Rivista Anarchica Online
Fra Cobas e vecchi merletti
di Cosimo Scarinzi
Non è facile districarsi nel complesso magmatico mondo del sindacalismo di base,
alternativo a Cgil-Cisl-Uil e cogliere il senso dei dibattiti in corso
L'esperienza del sindacalismo di base in Italia si è sviluppata ormai da diversi anni
ed è,
di conseguenza, possibile ragionare sui suoi percorsi mettendo in relazione le aspettative
dei compagni che, nel corso del tempo e in diverse organizzazioni, hanno ritenuto di
impegnarvisi con una massa di lotte, iniziative, agitazioni, tentativi di organizzazione,
sufficienti a trarre un bilancio critico di quello che sta avvenendo o, almeno, a dare
l'avvio a questo bilancio. E' sempre bene, fra l'altro, a mio parere, quando si vuole riflettere sulle vicende di
un'organizzazione o di un'insieme di organizzazioni, tenere presente il momento genetico
che ne ha determinato i caratteri costitutivi; non perchè quest'ultimo spieghi del tutto gli
sviluppi seguenti, ma perchè ha un peso troppo spesso sottovalutato nel condizionare le
dinamiche di strutture che, inevitabilmente, si trovano ad operare in condizioni mutevoli,
che a volte confermano ed arricchiscono le loro posizioni di partenza, ed altre ne
dimostrano l'infondatezza e i limiti. Diversi compagni, sia in articoli apparsi sulla stampa libertaria che in discussioni
pubbliche e private, individuano il punto di svolta che segna il passaggio dalla cosiddetta
galassia extraconfederale, al tentativo di coordinare il sindacalismo di base in
organizzazioni di carattere neoconfederale, nello sciopero contro la guerra del golfo del
22 febbraio 1991, importante sia per le dimensioni che per la radicalità dei contenuti. E'
comunque bene ricordare che, in quell'occasione, le strutture del sindacalismo alternativo
diedero uno sbocco di lotta ad un movimento molto vasto e composito, che aveva
coinvolto la sinistra non di governo, settori del mondo cattolico, gruppi della vecchia e
nuova sinistra di ogni genere e tipo, associazioni attive sul terreno sociale, ecc.
L'impegno generoso e costante nel suo insieme del movimento libertario su questo
terreno, resta un esempio positivo di come si possa, anche a partire da forze
inevitabilmente limitate, portare un contributo importante e significativo allo sviluppo di
un vasto movimento di opposizione alla guerra. Ritengo, però, che quella giornata vada posta in relazione con
alcune dinamiche sociali e
politiche, precedenti e seguenti, altrettanto significative.
Prima
Gli anni '80, gli anni del rampantismo e del craxismo, hanno visto l'intrecciarsi di
almeno due importanti percorsi di opposizione del, e nel movimento dei lavoratori:
- una serie rilevante di mobilitazioni contro il taglio delle garanzie sociali (scala
mobile, cassa integrazione, servizi sociali, ecc.), mobilitazioni sostanzialmente
controllate dall'apparato di Cgil-Cisl-Uil, ma tali da logorarne la credibilità non
foss'altro perchè la ripetuta vicenda di un'offensiva statale e padronale, a cui
seguiva una grande mobilitazione e un successivo accordo a perdere, ha indotto
gruppi consistenti di lavoratori e di militanti di base ad intraprendere una
riflessione seria sull'opportunità di premere dal basso sull'apparato confederale.
In questa vicenda, in particolare, è stata fortemente erosa la credibilità della
sinistra della Cgil, una sinistra che ha dimostrato una straordinaria capacità di
utilizzare le lotte dei lavoratori per trattare, da posizioni di una qualche forza, la
quota di posti che le spetta all'interno dell'apparato sindacale;
- l'entrata in lotta, al di fuori del controllo dell'apparato confederale, di diversi
settori di lavoratori e, in particolare, di quelli della scuola che hanno dato vita, fra
il 1986 ed il 1988, al movimento dei comitati di base; delle ferrovie che, come i
macchinisti, si sono dati strutture organizzative e di lotta indipendenti, come il
Comu (Coordinamento Macchinisti Uniti). Si tratta di vicende sufficientemente
note e su cui non è possibile tornare in questa sede; basta ricordare che è possibile
lottare al di fuori del controllo di Cgil-Cisl-Uil e che, anzi, è necessario farlo, se si
vogliono difendere rivendicazioni significative, che settori importanti del lavoro
salariato hanno maturato una rottura con il sindacalismo di stato, non solo nei
termini dell'agitazione su questioni particolari, ma in quello di un'autonoma
progettualità ed identificazione dei propri interessi. In buona sostanza, il
fenomeno Cobas ha determinato un mito sociale abbastanza significativo da
rendere credibile la proposta di stabili organizzazioni alternative ai sindacati
istituzionali. D'altro canto organizzazioni esterne a Cgil-Cisl-Uil già esistevano
negli anni '8O ed hanno trovato nelle dinamiche che ho poveramente ricordato,
un'occasione di crescita e radicamento sui posti di lavoro.
Dopo
Lo sviluppo del sindacalismo alternativo è, per certi versi, da collocarsi nell'ambito
dell'opposizione di ampi settori salariati alla politica dei governi tecnici, che hanno
caratterizzato la fine della prima repubblica e la nascita della seconda, con una continuità
di tutto rispetto. Mi riferisco ai governi Amato, Ciampi e Dini ed alla straordinaria
accelerazione che hanno dato alle politiche di taglio del salario, delle pensioni, dei sevizi
sociali, dei diritti dei lavoratori. Questi tre governi, l'effimero governo del Cavalier Berlusconi meriterebbe un discorso
a
parte, hanno potuto godere di un appoggio da parte del sindacato di stato, ampio e
condizionato solo dalla garanzia del monopolio della rappresentanza della forza lavoro, a
volte entusiasta. Le ragioni di una scelta di Cgil-Cisl-Uil che può apparire per certi versi
persino esagerata sono molte e hanno a che fare, sostanzialmente, con l'autonomizzarsi
degli interessi dell'apparato sindacale rispetto a quelli dei lavoratori che pretende di
rappresentare. Nel corso di questi anni i lavoratori dipendenti hanno dato vita a diversi momenti di
mobilitazione di massa di notevole vivacità. Basti pensare alla settimana dei bulloni
nell'autunno del 1992 ed agli scioperi contro il taglio delle pensioni nell'autunno del
1994, solo per fare due esempi significativi. Attraverso quest'assieme di esperienze e, soprattutto, la lotta quotidiana
sui luoghi di
lavoro, il sindacalismo di base ha cominciato ad assumere una più compiuta identità, a
sperimentare limiti e difficoltà nella propria azione, a porsi nuovi problemi.
Proverò a riassumere quelli che mi sembrano essere alcuni punti fermi maturati in
questa esperienza:
- Cgil-Cisl-Uil sono irriformabili, sono un pezzo dell'apparato dello stato ed hanno
un rapporto organico con il padronato. La sinistra sindacale, al di là delle
intenzioni dei suoi singoli esponenti, è condannata ad un ruolo subalterno rispetto
ad una politica che non deriva da errori o tradimenti dei dirigenti ma dalla natura
sociale delle organizzazioni in cui opera. E' importante rilevare che questo
convincimento non caratterizza minoranze ideologizzate, ma è ampiamente
diffuso fra i lavoratori che aderiscono ai sindacati alternativi e, per la verità, fra
molti lavoratori che, per diverse ragioni, non hanno ritenuto di fare questa scelta;
- è necessaria un'organizzazione ampia, capace di attrarre vasti strati di lavoratori e
di fornire loro un punto di riferimento stabile. Quest'organizzazione deve essere
significativamente diversa da quelle tradizionali. E', di conseguenza, necessaria
una nuova confederazione che non esprima solo gli interessi dei lavoratori a
livello di categoria e di comparto, ma sappia condurre iniziative generali e
strutturarsi a livello nazionale e, in tendenza, sovranazionale.
Quest'organizzazione deve essere, nel contempo, democratica ed efficiente e, di
conseguenza, differenziandosi dai comitati di base, intesi come puri organismi che
si sviluppano nelle singole lotte o come gruppi di agitazione di carattere generale.
Oggi
E' un fatto evidente che il sindacalismo di base non è riuscito a dare vita ad un'unica
centrale sindacale nei quattro anni passati. Molto schematicamente, possiamo individuare
diversi poli aggregativi:
- la Confederazione Unitaria di Base (C.u.b.) sorta soprattutto su impulso della
Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti (Flmu) e delle Rappresentanze di
Base nel pubblico impiego (Rdb), che ha visto lo svilupparsi di diverse altre
federazioni di categoria in diversi settori (trasporti, scuola, chimici, informazione,
postali, ecc.). La C.u.b. si caratterizza forse per una più accentuata
caratterizzazione come sindacato strutturato, per una forte differenziazione
rispetto a Cgil-Cisl-Uil, per la presenza al suo interno di una discussione molto
aperta sul modello organizzativo che deve darsi e sul percorso che la deve
caratterizzare;
- il Sindacato Lavoratori Autorganizzati Intercategoriale-Cobas (Slai-Cobas)
presente soprattutto nell'Alfa di Arese e nell'Alfa Sud, ma diffuso in molte
aziende. Si tratta di un'organizzazione per certi versi meno strutturata e più
fondata sull'attività dei collettivi locali e, per altri, più legata ad una dialettica con
la sinistra della Cgil e con settori di Rifondazione Comunista. In particolare, lo
Slai-Cobas si è differenziato dalla Cub per la scelta di partecipare all'elezione
delle Rappresentanze Sindacali Unitarie (Rsu), elezione organizzata dai sindacati
istituzionali sulla base dell'accettazione degli accordi del luglio 1992 e 1993 e
della riserva di un terzo dei delegati a Cgil-Cisl-Uil;
- -l'Associazione per la Rappresentanza delle Confederazioni Autogestite (Arca),
che raccoglie il Sindacato di Base (Sdb) sorto da una scissione delle Rdb,
l'Unicobas e alcuni sindacati dell'Unione Sindacale Italiana (Usi). Si tratta di una
nuova aggregazione che sembra, per ora, essere più un patto federativo che una
nuova confederazione.
Esistono diverse altre strutture di base, il Comu nelle ferrovie, i Cobas della scuola, ecc.
oltre, naturalmente, all'Usi, il tradizionale sindacato libertario, che sta vivendo una vivace
discussione in merito alla scelta di alcuni suoi sindacati di aderire all'Arca. Questa frammentazione ha diversi motivi:
il legame con aree politiche differenti, la
pratica di modelli organizzativi di tipo diverso, la difficoltà a costruire un'ipotesi unitaria
sufficientemente convincente per tutti i settori del sindacalismo di base. Al di là di questioni pur rilevanti, come
i soliti e tradizionali giochi politici e personali di
settori militanti che si sono impegnati sul terreno del sindacalismo alternativo, vi sono
alcune questioni di carattere generale che meritano una riflessione specifica.
Domani?
Quando parliamo di sindacalismo alternativo, indipendente e di base usiamo una
definizione assolutamente imperfetta. Alternativo a Cgil-Cisl-Uil vuol dire qualcosa in
negativo ma non molto in positivo. La scelta di non definire questi sindacati come
autonomi si basa sul rifiuto del corporativismo di tipo categoriale, ma ancora non dice
molto sulle prospettive del sindacalismo di base. L'indipendenza da stato, padroni e
partiti rivendicata con chiarezza dalla Cub e meno dallo Slai-Cobas, almeno per quel che
riguarda i partiti, può essere intesa sia come il semplice rifiuto di funzionare come
cinghia di trasmissione di un partito, lasciandosi le mani libere per quel che riguarda i
rapporti con le istituzioni, sia come affermazione dell'indipendenza radicale dei
lavoratori nei confronti dell'ordine sociale esistente. Quando poi ci si riferisce al potere
della base, ci si trova in una situazione, a dir poco, delicata. Se infatti, prendiamo alla
lettera questa definizione, dovremmo ipotizzare un sindacato basato sull'autonomia delle
assemblee dei lavoratori, su di una capillare militanza degli iscritti sui posti di lavoro e
nella società e sul massimo decentramento possibile del potere decisionale. In realtà è un fatto
sin troppo evidente che una struttura stabile richiede risorse certe
(tessere), competenze consolidate, continuità nel lavoro di consulenza, capacità di gestire
vertenze, ecc. Tutte queste necessità vengono soddisfatte mediante l'esistenza di un
numero, limitato, di funzionari, distaccati, militanti o non vengono soddisfatte. Si
determina, di conseguenza, una gerarchia formale od informale, poco importa
approfondire questo tema in questa sede, fra quadro attivo dell'organizzazione e sua base.
Naturalmente, sarebbe sbagliato affermare che il sindacalismo di base ha gli stessi
problemi e le stesse caratteristiche di quello di stato sia perchè non è integrato
nell'apparato statale e non vede la presenza di un ceto di decine di migliaia di funzionari
con interessi propri, sia perchè, comunque, aggrega settori di lavoratori sufficientemente
combattivi da garantire una pratica diversa rispetto a quella tradizionale. Il problema dell'esistenza di un embrione e
di una sua possibile crescita e degenerazione
comunque esiste e non potrà che porsi ancora di più nel caso di uno sviluppo importante
di quest'esperienza.
In estrema sintesi, possiamo definire diversi approcci a quest'ordine di
questioni:
- in primo luogo, i militanti del sindacalismo di base, si dividono fra chi lo pone e
chi, in realtà, lo dà per risolto. In altri termini avviene che molti militanti, anche
perchè logorati dal lavoro quotidiano, tendano a dare per scontata la loro
separatezza psicologica, culturale, esistenziale dal lavoratore medio e ad
assumersi il compito di far funzionare le loro organizzazioni come un carico di
lavoro, una responsabilità, la fonte di un piccolo o grande potere. A maggior
ragione questo processo si dà per militanti di formazione tradizionale, siano
sindacalisti puri o membri di gruppi autoritari, ma non sarebbe esatto ridurre la
questione ai convincimenti politici, perchè si può diventare un burocrate anche a
partire da convincimenti libertari o criticare la burocrazia anche se si ha fiducia
nel parlamentarismo;
- un contravveleno ai percorsi di integrazione e burocratizzazione del sindacalismo
alternativo, può consistere nella pratica rigorosa dell'indipendenza dalle
controparti. In altri termini, nel rifiuto di utilizzare strumenti, magari comodi ed
utili, di azione sindacale che implicano la subordinazione alle pretese e agli
interessi degli avversari. Basti pensare alla firma di contratti dannosi ai lavoratori,
firma che garantisce diritti alle organizzazioni che vi si prestano, nel mentre
vanifica la loro pretesa di essere radicalmente diverse dai sindacati tradizionali.
Quale sia un punto di equilibrio ragionevole ed efficace, fra l'esigenza di avere
spazi per condurre la propria azione quotidiana (diritto di indire assemblee,
possibilità di affiggere materiale, possibilità di usufruire di permessi, ecc.),
affiggere materiale e di avere informazioni puntuali e quella di costruire
un'esperienza veramente autonoma dalla controparte, non è facile definirlo in
astratto. Si tratta, di conseguenza, di sottoporre le diverse attività del sindacalismo
di base ad un controllo puntuale ad opera dei lavoratori coinvolti e di trovare i
mezzi perchè questo controllo non sia puramente nominale. Certo è che se la
prima esigenza diventa la sopravvivenza formale dell'organizzazione, ne è
garantita la morte reale;
- una pratica come quella a cui ho alluso rimanda alla questione del federalismo per
quel che riguarda l'organizzazione. Ancora una volta, non esiste una formula
perfetta; il federalismo organizzativo, se inteso come puro decentramento degli
ambiti di decisione, non fa che raccorciare la distanza fra dirigenti e diretti, ma
non l'elimina nè la mette in crisi. Un capetto aziendale non è, in linea di principio,
migliore di un capo nazionale. Inoltre, un'organizzazione molto frammentata a
livello aziendale e locale lascia, nei fatti, mano libera a chi ne controlla il
coordinamento centrale. Un reale percorso federalista prevede, di conseguenza,
almeno un suo riferirsi ai lavoratori e non a i soli militanti; l'effettiva circolazione
delle informazioni sulle attività dell'organizzazione in modo tale che chiunque ne
senta l'esigenza possa parteciparvi; l'esistenza di ambiti decisionali formali che
controllino le risorse. L'opzione federalista può svilupparsi solo se si lega ad
un'identità forte dell'organizzazione sindacale, alla sua reale autonomia nelle lotte
e nell'elaborazione.
Il sindacato di base non può essere pensato e praticato come una struttura subalterna a
correnti politiche organizzate, pena il suo impoverirsi, il suo ridursi ad una riedizione di
Cgil-Cisl-Uil, magari sotto la direzione di Rifondazione Comunista. Su questo terreno è
necessaria una battaglia culturale di notevole spessore che combatta a fondo le
tradizionali visioni della pratica sindacale.
In guisa di conclusione
A fine marzo si terrà la prima assemblea nazionale della Cub. Si tratta di una scadenza
importante per la Cub stessa che potrà, finalmente, discutere in una sede pubblica e
formale il proprio percorso e le proprie scelte di fondo, ma interesserà anche l'assieme del
sindacalismo di base a cui potrà essere, nell'ipotesi migliore, quella per la cui
realizzazione dobbiamo lavorare, essere lanciato un segnale unitario. In particolare si discuterà la posizione
della Cub sulla firma dei contratti, visto che le
Rappresentanze di Base, nella passata contrattazione, hanno deciso di firmare tutti i
contratti che potevano firmare, sulla base dell'attuale legislazione sindacale, ivi compreso
quello della scuola, in cui la Cub è presente con la Federazione Lavoratori della Scuola
Uniti, che si è opposta a questa firma. Si è trattato di una scelta grave che vede il
disaccordo di molte federazioni della Cub e sarà necessario un confronto senza
diplomatismi su questo argomento. Si dovrà decidere, inoltre, quale modello
organizzativo dovrà prendere la Cub, centralista o federalista. Come credo sia reso
evidente da quanto ho sinora scritto, io ritengo necessaria una scelta federalista, tutta da
discutere e definire nei dettagli, ma chiaramente fondata su precise ipotesi di fondo. Molti altri temi verranno affrontati
e diverse decisioni importanti saranno prese e ritengo
che il contributo di tutti i compagni impegnati sul terreno sindacale o, comunque,
interessati al suo evolvere, sia straordinariamente opportuno.
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