Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 225
marzo 1996


Rivista Anarchica Online

De André l'esploratore
di Valerio A. Scrima

Fa piacere venire a conoscenza che, quanto meno in potenza, i testi delle canzoni di Fabrizio de André, inseriti in alcune antologie scolastiche, sostituiscono le poesie barbose studiate dalla mia generazione e così vengono offerte ai giovani. Dico in potenza perché non è detto che i docenti colgano il valore poetico di «canzonette, e non solo», evitando di far fare a Marinella la stessa fine della «donzelletta che vien dalla campagna»... Ricordo che nel mio diario liceale, auto-progettato verso la metà degli anni '70, inserivo brani di canzoni di De André, che mi hanno accompagnato nella mia formazione. Altri includevano Francesco De Gregori, Claudio Lolli, Lucio Dalla, Giorgio Gaber (altro mio preferito); veri e propri testi di maturazione culturale e, perché no, di stilizzazione esistenziale. Nulla a che vedere con il desolante mutismo solipsistico degli stemmi e delle sigle, sia pur legate al rock dei giorni nostri, in voga nei diari prodotti commercialmente in funzione di marketing musicale. Ritrovare, nel libro di Doriano Fasoli (Fabrizio De André, La cattiva strada. Da Carlo Martello a Don Raffaé, discografia completa a cura di Luciano Ceri (1958-1991), Edizioni Associate, Roma, 1995, pp.280, lire 29.000) l'intera discografia di De André, canzone dopo canzone, è una bella lettura, di quelle che riconcilia la memoria, sempre un po' nostalgica quando si ritorna alla freschezza dell'adolescenza, e sia pure negli anni settanta, con la scoperta di sensi nuovi che emergono con il passare del tempo. Ieri, infatti, di De André si apprezzava il cantautore engagé di Storia di un impiegato, il fine dicitore antimilitarista della Guerra di Piero e della Ballata dell'eroe, il feroce dissacratore di costumi piccolo borghesi universali (che raggiunge il culmine nel recente Nuvole), il ritrattista appassionato di Non al denaro né all'amore né al cielo in omaggio a Spoon River di Edgar Lee Masters. Nel libro di Fasoli, Fernanda Pivano rievoca la commozione dell'incontro con De André, lei prima traduttrice di Masters, lui poeta reinterprete della sua poesia; così come, insieme ad altre, sorprende leggere una affettuosa testimonianza di Paolo Villaggio con il quale De André compose Carlo Martello. Oggi, si riscopre l'acuto studioso di lingue e sonorità mediterranee, l'attento scrutatore dell'animo umano (mai così sondabile, e tanto facilmente, come appare leggendo i versi delle canzoni), il rifacitore di tante ballate epiche, da Francois Villon a Georges Brassens, da Leonard Cohen a Bob Dylan. Queste sfaccettature si intrecciano nel tempo, alternando furore e ironia, sarcasmo contro i potenti e solidarietà, meglio, attenzione rispettosa verso i deboli, i vinti della vita, i reietti discriminati (l'amore per la figura della prostituta, ad esempio, tocca corde ingessate dal conformismo ipocrita imperante). Vena romantica e iconoclasticismo si confondono creando una poesia realmente musicale, anche quando dei motivi si fa fatica a ritrovare memoria. Così, anche per chi non è genovese o sardo, provenzale o magrebino, la medesima brezza marina accomuna nord e sud dei mondi esplorati da De André, che nell'intervista con l'autore si nuda, una volta tanto, con quel pudore di sé che costituisce la cifra, in ultima analisi, del suo sguardo libertario su un mondo di cui ci auguriamo che non bruci sotto la maestà di un sole talvolta troppo accecante.