Rivista Anarchica Online
Le casalinghe della rieducazione
di Claudia V.
Ho letto sul secondo numero di "A" l'articolo "Laureato in repressione",
sulla situazione del carcere
minorile "Beccaria" di Milano. L'ho trovato interessante e penso che sia giusto demistificare i moderni
repressori "liberali" per quello che effettivamente sono e non per quello che vorrebbero apparire,
denunciare l'uso repressivo della moderna psicologia, ma non dobbiamo dimenticare che, nel quadro
generale della cosiddetta "rieducazione dei minori", le "aperture liberali" sono ancora una eccezione e
le
situazioni arretrate la regola. L'istituto di Nazareth si differenzia dal nuovo Beccaria per l'arretratezza
dei metodi in esso adottati e la
non-funzionalità, ammessa anche da chi dirige l'istituto stesso, delle sue strutture. La creazione
di questo
istituto ripete i moduli tradizionali con i quali sono stati creati la maggior parte degli istituti oggi esistenti
in Italia: adattamento di un edificio, un tempo adibito a convento, all'accoglimento di ragazze dai 14 ai
18 anni, affidamento del compito di rieducazione a suore appartenenti ad un ordine contemplativo e
totalmente sprovviste di una benché minima preparazione pedagogica e completamente all'oscuro
della
realtà sociale odierna. È più facile quindi colpire un istituto di tal genere
perché mostra contraddizioni tali, che neppure i più
socialdemocratici fautori della assistenza sociale possono accettare. Ma si riscontra in questi ultimi
tempi una tendenza dell'istituto stesso a far passare per metodi pedagogici
più aggiornati, qualche cosa che non è altro che la mistificazione di un pietismo e di un
moralismo di cui
le monache sono imbevute. Se prima esse usavano senza mezzi termini un certo sistema di
imposizione delle pratiche religiose,
l'elencazione rigida di precetti morali da cui non si poteva sgarrare, la preparazione delle ragazze al
tradizionale ruolo di buona madre-donna-di-casa, attraverso corsi di ricamo, cucito, economia domestica,
per cui poteva non essere difficile alle ragazze rendersi conto di un autoritarismo palese e ribellarsi, ora
il discorso si fa più sottile.. Avviene cioè una certa liberalizzazione, viene dato alle
ragazze il permesso di uscire sole o accompagnate
da persone laiche, "fidate", signorine "bene" che diano l'esempio di come comportarsi in società,
entrano
i dischi di musica leggera, viene attenuata la censura sugli spettacoli televisivi, entrano riviste,
naturalmente riviste femminili che propongono un modello artefatto e borghese della donna, a cui tra
l'altro sarà per queste ragazze molto difficile potersi adeguare, visto che non appartengono certo
alla
borghesia. Le monache si sono messe "à la page": non propongono più come
modello di vita ideale la vita claustrale,
ma quello della moglie borghese che si tiene ancora legata ai buoni principi della indissolubilità
del
matrimonio e della procreazione e si assicura così una vita tranquilla, senza problemi
economici. E se si cerca di risolvere loro il problema del lavoro istituendo corsi più
rispondenti alle possibilità di
impiego attuali, questo è fatto solo in vista di una sistemazione provvisoria, in attesa del
matrimonio e con
un preciso indirizzo verso quelli che sono i lavori prettamente femminili (segretarie, parrucchiere,
estetiste, ecc.). Ma per chiarire meglio la distinzione tra questo istituto ed altri in fase di
ristrutturazione, occorre
ricordare le forti opposizioni sostenute dalla direzione nei confronti della proposta fatta da chi vuole
arrivare ad un sistema di assistenza sociale razionalizzato e mistificante, di immissione in esso di
specialisti, quali assistenti sociali, psicologhe, educatrici laiche con una certa preparazione teorica. Questo
per la concezione ancora profondamente radicata che per rimettere sulla "buona strada" queste ragazze
occorra la materna assistenza e soprattutto l'intensa preghiera delle monache che, non per niente si
chiamano "Suore della Riparazione". Qui non siamo ancora alla "laurea in repressione", queste sono
solo le "casalinghe della rieducazione".
Claudia V.
|