Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 5 nr. 41
estate 1975


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Il ruolo politico dell'imprenditore

La nuova ideologia del moderno imprenditore privato è stata tratteggiata con lucidità e chiarezza dal "big boss" italiano Gianni Agnelli. Alla tavola rotonda tenutasi recentemente ad Alpbach in Austria, Agnelli ha svolto una performance da manuale indicando quale ruolo politico l'imprenditore deve assolvere nella società. Non è da oggi che Agnelli ama assumere atteggiamenti "illuminati", e non crediamo neppure che i suoi exploit siano meramente strumentali; anzi, vi ritroviamo sempre una costante che dobbiamo cercare di capire fino in fondo per conoscere e saper valutare la strategia di uno dei maggiori nemici della classe operaia.
A grandi linee il progressismo di Agnelli si riassume in una accorta politica del consenso ("mentre la tecnologia è piuttosto conservatrice nelle sue tendenze generali, le condizioni sociali sono imprevedibili e la stabilità del sistema può solo riposare sul consenso di tutte le parti interessate"), unita ad una visione chiaramente interclassista ("il futuro dell'impresa non risiede solo nel miglior uso delle risorse con il massimo dell'efficienza, ma anche nella cogestione di un processo sociale innovativo, così che la conflittualità permanente delle differenti parti sociali viene presa nel meccanismo di un normale gioco dialettico").
Seguendo le dichiarazioni di Agnelli, in questi ultimi anni possiamo facilmente individuare la maturazione ideologica del capitalismo avanzato italiano. Abbandonate le posizioni di netta contrapposizione con i sindacati, oggi il moderno management imprenditoriale punta a una ripartizione funzionale dei ruoli, indicando nel governo e nei sindacati i partners privilegiati e precisando che è giunto il momento in cui "l'industriale deve avere il coraggio di reclamare apertamente il significato politico del suo ruolo e di distaccarsi dal concetto di una tecnologia neutrale".
Agnelli enuncia nella sua relazione una novità sociologica: l'imprenditore ricoprirebbe un "mandato" affidatogli dalla società per organizzare i fattori produttivi poiché grazie alla posizione che occupa egli "è in grado di riassumere e comprendere meglio di qualsiasi altro la complessità della vita d'oggi".
Che faccia tosta, diranno giustamente molti dei nostri lettori. Noi crediamo, però, che non solo di quella si tratti, ma piuttosto di un serio ripensamento del presidente degli sfruttatori che vuole, in quanto tale, riabilitare il proprio ruolo e quello dei suoi "colleghi", per rilanciare una figura (quella dell'imprenditore) ormai in declino. In questa luce si comprendono i tentativi (coronati peraltro da successo) di intavolare un dialogo articolato con i sindacati, riassumibile nella formula "mentre l'imprenditore è chiamato ad inserire il lavoro nella gestione dell'azienda, al sindacalista, invece, si domanda di contribuire a ridurre lo spreco di risorse" che equivale a dire: daremo più potere ai sindacati nell'azienda se questi sapranno irregimentare perfettamente le masse operaie eliminando assenteismo e scioperi a gatto selvaggio ed autoregolamentando il diritto di sciopero.