Rivista Anarchica Online
Occupare perché
di Filippo Franceschi
Un centro sociale in una "tranquilla" città ordinata? Storia di una occupazione durata pochi giorni, di un
progetto, di un sogno
Piacenza 21 maggio 1995 Belfagor
centro sociale autogestito
Così grida lo striscione sul frontone della fabbrica occupata. Colori, scritte sui muri bianchi,
manifesti, una
bandiera rossa sventolante sulla punta della ciminiera di mattoni. Poema Pedagogico Makarenko (bandiera
rossa sulla torre). Per un momento ho rivissuto: Padova, Portello, 1977. Una vittoria, una conquista. Poi ho
visto la differenza. Quelli del '77 erano guerrieri, rabbiosi contro i padroni, accaniti nella "pratica
dell'obbiettivo"; volevano conquistare il futuro, parlavano ad alta voce, arroganti sarcastici passionali. Quelli
che vedo oggi: pacifici tatuati inanellati, pittori di murales, treccine chiome rossotramonto, vestiti stracciatelli
policromi, aria di chi se la sta godendo in pace con gli amici, sotto la carezza del sole maggiolino, facendo
niente, fuori dalla gara e dal casino, lontano da padri generali segretari cavalieri, senz'altro pensiero che di
godersi bene questo bel momento regalato dalla vita. Fuggitivi e disertori. Pareva un film di Salvatores. Da
crociati a buddisti? Lo spirito orientale (essere) ha sostituito lo spirito occidentale (avere)? Hanno occupato
ieri mattina (sabato), oggi alle due ho avuto l'impressione di un centro funzionante da
settimane. Quando scelgono di fare qualcosa, perché così gli piace, son capaci di faticare come
filippini. Sul
prato davanti, chiuso fra la villetta a sinistra e il capannone a destra, diversi gruppi sparsi su sedie e panchine
attorno ai tavoli, altri sdraiati sull'erba, il frastuono del traffico in sordina, e pareva silenzio. Pareva una gran
bolla colorata di sapone, silenziosa pacifica fragilissima, calata dal cielo su questa oasi, nel cuore del quartiere
dormitorio lager. Tutt'intorno, al di là della corona di alberi, sporgono le muraglie di cemento e le distese
d'asfalto. Sono entrato sotto un portichetto dove una ragazza robusta con una piccola farfalla dipinta sul lato
sinistro del
naso scambiava parole lente con tre giovanotti che parevano draghi viventi tra l'azzurro e il viola. Stavano
adagiati come pitoni su un un tavolone ricoperto di carta rossa, temporaneamente disposti a distribuire liquidi
e solidi. I prezzi a pennarello sul muro: birre £ 1000 - pizzette £ 1000 - panini £ 1000. Panini e pizzette non
ce n'erano ma dovevano arrivare, appena pronta la cucina. Ma il portichetto era già un
museo, una piccola galleria sulle cui pareti stavano esposte le foto a colori di un mondo scomparso. Questo
posto è nato negli anni '50 come fabbrica di mattoni RDB (ecco perché la ciminiera). Poi ha
cambiato più
volte di proprietà e di uso: fabbrica metalmeccanica, manutenzione camion, ecc. Poi è stata
affittata per molti
anni a un centro di sport virili (scuola di pugilato, palestre). Degli antenati operai quasi nessuna traccia; ma
dei gladiatori ogni angolo porta l'impronta. Un mondo vissuto qui per anni coltivando il sadomasochismo.
Boxe, arti marziali, bodybuilding, culto del corpo e della forza fisica, dominato dalla trinità CREDERE
OBBEDIRE COMBATTERE (= LIBRO E MOSCHETTO / FASCISTA PERFETTO = STUDIO LAVORO
FUCILE = PRODUCI COMPRA CREPA). Erano tutti fascisti, com'è razionale date le premesse.
Tutti maschi veraci. Le uniche donne ammesse stanno
nelle rivistine porno nascoste in fondo agli armadietti degli spogliatoi. La loro direttiva di vita: ORDINE E
DISCIPLINA (a caratteri romani sulla parete d'un capannone). Gli occupanti con poca fatica hanno
migliorato la scritta anteponendo alla prima parola un "DIS", alla seconda un "IN", cioè i segni del
mutamento. Così in un batter d'occhio Yin s'è trasformato in Yang e il capannone ha
sorriso. Le foto colorate, scovate da cassetti e scaffali, ritraggono i portatori dei santi ideali intenti a offrire
al mondo
lo spettacolo della loro virile potenza. In slippino davanti alle docce, con sapienti dislocazioni di polpacci e
quadricipiti come suini da prosciutto magro rigonfiano mostruosi grumi di muscolature e superfici tese come
tamburi, rigide come l'acciaio. Volonterose imitazioni dei lupi da palco o da balcone. I bambini guardano
meravigliati e ridono come matti: guarda questo, guarda quello! All'interno sorprese a non finire. Tre
capannoni vastissimi, di cui uno con pavimento n legno e risonanza
ideale per la musica acustica; corridoi, scalette, anditi e bugigattoli e tranquille stanze d'appartamento.
Pensano di metterci un ambulatorio gratuito per gli immigrati. C'è perfino una tavernetta, fuori posto in
questo luogo spartano. C'è posto per la cucina, per la mensa, per fare all'amore, per dormire, per fumare,
per
suonare, per i laboratori, per i bambini e per i vecchi, per parlare insegnare giocare e soprattutto c'è un
numero impressionante e imprecisabile di docce. Apri una porta in refettorio, ecco tre docce con i loro bravi
sgabbiozzi e le tendine di plastica verde-mare. Ne apri un'altra in corridoio e voilà una fila di sei docce
con
annesso cesso alla turca. Ci sono abbondanti docce lungo le scale, le palestre, gli ingressi, dove meno te le
aspetti. Strana esuberanza di docce. Poi ho trovato la spiegazione nei cartelli affissi qua e
là:
SAPEVI CHE... per essere un vero sportivo e una persona di successo, sana, moderna,
simpatica e con tanti amici occorre: - fare almeno una doccia al giorno - lavarsi i denti dopo ogni
pasto - cambiare la biancheria intima ogni giorno.
Praticamente i rambi passavano il tempo o
prendendosi a pugni o facendo la doccia o (s)cambiandosi le
mutande. Vite intense. Nel più grande dei capannoni un gruppo di musicisti seduti sulle stuoie
provano chitarre e tamburelli per il
primo concerto annunciato per stanotte. Nel salone tappezzato in legno giocavano a pallavolo sette tatuati e
una ragazza di lunghissima chioma corvina e giacchetto di velluto nero sotto cui si intravedeva, in occasione
dei rilanci, una fascia pettorale etrusca lavorata a uncinetto. Gli otto giocavano rilassati, senza accanirsi
troppo, anche perché la situazione era sospesa, ossia in via di definizione, o ancora non
consolidata.
Serena quiete profumata Questo perché ogni
due tre minuti il portone d'entrata s'apriva e una giovane lupa ansimante si precipitava dentro
mugolando e cercando qualcuno con gli occhi appassionati. Appena inquadrato il campo si precipitava fra le
braccia di uno dei sette tatuati, evidentemente il su perduto amore. Il quale anziché ricambiare l'abbraccio,
infastidito la prendeva per il collare e la riportava fuori porta - "Ti ho detto di restare qua!" - le intimava e affidava
il collare a un suo complice seduto sulla scala. - "Ti ho detto di non lasciarla entrare!" - intimava al secondino e
ritornava a giocare come se niente fosse. La lupa attaccava un pianto straziante e tutti guardavano il padrone: "la
lasci là a piangere?" diceva qualcuno, lui alzava le spalle, "le passerà", diceva e riprendevano a
giocare, ma di
malavoglia. Del resto di cani ce n'erano a frotte, dentro e fuori, di ogni età e taglia e colore e razza,
ma in genere bastardi,
tutti i bastardi del Peep attirati da un sesto fiuto e radunati d'incanto, primi destinatari e fruitori del Centro
Sociale Belfagor, da segnalare come ABORIGENI DOC insieme alle vecchie. Di gatti invece manco l'ombra.
Ciò mi turba. Le meraviglie si trovano però all'esterno. Di fianco alla fabbrica, a sera, si apre
un vasto spazio vuoto, tipo
campo da spark, attorniato da alberi e cespuglioni fino a un gigantesco fico cresciuto tra il capannone e la
ciminiera. Lo spazio è ricoperto da un'erba giallastra punteggiata da alte piante d'insalata che paiono
flaconi
di Murano. Di là girando a mattina si torna sul lato nord, dove lo spazio si restringe davanti al frontone
a
ghirigori cementizi. Al centro un salotto sull'erba sotto il cielo, formato da quattro poltrone e due divani, sui
quali stavano
beatamente distese otto donne di grande bellezza. La più anziana, che doveva essere la maestra di tutte
loro,
aveva il viso seminascosto da una fitta chioma di color grano maturo che si accarezzava di tanto in tanto con
la man o inanellata di cerchietti turchi. Una Bonadea. Vicino a lei Anna la coreografa, quella matta che
incontro a intervalli di anni, e ogni volta è nuova. Stavolta portava i capelli divisi in decine di sottili
treccine,
e ogni treccina recava in punta un'appendice di porcellana finemente tornita, come una mangrovia. -
Pianterò campo all'ombra dell'Eldorado? - ha chiesto la maestra. - Non c'è dubbio - ha detto
la coreografa. Le altre si spandevano dintorno quiete come i petali del rosaio
selvatico sotto il Rubino. Quel salotto aperto proprio al centro del centro emanava un'onda di serena quiete
profumata di mughetto che dava il tono e il colore ad ogni cosa. Sulla parete del capannone una ragazza
lanciava la palla e la recuperava dopo aver fatto una piroetta o battuto
le mani una o più volte: gioco dell'età del bronzo, che al mio paese Cadoneghe tutte le ragazze
facevano 50
anni fa. era rigorosamente femminile, come il pindolo o lippa era rigorosamente maschile. ma gli anni non
son passati invano, poco dopo un tatuato si faceva spiegare il gioco e si cimentava negli esercizi
preliminari.
La nonna fascista Sulla parete nord della palazzina
hanno lavorato per ore tre ragazzi a fare un murales complicatissimo. Dapprima
pareva una scritta militante (qualcosa sulla RIVOLUZIONE CAPS DOK!!!) ma in corso d'opera si è
trasformata
in un elefante psichedelico di coda poligonale e colori pazzeschi ma coordinati, e contorni sinuosi che uno dei
tre tracciava eseguendo un elegante passo di danza. Tutti a braccia nude ben tatuate i tre visibilmente si
divertivano con le bombolette e il bestione sul muro
cresceva, si allungava, sempre più imponente e bonaccione, finché tutto il centro si è
radunato intorno ad
ammirare l'opera nascente. Ho detto a Gianni: - non ti vien voglia? - Figurati! - ha detto mezzo disgustato,
- devo preparare una mostra
adesso e una per luglio! non ne posso più di pennelli! I due stati dell'arte: l'arte-gioco fatta per
sé, l'arte-mestiere fatta per l'altro da sé. La prima, fonte di giubilo, la
seconda, di tribolo. Avevo voglia di bere qualcosa, ma un vecchio calabrese con barbetta marrone mi ha
abbracciato, non ci
vedevamo da almeno cinque anni, poi è venuta l'Anna coreografa e Mario il chitarrista e tanti altri persi
di
vista. C'è voluto Belfagor per far uscire dalle catacombe i vecchi del movimento. Gira la sensazione di
aver
trovato casa, di avere finalmente un posto dove sei riconosciuto per quel che sei, e non per la macchina o la
villa o la carriera o i soldi. Forse quel che ci ha fatto venire è un bisogno naturale negato e quasi
atrofizzato. Arriva una vecchia grinzosa sdentata, vedova al minimo sociale, con maglietta scolorita, gonna
nera lisa, un
paio di scarpe maschili sgangherate e stretto al petto un fascio di vecchi attaccapanni a stampella. Li getta sul
tavolo e parla dialetto: ragazzi, se vi servono, ho pensato che vi possono essere utili... - Grazie nonna, non
sapevamo proprio come fare senza attaccapanni. Cominciano i discorsi. - Siete bravi ragazzi, ma tutte
quelle scritte sui muri, via! non dovevate farle! e quei dipinti poi!... - E la bandiera l'hai vista? ti piace? -
Sì, bella, ma se era bianca-rossa-verde era meglio! Così si viene a sapere che la vecchia
è fascista convinta. Fascista popolare. Con voce che esce dal cuore si
mette a lodare Lui, che era bello e faceva rigare dritto tutti quanti, tanto è vero che allora non c'era in giro
né
droga né scippi. Le chiedono come viveva la gente, se c'erano abbastanza soldi per tirare avanti. No, di
soldi
ce n'erano pochi, però tutti avevano la divisa e andavano al raduno del sabato. E poi i treni
viaggiavano in orario e l'Italia era grande, aveva perfino un impero. I ragazzi la stuzzicano, lei sta
al gioco, ma senza ombra di sospetto o di aggressione, né dall'una né dall'altra parte; è
che lei è una fascista
puramente ideologica, ma la sua vita, la sua voglia di amicizia, la sua generosità la tradiscono. I ragazzi
sentono che è una sfigata bastonata imbrogliata, basta guardarla. E' una come loro, le vengono negati
bisogni
primari; l'ideologia fascista diventa una stramberia, un piccolo handicap senza peso. E' già diventata parte
dell'ambiente.
Il centro sociale come strumento di
qualificazione
(documento consegnato al sindaco di Piacenza il 30 maggio
1995)
L'ipotesi di collocazione di un centro sociale in una realtà periferica come quella del
quartiere P.E.E.P.
Farnesiana ci obbliga ad una riflessione urbanistica e sociale di questa zona della città.
CENNI STORICI La storia del quartiere inizia nel 1964 quando la città di Piacenza, tra le prime
in Italia, si avvale della legge n.
167 del 1962 e adotta un piano per l'edilizia economica e popolare. La legge n. 167 è uno strumento
molto avanzato per l'epoca in cui nasce ed è finalizzato al controllo della
speculazione edilizia che caratterizza questa fase della storia della città, sforzandosi contemporaneamente
di
evitare la formazione di quartieri-ghetto. L'acquisizione delle aree e le prime edificazioni iniziano nel 1970
e continuano nel tempo fino al
completamento della capacità insediativa progettata. Ma nel quartier, già nei primi anni della sua
storia, si
manifestano segni di disagio sociale che lo portano ad essere definito, nel gergo cittadino, "Vietnam". Questo
termine dispregiativo, pur essendosi nel tempo fortunatamente quasi estinto, ben esprime l'atteggiamento con
cui la città ha reagito alla nascita di questo quartiere che, con i suoi circa 10.000 abitanti e le sue tipologie
edilizie di massa, rappresenta la parte di città più debole nei confronti del disagio tipico delle aree
metropolitane (mancanza di identità collettiva, devianza, emarginazione sociale). Questo disagio
è riconosciuto anche in un documento dell'Ufficio di piano del Comune di Piacenza datato
2.10.1981 in cui, facendo il punto sullo stato di attuazione del P.E.E.P. Farnesiana, si riconosce l'esistenza nel
quartiere di problemi sociali peculiari rispetto al resto della città. L'origine di questi problemi viene
fatta risalire essenzialmente alla composizione sociale (50% della
popolazione al di sotto dei 30 anni, alta percentuale di immigrati) ed alla monofunzionalità residenziale
del
quartiere. A questi, che sono mali tipici dei quartieri periferici, si somma nel caso del P.E.E.P. Farnesiana una
ulteriore causa di ritardo nella realizzazione dei servizi. Per capire la gravità della situazione
basterà ricordare come fino al 1990, data di costruzione del centro
commerciale, le uniche strutture di servizio del quartiere erano cinque negozi e la sede decentrata di alcuni
servizi comunali, e questo a 20 anni dall'inizio della costruzione e, ricordiamolo, per 10.000 abitanti insediati
in una zona già di per sé periferica e mal servita. I motivi di questo ritardo sono di diversa
natura: da una parte esiste un'effettiva difficoltà degli amministratori
e progettisti ad interpretare le reali esigenze degli abitanti, dall'altra esiste il problema della gestione delle
strutture di cui non è mai stato chiaro chi dovesse farsi carico. A questi problemi di carattere
oggettivo si è sommato, soprattutto negli anni '80, un progressivo disimpegno
generalizzato e una mancanza di volontà politica. Uno dei primi segnali di sblocco della situazione
è stata, nel 1987, la formazione di un comitato di cittadini
del quartiere che, stabilendo un rapporto dialettico con l'Amministrazione Comunale, mette in evidenza i
problemi vissuti dagli abitanti e si pone come elemento attivo e propositivo nel progresso decisionale e di
governo di questa zona della città, ottenendo il miglioramento del servizio degli autobus ed un mercato
ambulante bisettimanale. Da questo momento qualcosa si è mosso e la realizzazione di alcuni servizi,
prevalentemente di carattere
commerciale e sportivo, ha migliorato la situazione del quartiere che resta però completamente sprovvisto
di
strutture dedicate alla cultura ed alla socializzazione. L'urgenza di queste strutture viene acuita dal carattere
architettonico degli interventi realizzati che, non
stabilendo alcun tipo di relazione con lo spazio collettivo, non esercitano nessuna reale riqualificazione e anzi
riconfermano il carattere segregato e massificato del quartier che vede crescere volumi di mute funzioni
intorno alle sue strade che rimangono deserte (...). In attesa che il nuovo P.R.G. dia una risposta organica a
queste esigenze, la creazione di un centro sociale
costituisce una risposta moderna all'esigenza di spazi di aggregazione autorganizzati. La storia urbanistica
del quartiere dimostra come gli spazi collettivi progettati dall'alto non riescono a calarsi
nella realtà del territorio, rimanendo sterile prodotto grafico-volumetrico. Solo l'autorganizzazione
degli individui e l'iniziativa diretta di gruppi fortemente motivati possono fondare
spazi collettivi efficientemente connessi alla struttura sociale. In particolare, la collaborazione con
l'Amministrazione Comunale può costituire l'esempio di un nuovo
approccio al problema dello sviluppo di una socialità urbana compiuta nelle zone più marginali
della città. La socialità nel suo essere esperienza quotidiana di vita, non è
progettabile. L'ambito entro il quale è lecito muoversi è quello della creazione di presupposti
materiali per lo sviluppo di
una socialità urbana anche in queste zone eccessivamente "progettate" della città. La periferia
può diventare città solo se i suoi abitanti smetteranno di subirne i modelli sociali impliciti per
farsi soggetti attivi nella creazione di una realtà più complessa, creativa, libera. Ciò
che chiediamo a questa Amministrazione è di appoggiare un'iniziativa che, lungi dal voler essere una
panacea per tutti i mali della società, vuole proporsi come ganglio di produzione culturale, aggregazione
e
solidarietà al di fuori degli schemi mercantilistici e strumentalizzanti che invadono la realtà in
cui viviamo.
BREVE PREMESSA SUI CENTRI SOCIALI AUTOGESTITI Per riassumere
brevemente la funzione dei centri sociali autogestiti individuiamo alcuni punti basilari
riguardo alla loro attività. E' ormai un assunto considerare i C.S.A. (Centri Sociali Autogestiti) come
luoghi
di produzione culturale e di intervento sociale non istituzionale, finalizzati alla costruzione di forme di
socialità "altre" da quelle proposte dal circuito commerciale (bar, discoteche...). La peculiarità
che distingue i
CSA dai comuni luoghi di ritrovo è l'organizzazione degli stessi attraverso l'autogestione e la vita in
comune. I soggetti che prendono parte attivamente a questo progetto propongono diverse attività che
vanno dal
concerto ai momenti di riflessione politica. Il filo rosso che lega qualsiasi attività è l'assenza di
lucro, i prezzi
popolari e la tendenza ad organizzare una rete alternativa per la cultura, l'informazione e i servizi, con
attenzione particolare ai problemi delle fasce più deboli ed emarginate. Negli anni dell'omologazione
di massa i CSA sono stati gli unici spazi in cui è stato possibile fare cultura ed
esprimersi liberamente senza controlli e costrizioni di alcun genere, diventando, dove gli altri fallivano,
l'unica realtà sociale fortemente innovativa.
PROGETTO DI UTILIZZAZIONE DELLO
STABILE DI VIA FORNESIANA 110 Elenchiamo alcune delle attività che il Centro Sociale
Autogestito Belfagor intende svolgere. 1- SPAZIO SCUOLA. Intendiamo organizzare: a) corsi di lingua
(italiano per immigrati, arabo per italiani, esperanto e inglese per tutti) nell'intento di
agevolare la conoscenza e l'interscambio tra persone appartenenti a diversi ambiti culturali. Quindi non
semplice conoscenza tecnica, ma arricchimento culturale reciproco. b) corsi di musica tesi a fornire le
conoscenza tecniche di base a chi desideri esprimersi attraverso questo
linguaggio (flauto, chitarra, solfeggio, teoria, storia della musica) c) corsi di manualità varie (es.:
intreccio vimini, origami, aquiloni, rame battuto, falegnameria, pirografia,
fotografia, rilegatura libri, cuoio, carta a mano, ricamo, uncinetto, ecc.) 2 - SPAZIO MUSICA. Il centro
sociale intende promuovere un'attività concertistica che, con cadenza
settimanale, cercherà di proporre le più interessanti realtà musicali italiane ed estere.
Consideriamo la musica
un'importante espressione culturale ed il concerto dal vivo un momento oltre che di divertimento collettivo
anche di approfondimento ed aggregazione. Intendiamo quindi promuovere concerti che oltrepassino i
consueti canali commerciali, si tratti di rock, folk, musica classica o jazz. Vogliamo realizzare con i mezzi a
nostra disposizione e con l'aiuto di chi vorrà usufruirne, una sala prove per i gruppi locali. I vani coperti
dello
stabile (ex-autorimessa, ex-palestra) si adattano ad ospitare eventi musicali di vario genere. La buona acustica
naturale di una parte dell'ex-palestra (dotata già di un soffitto abbassato fonoassorbente) la rende
particolarmente adatta come luogo ideale di concerti. 3 - SPAZIO TEATRO. Lo stesso discorso fatto per lo
spazio musica vale per il teatro: vogliamo proporre
spettacoli teatrali di ricerca e produzioni minori (teatro di strada, teatro dell'Oppresso, performances, ecc.)
comunque al di fuori dei canoni vigenti nei teatri cittadini. In prospettiva tendiamo a promuovere, con la
collaborazione di persone dell'ambiente teatrale locale, un laboratorio permanente di teatro e mimo. Anche in
questo caso, una porzione dell'ambiente dell'ex-palestra si presta ottimamente ad ospitare situazioni teatrali. 4
- SPAZIO CINEMA. Si intende adibire uno spazio della palestra per proiezioni cinematografiche; abbiamo
già a nostra disposizione una ricca cineteca di pizze da 16 mm comprendenti lungometraggi e
documentari di
rilevante interesse culturale. Con ciò miriamo a privilegiare tutte le forme di espressione filmica che
restano
escluse da normali circuiti della distribuzione commerciale. 5 - ARTI FIGURATIVE. Una zona dello stabile
(identificabile nell'ex-autorimessa e spazio esterno), verrà
messa a disposizione di tutti quegli artisti che non trovano spazio nel circuito delle gallerie accademiche e che
sono interessati a mutare morfologicamente l'ambiente con il loro intervento creativo: dai graffitisti di
"aerosol-art" ai murales alla "scultura plain-air" ecc. Si ospiteranno anche mostre a carattere internazionale
che, per la specificità delle opere, per dimensioni e allestimenti, non potrebbero trovare altri spazi
nell'ambito
della "museologia cimiteriale" cittadina. 6 - SPAZIO BIBLIOTECA. Nell'attuale fase di decadenza della
civiltà del leggere, riteniamo di primaria
importanza far riscoprire il piacere e l'intrinseca creatività collegati a questa attività mentale. A
tal fine
organizzeremo la raccolta di testi soprattutto contemporanei e classici; rilanciando l'antica pratica della lettura
collettiva e ragionata, secondo l'esempio dei grandi narratori sociali del passato (Dickens, Mark Twain, ecc.).
La biblioteca si intende rigorosamente circolante; vi sarà inoltre uno spazio tranquillo e confortevole
adibito
specificatamente alla lettura. E' evidente l'importanza di questa attività in una città gravemente
carente di
spazi e di raccolte librarie di pubblico uso (vista anche la cronica inagibilità della biblioteca comunale
Passerini-Landi). 7 - CENTRO DI DOCUMENTAZIONE ANTAGONISTA. Luogo in cui tutti possano
trovare autoproduzioni
di movimento (libri, dischi, fumetti, riviste) difficilmente reperibili nei circuiti commerciali dove vengono
sovente snobbati. Si attiverà anche un nodo telematico (Internet) specifico del Centro Sociale, una piazza
virtuale dove promuovere dibattiti, incontri, scambi culturali. 8 - CENTRO STAMPA. Si vuole costituire una
casa editrice per favorire la stampa alternativa,
l'autoproduzione e la ristampa di testi fuori catalogo o introvabili. 9 - SPAZIO DI VALORIZZAZIONE
DELLE CULTURE "ALTRE". I centri sociali autogestiti sono per loro
natura luoghi dove le diverse etnie si incontrano in un contesto multirazziale aperto. Il CSA Belfagor intende
essere un porto franco all'interno della città per quelle persone che vivono l'emigrazione come una
continua
violenza e negazione della propria identità. Intendiamo condividere in egual misura gli spazi e i mezzi
a
nostra disposizione con tutta quella fascia di immigrati che siano interessati ad organizzare in proprio eventi
spettacolari/culturali legati alla loro tradizione. Si favorirà l'eventuale creazione di un SUK e di un
BAZAR. 10 - AMBULATORIO. La palazzina offre l'opportunità di allestire un ambulatorio sanitario
di primo
intervento con ingresso indipendente, diretto ad immigrati, nomadi e soggetti emarginati che non possono o
non intendono usufruire dei servizi USL. 11 - UFFICIO LEGALE. Settimanalmente3 un legale offrirà
gratuitamente consulenza riguardante
soprattutto: diritti sociali negati o limitati, diritti dei consumatori, diritti del lavoro. 12 - CUCINA. Intendiamo
organizzare una mensa popolare affidandone ciclicamente la gestione e diversi
gruppi portatori di differenti culture alimentari (cucina piacentina, marocchina, siciliana, vegetariana,
nigeriana, emiliana, ecc.). Si privilegeranno i prodotti biologici provenienti da coltivazioni biologiche e
biodinamiche già praticate da molti aderenti al centro. Grande attenzione sarà rivolta alla raccolta
differenziata dei rifiuti e ad un consumo quanto più possibile ridotto di materiali plastici. 13 -
SPAZIO INCONTRI. Per incontri, dibattiti, conferenze, presentazioni,tavole rotonde, ecc. 14 - ORTO
BOTANICO. Per promuovere la conoscenza delle specie vegetali indigene, intendiamo procedere
all'impianto di alberi da frutta, arbusti boschivi (ribes, lamponi, uva spina, more, fragole, rosa canina, ecc.),
fiori. 15 - COOPERAZIONE-LAVORO. Promuoveremo la formazione di piccole forme cooperative per
lavori di
tipo artigianale e manutentivo in cui potranno integrarsi soprattutto giovani e immigrati. 16 - SPAZIO
LIBERO. Data la larga disposizione di spazi, sarà possibile adibire porzioni consistenti alla
libera iniziativa di gruppi di cittadini (per esempio: campi-bocce, aree-gioco, ecc.)
Quanto esposto si
intende inquadrato in una pratica autogestionale: ogni gruppo sarà responsabile dell'attività
esercitata con assoluta esclusione di fini di lucro. L'unico criterio di valutazione sarà "interno", costituito
cioè
dall'interesse e dalla soddisfazione che ogni attività riuscirà a suscitare nei partecipanti. Centro Sociale Autogestito Belfagor (Piacenza)
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