodo.
Pertanto, in assenza delle misure necessarie per salvaguardare la foresta amazzonica, la ripresa dello sviluppo economico (verificatasi a partire dal 1993 in Brasile e dal 1994 nel resto del mondo) si traduce inevitabilmente in un ritmo più veloce di deforestazione.
Siamo pertanto chiamati direttamente in causa.
Non possiamo solo indignarci, mentre accettiamo e beneficiamo dei vantaggi del progresso "a qualsiasi costo".
Da studi realizzati dall'Inpa (Istituto nazionale di ricerche dell'Amazzonia) di Manaus, la deforestazione è soprattutto praticata nelle regioni a più alta presenza di grandi proprietari terrieri (ad esempio il Mato Grosso contribuisce al 26 per cento della deforestazione totale contro il 10 per cento della Rondonia).
Uno di questi studi rileva, inoltre, che nel 1990 e 1991 i piccoli agricoltori (naturalmente più numerosi) sono stati responsabili del 30 per cento della deforestazione globale, mentre i grandi allevatori (i fazendeiros) per il 70 per cento.
Lo studio non prende in considerazione le altre cause che concorrono all'abbattimento di ampi tratti di foresta, come: l'industria del legname (3), le attività minerarie, la produzione di lignite, la realizzazione di nuove strade, le inondazioni provocate dalla costruzione di dighe per centrali elettriche, ma ha il pregio di evidenziare le responsabilità degli interessi latifondiari (spesso in ombra nelle denunce internazionali) nella distruzione della foresta amazzonica.

Terreno inaridito
Alla luce di questa constatazione appare ancora più pretestuosa ed ipocrita la tesi sostenuta contro la demarcazione delle terre indigene ("há muita terra para poucos índios") in un paese dove c'è sempre più terra per pochi latifondisti (il 59 per cento della terra in Brasile è, infatti, nelle mani di solo l'1 per cento del totale dei proprietari).
Sempre da studi effettuati si calcola che le zone di foresta amazzonica che vengono bruciate, sono all'origine dell'1,4 per cento del volume totale di ossido di carbonio presente nell'atmosfera, contribuendo all'"effetto serra" del pianeta. Inoltre la riduzione dell'area coperta dalla foresta pluviale provoca un allungamento della stagione delle secche che nelle regioni circostanti, causando gravi disequilibri sulla vegetazione e il microclima.
Per scoraggiare, quindi, una delle cause principali della deforestazione nell'Amazzonia "legale", il Governo Federale brasiliano dovrebbe perlomeno introdurre una tassazione applicata alla vendita dei terreni, eliminando i profitti della speculazione fondiaria (attualmente si possono acquistare, per pochi dollari, vaste estensioni di foresta, con la prospettiva di rivenderle a prezzi di mercato, nel momento in cui sono disboscate).
La superficie già disboscata corrisponde a 3/4 della Francia, per cui teoricamente l'Amazzonia potrebbe già essere una grande regione di produzione ed esportazione agricola. In realtà l'Amazzonia dipende ancora dalle importazioni per il suo fabbisogno alimentare, in quanto i nuovi coloni non conoscono le caratteristiche della terra che devono coltivare. Mentre gli indios e i primi coloni europei, avendo solo le vie fluviali come accesso alla foresta, si insediavano lungo i fiumi (le terre più fertili per effetto delle cicliche inondazioni), i nuovi coloni penetrano nella foresta attraverso i nuovi tracciati stradali lontani dai fiumi, facendosi largo bruciando ampi tratti di foresta e, in alcuni casi, procedendo prima dell'abbattimento meccanico degli alberi.
In ambedue i casi distruggono tutto l'azoto e l'humus contenuto nella massa vegetale. Il risultato è un terreno inaridito per essere coltivato con profitto e improduttivo per lo stesso allevamento dei bovini (ci vogliono da 5 a 10 ettari per nutrire male una mucca). Inoltre la terra, privata d'una vegetazione esuberante, subisce una continua erosione per effetto delle piogge intense.
Per questi motivi gli indicatori di produzione agricola e zootecnica in Amazzonia sono mediocri. A distanza di 20 anni, dalle politiche governative di ripopolamento della regione amazzonica, sono molto rari i progetti di sviluppo con risultati positivi.

Irresponsabile politica
Ma se le ragioni interne dell'Amazzonia non si distinguono per la loro produzione agricola, sono invece ricchissime di minerali. A 500 Km a sudore di Belem, a Calajas, esiste uno dei più grandi giacimenti minerari del mondo si estende su una superficie di 15 mila Kmq e fornisce per l'esportazione 35 milioni di tonnellate/anno di minerale di ferro (entro 10 anni ne fornirà 50 milioni). Un quarto di questa produzione è acquistata dal Giappone. Calajas è collegata al porto di São Luis (capitale del Maranhão) attraverso una delle poche ferrovie esistenti in Brasile e non molto distante è stata costruita, a Tucurui, la seconda centrale idroelettrica del paese (4 mila megawatt di potenza). La sua costruzione ha provocato l'inondazione di 2,5 mila Kmq di terre indigene abitate dai popoli Gavião e Parakanã.
L'investimento richiesto è stato di 5 miliardi di dollari, senza che sia risultato di grande beneficio per il Brasile. La centrale, infatti, fornisce elettricità a tariffe inferiori ai costi di produzione a 10 fabbriche di alluminio situate ad un centinaio di kilometri di distanza; tutte 10 controllate da transnazionali che lavorano quasi esclusivamente per l'esportazione. Ciò permette, ad esempio, al Giappone di comprare l'alluminio prodotto in Brasile ad un prezzo inferiore, nonostante i maggiori costi di trasporto, di quello dei fornitori asiatici. Non solo, ma lo rivende a caro prezzo alla stessa impresa pubblica brasiliana che gli fornisce l'energia elettrica a basso costo. Non è purtroppo l'unico caso di politica "predatoria" che si verifica in Amazzonia, consumata dalle transnazionali delle élite brasiliane del potere.
Lo sfruttamento, ad esempio, delle risorse del sottosuolo attraverso concessioni governative a società minerarie, non ha frenato le attività illegali e l'invasione sistematica delle terre abitate dagli indios.
Il mercurio e altri solventi chimici usati nei processi di estrazione mineraria avvelenano le acque dei fiumi, causando grandi morie di pesci. Questo priva le comunità indigene di una delle principali fonti di alimentazione e spezza il ciclo biologico. Inoltre, l'inquinamento dell'acqua dei fiumi consumata dagli indios a fini potabili, causa dissenterie spesso letali.
Ricerche sanitarie recenti hanno dimostrato la relazione diretta tra diffusione dei garimpos e aumento delle epidemie e della mortalità presso gli indios Yanomami in Roraima.
I 550 mila garimpeiros (cercatori d'oro), sparsi nell'Amazzonia brasiliana, scaricano annualmente nell'ecosistema quasi 100 tonnellate di mercurio (1,4 Kg di mercurio per ogni Kg di oro).
E l'83 per cento dell'oro trovato vola per gli Stati Uniti esentasse, attraverso la consociata amazzonica della "Gold Amazon" multinazionale americana.
Il saccheggio delle risorse naturali e delle ricchezze del sottosuolo dimostrano, in primo luogo, il profondo disprezzo per il destino delle popolazioni tradizionali dipendenti dalla vita della foresta e dei suoi fiumi: 150 mila indios e 2,5 milioni di seringuerios, castanheiros e caboclos (in prevalenza pescatori).
Preservare la qualità delle acque è, per i popoli della foresta, una (forse la principale) condizione di vita.
Per molti anni l'Amazzonia è stata presentata al mondo come una regione uniforme, senza diversità fisica e biologia: uno spazio senza gente e senza storia, oggetto di trasformazioni pianificate a distanza.
La costruzione di strade nel cuore della foresta, senza un a previsione dell'impatto fisico, ecologico e sociale ha solo favorito la devastazione dell'ambiente, senza peraltro garantire uno sviluppo equilibrato e sostenibile.
Se si vuole conservare la foresta occorre, oltre a demarcare e rispettare le terre indigene, riformulare radicalmente questa irresponsabile politica di apertura di strade, non autorizzando nuove costruzioni, mantenendo sotto rigido controllo tutte le iniziative imprenditoriali basate sulla deforestazione (industrie del legname, attività minerarie e allevamenti estensivi) e facendo in modo che i giganteschi latifondi esistenti nella regione non possano disboscare oltre lo 0,5 per cento della loro area totale. In campo agricolo bisogna favorire tecniche corrette di coltivazione e recupero del suolo, proibendo tassativamente l'uso dei pesticidi e limitando il disboscamento in misura proporzionale alla superficie coltivabile.
Inoltre è opportuno incentivare l'implementazione di colture che crescono all'ombra della mata (il cacao e piante da frutta come il cajú, l'abacati, il mango, la papaia), oltre a palmacee commestibili (açaí, pupunha) o oleose(dendê). Insieme al consolidamento delle riserve estrattive (a partire dall'esperienza dei seringueiros dell'Acre), queste attività possono garantire uno sviluppo auto-sostenibile che conservi la biodiversità regionale.
Se vogliamo, quindi, rovesciare l'impostazione e gli interessi alla base dell'attuale modello di sviluppo imposto in Amazzonia, orientato allo sfruttamento di risorse naturali per l'esportazione (nel passato furono le droghe per impieghi farmaceutici e il caucciù, oggi i minerali preziosi e i legni pregiati) (4), qualsiasi progetto deve rispondere a tre impegni:
1- rispettare la tradizione di diversità, garantendone la sua piena realizzazione nella natura (biodiversità), nella cultura (sociodiversità) e nella relazione di complementarietà tra i due livelli (eco diversità);
2- ridurre le diseguaglianze sociali;
3- riscattare, nella tradizione di diversità culturale dei popoli nativi, i valori delle società indigene egualitarie, basate sul possesso collettivo del territorio, sull'accesso e sulla distribuzione egualitaria delle risorse, sulla reciprocità.

(1) La foresta amazzonica copre il nord del continente sudamericano estendendosi per 6 milioni di Kmq dalla Bolivia al Venezuela, dal Perù alla Guaina, dal Suriname alla Colombia. La maggior parte di questa foresta, il 65 per cento, si trova in Brasile.

(2) I brasiliani chiamano Amazzonia "legale" una regione che va oltre la foresta pluviale e che ingloba, insieme agli Stati amazzonici (Parà, Amapa, Amazonas; Roraima, Acre e Rondonia), altri stati con una vegetazione meno densa, inclusa la savana (Tocantins, Mato Grosso, l'ovest del Maranhão).
L'Amazzonia "legale" si estende, quindi, sul 59 per cento della superficie del Brasile, con solo il 9 per cento della popolazione.

(3) Si calcola che per arrivare a tagliare un albero di mogano, sia necessario abbattere in media 28 alberi di altre specie native, distruggendo 1.450 mq di foresta.

(4) Ad esempio lo stesso mogano, che nello Stato del Parà in Amazzonia costa 60 dollari al metro cubo, in Europa o Giappone raggiunge il valore di 545 dollari a metro cubo.