Rivista Anarchica Online
La grande discarica dell'immaginario
di Filippo Trasatti
Come si fa oggi a parlare male di televisione senza correre il rischio di essere confusi con
il papa di Roma o con quel papa
della scienza che era Karl Popper? E d'altro canto come si fa a non parlarne? Bisogna essere ciechi per non vedere entrando
nelle case degli altri, passando sotto le finestre delle case delle nostre città, quel bagliore azzurrognolo che illumina
le case.
In particolare chi frequenta minimamente bambini e adolescenti, per tacer degli adulti, non può che rimanere
esterrefatto
davanti alla potenza del mezzo che ha creato un mondo parallelo incantato all'interno del quale si è come
paralizzati. Chi
non condivide questo mondo viene guardato con sospetto come un alieno dai più piccoli, come spocchioso
intellettualino
dai più grandi. In questo nuovo mondo vanno a finire i rifiuti ideologici e immaginari della nostra grande
società dello
spettacolo e da lì rifluiscono riciclati nell'immaginario dei miliardi di telespettatori. Quello che Guy Debord
chiamava lo
«spettacolo» è appunto questo nuovo mondo che lega gli individui ridotti ad atomi come una nuova religione.
Quando
l'immagine costruita e scelta da qualcun altro è diventata il rapporto principale dell'individuo con il mondo, che
egli prima
guardava da sé da ogni luogo in cui poteva andare, evidentemente non s'ignora che l'immagine reggerà
tutto; perché
all'interno di una stessa immagine si può giustapporre senza contraddizioni qualsiasi cosa.» (Commentari alla
società dello
spettacolo, Sugarco, Milano, 1990) La politica italiana degli ultimi anni potrebbe mostrarlo agevolmente. La sinistra ha
dimostrato di essere rimasta al palo sul piano della comunicazione spettacolare, legata alla tesi della manipolazione che
è troppo semplicistica. Ci si ferma cioè al piano dei contenuti , manifesti o occulti che siano. È
invece molto più profonda
l'influenza dello spettacolo che non si limita affatto a dirigere le scelte politiche ed economiche dei consumatori, ma
riplasma la loro vita. I varietà, le telenovela, i cartoni animati per i bambini, costruiti per vendere e divertire, creano
dei
contesti d'esperienza in cui si apprende un nuovo modo di vedere e direi di sentire il mondo, di vivere l'intensità.
La
regolazione delle intensità nel corpo , nelle passioni, ha un'importanza straordinaria nel controllo biopolitico.
È importante
che il comando s'innervi direttamente lungo le vie nervose del corpo: calamitati gli occhi, bloccato il corpo sulla poltrona,
si opera in anestesia quasi totale. Il cyberpunk rende conto in termini letterali di questa operazione di innesto che avviene
quotidianamente, come pure delle operazioni di risettaggio della memoria, di cauterizzazione dei neuroni. Nel mitico saggio
di Hans Magnus Enzesberger Il vuoto perfetto (ripubblicato in una raccolta di suoi saggi dal titolo un po' fuorviante: Per
non morire di televisione, Lupetti & Co, Milano, 1990) si dicono le stesse cose da un punto di vista diverso: la
televisione
è il nulla; è lo strumento tecnico che rende finalmente possibile l'avvicinamento delle masse al nirvana.
Il modello perfetto
e irraggiungibile a cui tende la televisione sarebbe il Quadrato nero di Malevic. Lo spettatore si coalizza con
l'industria
in un programma comune: l'assenza del programma.» Assai lungi dal lasciarsi manipolare (educare, informare, formare,
illuminare, ammonire) egli manipola il medium per imporre i propri desideri. Chi non si sottomette ad essi viene punito
attraverso i tasti con la revoca dell'audience; chi li soddisfa viene ricompensato con quote eccellenti. Lo spettatore si
è
completamente reso conto di non aver a che fare con un mezzo di comunicazione ma con un mezzo per il rifiuto della
comunicazione e in questa convinzione non si lascia scuotere» (Enzesberger, p.23). Chi non si sottomette a questo
imperativo deve pagare l'isolamento. Per convincersene basta tra le persone che si conoscono fare il seguente esperimento.
È un paradosso cercare di comunicare attraverso i mass media che questi sono strumenti di cancellazione della
comunicazione. C'è stata intorno a questo evento per anni una grande congiura del silenzio.Una
responsabilità culturale
e politica enorme hanno quegli intellettuali che hanno giocato alla corte ricca dei media, salvo poi pentirsi. Come ci ricorda
Debord «lo stesso McLuhan, il primo apologeta dello spettacolo che sembrava l'imbecille più convinto del suo
secolo, ha
cambiato parere scoprendo finalmente nel 1976 che alla pressione dei mass-media porta all'irrazionaletà e sarebbe
diventato urgente moderare il loro uso»(Debord, p.36). Ed ecco che vent'anni più tardi i papi si ritrovano sulla linea
del
pentimento del pensatore di Toronto: cercano di sottrarci alla religione del non programma della televisione, per riportarci
entro l'orto seminato della Chiesa e della Scienza. Ci sono altre strade da cercare: uscire dal giro, sconnettersi, ritornare
singolarità e poi ricreare i legami; in questo movimento alternato di isolamento e nuovi collegamenti è una
delle leve della
nostra libertà. Il situazionismo e il cyberpunk hanno ancora molto da insegnarci oggi. Una conclusione tragica,
dedicata
a Guy Debord: «non c'è da stupirsi che fin dall'infanzia gli scolari comincino facilmente e con entusiasmo dal
sapere
assoluto dell'informatica: mentre ignorano sempre di più la lettura, che richiede un autentico giudizio ad ogni riga;
e che
è l'unica attività che permette di accedere alla vasta esperienza umana prespettacolare. perché la
conversazione è quasi
morta e presto lo saranno molti di quelli che sapevano parlare».
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