Rivista Anarchica Online
De André l'esploratore
di Valerio A. Scrima
Fa piacere venire a conoscenza che, quanto meno in potenza, i testi delle canzoni di Fabrizio
de André, inseriti in alcune
antologie scolastiche, sostituiscono le poesie barbose studiate dalla mia generazione e così vengono offerte ai
giovani. Dico
in potenza perché non è detto che i docenti colgano il valore poetico di «canzonette, e non solo», evitando
di far fare a
Marinella la stessa fine della «donzelletta che vien dalla campagna»... Ricordo che nel mio diario liceale,
auto-progettato
verso la metà degli anni '70, inserivo brani di canzoni di De André, che mi hanno accompagnato nella mia
formazione. Altri
includevano Francesco De Gregori, Claudio Lolli, Lucio Dalla, Giorgio Gaber (altro mio preferito); veri e propri testi di
maturazione culturale e, perché no, di stilizzazione esistenziale. Nulla a che vedere con il desolante mutismo
solipsistico
degli stemmi e delle sigle, sia pur legate al rock dei giorni nostri, in voga nei diari prodotti commercialmente in funzione
di marketing musicale. Ritrovare, nel libro di Doriano Fasoli (Fabrizio De André, La cattiva
strada. Da Carlo Martello
a Don Raffaé, discografia completa a cura di Luciano Ceri (1958-1991),
Edizioni Associate, Roma, 1995, pp.280, lire
29.000) l'intera discografia di De André, canzone dopo canzone, è una bella lettura, di quelle che riconcilia
la memoria,
sempre un po' nostalgica quando si ritorna alla freschezza dell'adolescenza, e sia pure negli anni settanta, con la scoperta
di sensi nuovi che emergono con il passare del tempo. Ieri, infatti, di De André si apprezzava il cantautore
engagé di Storia
di un impiegato, il fine dicitore antimilitarista della Guerra di Piero e della Ballata dell'eroe,
il feroce dissacratore di
costumi piccolo borghesi universali (che raggiunge il culmine nel recente Nuvole), il ritrattista appassionato
di Non al
denaro né all'amore né al cielo in omaggio a Spoon River di Edgar Lee Masters. Nel libro
di Fasoli, Fernanda Pivano
rievoca la commozione dell'incontro con De André, lei prima traduttrice di Masters, lui poeta reinterprete della sua
poesia;
così come, insieme ad altre, sorprende leggere una affettuosa testimonianza di Paolo Villaggio con il quale De
André
compose Carlo Martello. Oggi, si riscopre l'acuto studioso di lingue e sonorità mediterranee, l'attento
scrutatore dell'animo
umano (mai così sondabile, e tanto facilmente, come appare leggendo i versi delle canzoni), il rifacitore di tante
ballate
epiche, da Francois Villon a Georges Brassens, da Leonard Cohen a Bob Dylan. Queste sfaccettature si intrecciano nel
tempo, alternando furore e ironia, sarcasmo contro i potenti e solidarietà, meglio, attenzione rispettosa verso i
deboli, i vinti
della vita, i reietti discriminati (l'amore per la figura della prostituta, ad esempio, tocca corde ingessate dal conformismo
ipocrita imperante). Vena romantica e iconoclasticismo si confondono creando una poesia realmente musicale, anche
quando dei motivi si fa fatica a ritrovare memoria. Così, anche per chi non è genovese o sardo, provenzale
o magrebino,
la medesima brezza marina accomuna nord e sud dei mondi esplorati da De André, che nell'intervista con l'autore
si nuda,
una volta tanto, con quel pudore di sé che costituisce la cifra, in ultima analisi, del suo sguardo libertario su un
mondo di
cui ci auguriamo che non bruci sotto la maestà di un sole talvolta troppo accecante.
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