Rivista Anarchica Online
Il fabbro Bakunin
di Pino Cacucci
Da qualche tempo abbiamo notato un risveglio di interesse per i testi
dell'anarchismo da parte dell'editoria più
varia, e senza scervellarci troppo sui motivi (effetto traino del vortice librario su Che Guevara e, di conseguenza,
ricerca di altri «eroi» puri e irriducibili? Schifo generalizzato per il politicantame istituzionale? Bisogno di fornire
basi teoriche al proprio istinto antiautoritario? eccetera eccetera...) credo sia comunque un fenomeno salutare la
divulgazione al di là dei ristretti circuiti militanti. La Feltrinelli, dopo ventiquattro anni, riporta in libreria
Stato
e Anarchia di Michail Aleksandrovic Bakunin, (Feltrinelli, pp. 255 L. 13.000)
nella stessa traduzione dal russo
che ne fecero i compagni Nicole Vincileoni e Giovanni Corradini. Un motivo di particolare interesse è
l'introduzione di Maurizio Maggiani, scrittore quarantacinquenne che nel suo più recente romanzo
Il coraggio
del pettirosso ha raccontato la saga di personaggi libertari che, come i pettirossi, «arrancano di
sghimbescio ma
alla fine hanno ragione del re degli uccelli, il signor falchetto con tutte le sue gazze». In buona parte delle
suggestive cinque pagine introduttive, Maggiani ricorda un «Bakunin» del suo paese
(Castelnuovo Magra), soprannome del fabbro Egidio, figura di vecchio anarchico che «aveva combattuto contro
tutti i tiranni dall'Ottocento in poi e aveva conosciuto tutte le galere, in Italia e all'estero». Egidio vulgo
Bakunin
è un arguto espediente letterario per descrivere, attraverso ricordi divertiti ma anche velati di
rimpianto, la
diversità degli anarchici rispetto a quanti «fanno politica» senza però vivere coerentemente
secondo gli ideali
propugnati; il fabbro Egidio morì ultranovantenne, e ai suoi funerali andarono tutti trasformandoli in una
grande
festa (con tanto di banda di ottoni da Carrara), perché da vivo aveva saputo guadagnarsi il loro rispetto;
ricreando
l'aura mitica del «profeta e maestro di libertà» Michail Bakunin, lo scrittore riscatta la memoria di
quell'Egidio
«ometto così piccolino» simbolo di tanti libertari che hanno lasciato una traccia indelebile in chi li ha
conosciuti,
pur conducendo un'esistenza dimessa, schiva, quasi silenziosa (persino dalla sua officina di fabbro, non
provenivano clangori ma «suoni tintinnanti e argentini», perché Egidio lavorava di fino anche con il
martello in
pugno...). Gosudarstvennost'i Anarchija fu scritto nel 1873, stampato in russo a Zurigo da un
gruppo di esuli (alcuni
rocambolescamente evasi dalle prigioni zariste) e pubblicato senza il nome dell'autore, riuscendo a diffondersi
clandestinamente in Russia soprattutto tra gli studenti. Influenzò profondamente la gioventù
rivoluzionaria di fine
secolo, nonostante l'avversione di Marx, che aveva letto puntigliosamente il testo annotando nell'ultima pagina
un semplice quanto saccente «No, mio caro». E la prefazione di Maggiani si conclude proprio con «Come no,
mio
caro, come no». Recentemente, il vicecomandante Marcos, ricordando i primi anni sulle montagne del Chiapas,
ha detto: «Leggevo testi sul materialismo storico, e intanto perdevo il contatto con il lato magico della vita». Gli
indios zapatisti, tradizionalmente e istintivamente libertari, gli avrebbero insegnato la «magia» che è parte
dell'esistenza, quella che nella nostra lingua fa anche rima con utopia. E utopia non significa «irrealizzabile»,
bensì qualcosa «che non si è ancora realizzato». L'estinzione dello stato risulta dunque
un'utopia, ma per noi, qui, cioè in questa Europa di fine millennio. Altrove,
come per esempio in una vasta zona del sud est messicano, lo Stato costituisce una minaccia esterna da tenere a
bada, da respingere con la mobilitazione in armi e con la sensibilizzazione diffusa non solo al di là del
territorio
liberato, ma anche a livello internazionale. Laggiù, non hanno avuto bisogno dei supporti teorici di Marx,
e
neppure di quelli di Bakunin. Però, guarda caso, in un recente comunicato dell'Ezln, in cui
si salutavano i
partecipanti all'incontro per l'umanità e contro il neoliberismo, venivano citati Ricardo e Enrique Flores
Magón,
che nella Rivoluzione messicana seminarono l'ideale dell'anarchismo auspicando l'estinzione dello stato.
Nell'opera di Bakunin, si legge tra l'altro: «Dicono (i marxisti) che questo giogo dello stato, questa dittatura,
è
una misura transitoria necessaria per poter raggiungere l'emancipazione integrale del popolo (...). E così,
per
emancipare le masse popolari, si dovrà prima di tutto soggiogarle». A rischiarare questo fine millennio
neoliberista - dove lo stato si affievolisce solo per lasciare campo libero a banchieri, speculatori di borsa e
multinazionali neoschiaviste, per poi mettere a loro disposizione l'apparato repressivo ovunque ne abbiano
bisogno - ci sono quegli uomini e donne irriducibili, che continuano a considerare lo stato e le sue emanazioni
come antitesi della libertà e della stessa sopravvivenza. L'anarchia saranno ancora lontani dal realizzarla,
ma
nessuno può più propinargli la favola nefasta di una «dittatura necessaria e transitoria» per
raggiungere lo scopo.
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