Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 1 nr. 3
aprile 1971


Rivista Anarchica Online

Emigrante o Spallone
di Gianluigi Cereda

Il sottosviluppo della Valtellina

"I miei più grandi nemici sono il freddo e lo Stato. E se il freddo passa, lo Stato non passa mai, e lo abbiamo sempre alle calcagne, con le sue guardie di finanza ed i suoi maledetti cani".
Chi parla così è uno spallone, cioè un contrabbandiere della Valtellina, uno dei tanti valligiani che sono costretti dalla mancanza di lavoro a trasformarsi in bestia da soma, trasportando per pochi soldi pesanti sacchi pieni di caffè, di sigarette, o di altra merce illegalmente importata.
"Per noi spalloni, anche nel contrabbando, ci sono solo fatiche, rischi, ricatti, intimidazioni,... Pensa che per un sacco di caffè vige questa spartizione: un quinto allo spallone, un ventesimo alla finanza, il resto al boss, allo sfruttatore. E per meritarsi questo quinto bisogna percorrere chilometri e chilometri sulla neve e sul ghiaccio, in alta montagna, guadare torrenti semi-ghiacciati, sempre con il rischio di lasciarci la pelle precipitando in qualche burrone senza alcuna possibilità di chiedere aiuto; e tutto ciò con temperature quasi polari, con il vento gelido che ti trafigge le ossa. Si ti ammali, poi, non c'è naturalmente né mutua né altra assistenza, e ti ritrovi solo come un cane, e forse anche peggio. Infatti, dopo essere stato costretto a fare lo spallone da una società che non ha mai fatto niente per te se non farti inseguire qualche volta dai suoi cani-poliziotto, ti ritrovi isolato, e così ti spediscono in carcere o al riformatorio", (molti spalloni, infatti, sono giovanissimi).

L'emigrazione

Lo spallone, dunque, è messo ai margini della "vita civile" dalle autorità, dalla classe media, da tutti i "benpensanti"; eppure la sua situazione non è che la diretta conseguenza del sottosviluppo dell'intera provincia di Sondrio, che comprende, appunto, la Valtellina. Nascere qui da una famiglia povera significa, nella maggioranza dei casi, dover scegliere fin da giovani fra la vita degli spalloni e quella degli emigranti. L'emigrante è, in Valtellina, una figura ben definita; spesso fa il pendolare, parte cioè il lunedì e torna a casa la domenica, oppure fa lo stagionale, costretto così ad assentarsi per lunghi periodi dal suo ambiente. Molte volte lo stagionale è poi addetto a lavori molto duri in alta montagna, dove è costretto a vivere in misere baracche ed a costruire le strade turistiche. In altri casi si riduce a vivere nei ghetti delle città, sempre circondato da una barriera di incomprensione e di razzismo, in condizioni di poco migliori di quelle dalle quali ha cercato di sfuggire: e non si tratta certo di un fenomeno saltuario od isolato. Su 150.000 abitanti della Valtellina, infatti, si contano circa 8.000 emigranti, cosicché la provincia di Sondrio occupa il quarto posto nella graduatoria relativa al flusso migratorio, dopo quelle di Lecce, Belluno ed Avellino; in paese rimangono così solamente donne, vecchi e bambini. Nel paese di Grosio, per esempio, si possono contare ben 800 emigranti su una popolazione di 5.000 abitanti; a Vervio, nel decennio 1951-61, la popolazione è scesa da 841 a 456 abitanti, mentre nel paesino di Menarola il calo nello stesso periodo è stato da 271 a 154. Ma quello che colpisce ancora di più è la situazione igienico-sanitaria: in molti, troppi centri della provincia di Sondrio l'acqua corrente, la stessa schifosa latrina sono un lusso, un privilegio per pochi eletti. Tutto ciò è diretta conseguenza delle scelte politiche delle autorità, dei notabili democristiani al servizio dei padroni, che hanno tutto l'interesse a che nella valle non vi sia altro che carne da esportazione per il mercato del lavoro della Svizzera o di Milano e che, nel contempo, si continui a lavorare minimi appezzamenti di terra, appiccicati alla montagna, che offrono solamente il minimo di sussistenza.

La strada non basta

Nell'agricoltura, infatti, esiste uno spezzettamento della proprietà, cosicché su una popolazione di circa 150.000 abitanti, vi sono 22.774 aziende agricole, con una dimensione media di 3 ettari. Significativo è il fatto che l'incidenza della manodopera femminile nel lavoro agricolo sia superiore al 65%; questo avviene perché la maggior parte degli uomini, per trovare lavoro, è costretta ad emigrare. La necessità di lavorare, di trovare un qualsiasi lavoro pur di sopravvivere, è tale che le donne, continuamente idealizzate nelle chiese come "gli angeli del focolare", costituiscono circa un terzo degli spalloni, costrette anch'esse a lunghi ed estenuanti percorsi con il pesante sacco in spalla. Migliori prospettive non si aprono nemmeno dinnanzi a chi lavora nelle piccole aziende artigianali della stessa Valtellina; se non si vuole emigrare o fare i contrabbandieri, bisogna accettare sovente di lavorare per 10-12 ore al giorno, per ricevere un salario di 40-50.000 lire o poco più. Il contrabbando, comunque, resta spesso una scelta obbligata, favorita dal fatto che un chilogrammo di caffè costa meno di ottocento lire in Svizzera, e oltre duemila in Italia; questo spiega quanto guadagnino i veri responsabili del contrabbando, cioè i vari notabili in doppiopetto che, mascherandosi dietro una facciata "onorata e rispettabile", tirano le fila di questa losca attività, certi di restare impuniti. In particolare bisogna considerare che ogni anno escono clandestinamente dalla Svizzera circa cinque milioni di chilogrammi di caffè di cui solo 250.000 sono sequestrati ufficialmente dalla Guardia di Finanza.
Un altro esempio lampante dello sfruttamento della Valtellina da parte delle autorità è la situazione delle risorse idroelettriche; infatti, nonostante la Valtellina produca il 60% dell'energia idro-elettrica lombarda, solo le briciole vengono rese alla Valtellina stessa: o meglio, vengono rese al B.I.M. (Bonifica Idrica Montana), completamente controllato dalle autorità democristiane, che usano tutti questi capitali per aumentare i propri guadagni, fedeli a quella politica di nepotismo tipica del potere politico e di quello ecclesiastico uniti. Le responsabilità di questa situazione di supersfruttamento e di corruzione non derivano certo come vuole far credere certa stampa, dalla mancanza di adeguate vie di collegamento fra Sondrio e il resto della Lombardia. La strada non può bastare a cambiare una situazione drammatica, che ha sempre potuto essere contenuta per la mancanza di una tradizione storica di lotte sociali nella valle. Ma non è detto che questa situazione duri in eterno.

La strada giusta

Anzi, seppure molto lentamente, parte dei valligiani si va rendendo conto ogni giorno di più su chi ricadano le responsabilità di questo stato di cose; ed il continuo, ripetuto rifiuto di molti giovani valligiani di fare il servizio militare (alta percentuale di renitenti e di disertori) è almeno un segno che lo Stato, sempre sentito come un corpo estraneo alla vita della valle, viene finalmente sentito come il nemico principale da abbattere per eliminare lo sfruttamento. È solo un primo segno, ma siamo sulla via giusta.

Gianluigi Cereda