Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 225
marzo 1996


Rivista Anarchica Online

Fra Cobas e vecchi merletti
di Cosimo Scarinzi

Non è facile districarsi nel complesso magmatico mondo del sindacalismo di base, alternativo a Cgil-Cisl-Uil e cogliere il senso dei dibattiti in corso

L'esperienza del sindacalismo di base in Italia si è sviluppata ormai da diversi anni ed è, di conseguenza, possibile ragionare sui suoi percorsi mettendo in relazione le aspettative dei compagni che, nel corso del tempo e in diverse organizzazioni, hanno ritenuto di impegnarvisi con una massa di lotte, iniziative, agitazioni, tentativi di organizzazione, sufficienti a trarre un bilancio critico di quello che sta avvenendo o, almeno, a dare l'avvio a questo bilancio.
E' sempre bene, fra l'altro, a mio parere, quando si vuole riflettere sulle vicende di un'organizzazione o di un'insieme di organizzazioni, tenere presente il momento genetico che ne ha determinato i caratteri costitutivi; non perchè quest'ultimo spieghi del tutto gli sviluppi seguenti, ma perchè ha un peso troppo spesso sottovalutato nel condizionare le dinamiche di strutture che, inevitabilmente, si trovano ad operare in condizioni mutevoli, che a volte confermano ed arricchiscono le loro posizioni di partenza, ed altre ne dimostrano l'infondatezza e i limiti.
Diversi compagni, sia in articoli apparsi sulla stampa libertaria che in discussioni pubbliche e private, individuano il punto di svolta che segna il passaggio dalla cosiddetta galassia extraconfederale, al tentativo di coordinare il sindacalismo di base in organizzazioni di carattere neoconfederale, nello sciopero contro la guerra del golfo del 22 febbraio 1991, importante sia per le dimensioni che per la radicalità dei contenuti. E' comunque bene ricordare che, in quell'occasione, le strutture del sindacalismo alternativo diedero uno sbocco di lotta ad un movimento molto vasto e composito, che aveva coinvolto la sinistra non di governo, settori del mondo cattolico, gruppi della vecchia e nuova sinistra di ogni genere e tipo, associazioni attive sul terreno sociale, ecc. L'impegno generoso e costante nel suo insieme del movimento libertario su questo terreno, resta un esempio positivo di come si possa, anche a partire da forze inevitabilmente limitate, portare un contributo importante e significativo allo sviluppo di un vasto movimento di opposizione alla guerra.
Ritengo, però, che quella giornata vada posta in relazione con alcune dinamiche sociali e politiche, precedenti e seguenti, altrettanto significative.

Prima

Gli anni '80, gli anni del rampantismo e del craxismo, hanno visto l'intrecciarsi di almeno due importanti percorsi di opposizione del, e nel movimento dei lavoratori:

  • una serie rilevante di mobilitazioni contro il taglio delle garanzie sociali (scala mobile, cassa integrazione, servizi sociali, ecc.), mobilitazioni sostanzialmente controllate dall'apparato di Cgil-Cisl-Uil, ma tali da logorarne la credibilità non foss'altro perchè la ripetuta vicenda di un'offensiva statale e padronale, a cui seguiva una grande mobilitazione e un successivo accordo a perdere, ha indotto gruppi consistenti di lavoratori e di militanti di base ad intraprendere una riflessione seria sull'opportunità di premere dal basso sull'apparato confederale. In questa vicenda, in particolare, è stata fortemente erosa la credibilità della sinistra della Cgil, una sinistra che ha dimostrato una straordinaria capacità di utilizzare le lotte dei lavoratori per trattare, da posizioni di una qualche forza, la quota di posti che le spetta all'interno dell'apparato sindacale;
  • l'entrata in lotta, al di fuori del controllo dell'apparato confederale, di diversi settori di lavoratori e, in particolare, di quelli della scuola che hanno dato vita, fra il 1986 ed il 1988, al movimento dei comitati di base; delle ferrovie che, come i macchinisti, si sono dati strutture organizzative e di lotta indipendenti, come il Comu (Coordinamento Macchinisti Uniti). Si tratta di vicende sufficientemente note e su cui non è possibile tornare in questa sede; basta ricordare che è possibile lottare al di fuori del controllo di Cgil-Cisl-Uil e che, anzi, è necessario farlo, se si vogliono difendere rivendicazioni significative, che settori importanti del lavoro salariato hanno maturato una rottura con il sindacalismo di stato, non solo nei termini dell'agitazione su questioni particolari, ma in quello di un'autonoma progettualità ed identificazione dei propri interessi. In buona sostanza, il fenomeno Cobas ha determinato un mito sociale abbastanza significativo da rendere credibile la proposta di stabili organizzazioni alternative ai sindacati istituzionali. D'altro canto organizzazioni esterne a Cgil-Cisl-Uil già esistevano negli anni '8O ed hanno trovato nelle dinamiche che ho poveramente ricordato, un'occasione di crescita e radicamento sui posti di lavoro.

Dopo

Lo sviluppo del sindacalismo alternativo è, per certi versi, da collocarsi nell'ambito dell'opposizione di ampi settori salariati alla politica dei governi tecnici, che hanno caratterizzato la fine della prima repubblica e la nascita della seconda, con una continuità di tutto rispetto. Mi riferisco ai governi Amato, Ciampi e Dini ed alla straordinaria accelerazione che hanno dato alle politiche di taglio del salario, delle pensioni, dei sevizi sociali, dei diritti dei lavoratori.
Questi tre governi, l'effimero governo del Cavalier Berlusconi meriterebbe un discorso a parte, hanno potuto godere di un appoggio da parte del sindacato di stato, ampio e condizionato solo dalla garanzia del monopolio della rappresentanza della forza lavoro, a volte entusiasta. Le ragioni di una scelta di Cgil-Cisl-Uil che può apparire per certi versi persino esagerata sono molte e hanno a che fare, sostanzialmente, con l'autonomizzarsi degli interessi dell'apparato sindacale rispetto a quelli dei lavoratori che pretende di rappresentare.
Nel corso di questi anni i lavoratori dipendenti hanno dato vita a diversi momenti di mobilitazione di massa di notevole vivacità. Basti pensare alla settimana dei bulloni nell'autunno del 1992 ed agli scioperi contro il taglio delle pensioni nell'autunno del 1994, solo per fare due esempi significativi.
Attraverso quest'assieme di esperienze e, soprattutto, la lotta quotidiana sui luoghi di lavoro, il sindacalismo di base ha cominciato ad assumere una più compiuta identità, a sperimentare limiti e difficoltà nella propria azione, a porsi nuovi problemi.

Proverò a riassumere quelli che mi sembrano essere alcuni punti fermi maturati in questa esperienza:

  • Cgil-Cisl-Uil sono irriformabili, sono un pezzo dell'apparato dello stato ed hanno un rapporto organico con il padronato. La sinistra sindacale, al di là delle intenzioni dei suoi singoli esponenti, è condannata ad un ruolo subalterno rispetto ad una politica che non deriva da errori o tradimenti dei dirigenti ma dalla natura sociale delle organizzazioni in cui opera. E' importante rilevare che questo convincimento non caratterizza minoranze ideologizzate, ma è ampiamente diffuso fra i lavoratori che aderiscono ai sindacati alternativi e, per la verità, fra molti lavoratori che, per diverse ragioni, non hanno ritenuto di fare questa scelta;
  • è necessaria un'organizzazione ampia, capace di attrarre vasti strati di lavoratori e di fornire loro un punto di riferimento stabile. Quest'organizzazione deve essere significativamente diversa da quelle tradizionali. E', di conseguenza, necessaria una nuova confederazione che non esprima solo gli interessi dei lavoratori a livello di categoria e di comparto, ma sappia condurre iniziative generali e strutturarsi a livello nazionale e, in tendenza, sovranazionale. Quest'organizzazione deve essere, nel contempo, democratica ed efficiente e, di conseguenza, differenziandosi dai comitati di base, intesi come puri organismi che si sviluppano nelle singole lotte o come gruppi di agitazione di carattere generale.

Oggi

E' un fatto evidente che il sindacalismo di base non è riuscito a dare vita ad un'unica centrale sindacale nei quattro anni passati. Molto schematicamente, possiamo individuare diversi poli aggregativi:

  • la Confederazione Unitaria di Base (C.u.b.) sorta soprattutto su impulso della Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti (Flmu) e delle Rappresentanze di Base nel pubblico impiego (Rdb), che ha visto lo svilupparsi di diverse altre federazioni di categoria in diversi settori (trasporti, scuola, chimici, informazione, postali, ecc.). La C.u.b. si caratterizza forse per una più accentuata caratterizzazione come sindacato strutturato, per una forte differenziazione rispetto a Cgil-Cisl-Uil, per la presenza al suo interno di una discussione molto aperta sul modello organizzativo che deve darsi e sul percorso che la deve caratterizzare;
  • il Sindacato Lavoratori Autorganizzati Intercategoriale-Cobas (Slai-Cobas) presente soprattutto nell'Alfa di Arese e nell'Alfa Sud, ma diffuso in molte aziende. Si tratta di un'organizzazione per certi versi meno strutturata e più fondata sull'attività dei collettivi locali e, per altri, più legata ad una dialettica con la sinistra della Cgil e con settori di Rifondazione Comunista. In particolare, lo Slai-Cobas si è differenziato dalla Cub per la scelta di partecipare all'elezione delle Rappresentanze Sindacali Unitarie (Rsu), elezione organizzata dai sindacati istituzionali sulla base dell'accettazione degli accordi del luglio 1992 e 1993 e della riserva di un terzo dei delegati a Cgil-Cisl-Uil;
  • -l'Associazione per la Rappresentanza delle Confederazioni Autogestite (Arca), che raccoglie il Sindacato di Base (Sdb) sorto da una scissione delle Rdb, l'Unicobas e alcuni sindacati dell'Unione Sindacale Italiana (Usi). Si tratta di una nuova aggregazione che sembra, per ora, essere più un patto federativo che una nuova confederazione.

Esistono diverse altre strutture di base, il Comu nelle ferrovie, i Cobas della scuola, ecc. oltre, naturalmente, all'Usi, il tradizionale sindacato libertario, che sta vivendo una vivace discussione in merito alla scelta di alcuni suoi sindacati di aderire all'Arca.
Questa frammentazione ha diversi motivi: il legame con aree politiche differenti, la pratica di modelli organizzativi di tipo diverso, la difficoltà a costruire un'ipotesi unitaria sufficientemente convincente per tutti i settori del sindacalismo di base.
Al di là di questioni pur rilevanti, come i soliti e tradizionali giochi politici e personali di settori militanti che si sono impegnati sul terreno del sindacalismo alternativo, vi sono alcune questioni di carattere generale che meritano una riflessione specifica.

Domani?

Quando parliamo di sindacalismo alternativo, indipendente e di base usiamo una definizione assolutamente imperfetta. Alternativo a Cgil-Cisl-Uil vuol dire qualcosa in negativo ma non molto in positivo. La scelta di non definire questi sindacati come autonomi si basa sul rifiuto del corporativismo di tipo categoriale, ma ancora non dice molto sulle prospettive del sindacalismo di base. L'indipendenza da stato, padroni e partiti rivendicata con chiarezza dalla Cub e meno dallo Slai-Cobas, almeno per quel che riguarda i partiti, può essere intesa sia come il semplice rifiuto di funzionare come cinghia di trasmissione di un partito, lasciandosi le mani libere per quel che riguarda i rapporti con le istituzioni, sia come affermazione dell'indipendenza radicale dei lavoratori nei confronti dell'ordine sociale esistente. Quando poi ci si riferisce al potere della base, ci si trova in una situazione, a dir poco, delicata. Se infatti, prendiamo alla lettera questa definizione, dovremmo ipotizzare un sindacato basato sull'autonomia delle assemblee dei lavoratori, su di una capillare militanza degli iscritti sui posti di lavoro e nella società e sul massimo decentramento possibile del potere decisionale.
In realtà è un fatto sin troppo evidente che una struttura stabile richiede risorse certe (tessere), competenze consolidate, continuità nel lavoro di consulenza, capacità di gestire vertenze, ecc. Tutte queste necessità vengono soddisfatte mediante l'esistenza di un numero, limitato, di funzionari, distaccati, militanti o non vengono soddisfatte. Si determina, di conseguenza, una gerarchia formale od informale, poco importa approfondire questo tema in questa sede, fra quadro attivo dell'organizzazione e sua base. Naturalmente, sarebbe sbagliato affermare che il sindacalismo di base ha gli stessi problemi e le stesse caratteristiche di quello di stato sia perchè non è integrato nell'apparato statale e non vede la presenza di un ceto di decine di migliaia di funzionari con interessi propri, sia perchè, comunque, aggrega settori di lavoratori sufficientemente combattivi da garantire una pratica diversa rispetto a quella tradizionale.
Il problema dell'esistenza di un embrione e di una sua possibile crescita e degenerazione comunque esiste e non potrà che porsi ancora di più nel caso di uno sviluppo importante di quest'esperienza.

In estrema sintesi, possiamo definire diversi approcci a quest'ordine di questioni:

  • in primo luogo, i militanti del sindacalismo di base, si dividono fra chi lo pone e chi, in realtà, lo dà per risolto. In altri termini avviene che molti militanti, anche perchè logorati dal lavoro quotidiano, tendano a dare per scontata la loro separatezza psicologica, culturale, esistenziale dal lavoratore medio e ad assumersi il compito di far funzionare le loro organizzazioni come un carico di lavoro, una responsabilità, la fonte di un piccolo o grande potere. A maggior ragione questo processo si dà per militanti di formazione tradizionale, siano sindacalisti puri o membri di gruppi autoritari, ma non sarebbe esatto ridurre la questione ai convincimenti politici, perchè si può diventare un burocrate anche a partire da convincimenti libertari o criticare la burocrazia anche se si ha fiducia nel parlamentarismo;
  • un contravveleno ai percorsi di integrazione e burocratizzazione del sindacalismo alternativo, può consistere nella pratica rigorosa dell'indipendenza dalle controparti. In altri termini, nel rifiuto di utilizzare strumenti, magari comodi ed utili, di azione sindacale che implicano la subordinazione alle pretese e agli interessi degli avversari. Basti pensare alla firma di contratti dannosi ai lavoratori, firma che garantisce diritti alle organizzazioni che vi si prestano, nel mentre vanifica la loro pretesa di essere radicalmente diverse dai sindacati tradizionali. Quale sia un punto di equilibrio ragionevole ed efficace, fra l'esigenza di avere spazi per condurre la propria azione quotidiana (diritto di indire assemblee, possibilità di affiggere materiale, possibilità di usufruire di permessi, ecc.), affiggere materiale e di avere informazioni puntuali e quella di costruire un'esperienza veramente autonoma dalla controparte, non è facile definirlo in astratto. Si tratta, di conseguenza, di sottoporre le diverse attività del sindacalismo di base ad un controllo puntuale ad opera dei lavoratori coinvolti e di trovare i mezzi perchè questo controllo non sia puramente nominale. Certo è che se la prima esigenza diventa la sopravvivenza formale dell'organizzazione, ne è garantita la morte reale;
  • una pratica come quella a cui ho alluso rimanda alla questione del federalismo per quel che riguarda l'organizzazione. Ancora una volta, non esiste una formula perfetta; il federalismo organizzativo, se inteso come puro decentramento degli ambiti di decisione, non fa che raccorciare la distanza fra dirigenti e diretti, ma non l'elimina nè la mette in crisi. Un capetto aziendale non è, in linea di principio, migliore di un capo nazionale. Inoltre, un'organizzazione molto frammentata a livello aziendale e locale lascia, nei fatti, mano libera a chi ne controlla il coordinamento centrale. Un reale percorso federalista prevede, di conseguenza, almeno un suo riferirsi ai lavoratori e non a i soli militanti; l'effettiva circolazione delle informazioni sulle attività dell'organizzazione in modo tale che chiunque ne senta l'esigenza possa parteciparvi; l'esistenza di ambiti decisionali formali che controllino le risorse. L'opzione federalista può svilupparsi solo se si lega ad un'identità forte dell'organizzazione sindacale, alla sua reale autonomia nelle lotte e nell'elaborazione.

Il sindacato di base non può essere pensato e praticato come una struttura subalterna a correnti politiche organizzate, pena il suo impoverirsi, il suo ridursi ad una riedizione di Cgil-Cisl-Uil, magari sotto la direzione di Rifondazione Comunista. Su questo terreno è necessaria una battaglia culturale di notevole spessore che combatta a fondo le tradizionali visioni della pratica sindacale.

In guisa di conclusione

A fine marzo si terrà la prima assemblea nazionale della Cub. Si tratta di una scadenza importante per la Cub stessa che potrà, finalmente, discutere in una sede pubblica e formale il proprio percorso e le proprie scelte di fondo, ma interesserà anche l'assieme del sindacalismo di base a cui potrà essere, nell'ipotesi migliore, quella per la cui realizzazione dobbiamo lavorare, essere lanciato un segnale unitario.
In particolare si discuterà la posizione della Cub sulla firma dei contratti, visto che le Rappresentanze di Base, nella passata contrattazione, hanno deciso di firmare tutti i contratti che potevano firmare, sulla base dell'attuale legislazione sindacale, ivi compreso quello della scuola, in cui la Cub è presente con la Federazione Lavoratori della Scuola Uniti, che si è opposta a questa firma. Si è trattato di una scelta grave che vede il disaccordo di molte federazioni della Cub e sarà necessario un confronto senza diplomatismi su questo argomento. Si dovrà decidere, inoltre, quale modello organizzativo dovrà prendere la Cub, centralista o federalista. Come credo sia reso evidente da quanto ho sinora scritto, io ritengo necessaria una scelta federalista, tutta da discutere e definire nei dettagli, ma chiaramente fondata su precise ipotesi di fondo.
Molti altri temi verranno affrontati e diverse decisioni importanti saranno prese e ritengo che il contributo di tutti i compagni impegnati sul terreno sindacale o, comunque, interessati al suo evolvere, sia straordinariamente opportuno.