Rivista Anarchica Online
Il ruolo politico dell'imprenditore
La nuova ideologia del moderno imprenditore privato è stata
tratteggiata con lucidità e chiarezza dal "big boss"
italiano Gianni Agnelli. Alla tavola rotonda tenutasi recentemente ad Alpbach in Austria, Agnelli ha
svolto una
performance da manuale indicando quale ruolo politico l'imprenditore deve assolvere nella
società. Non è da oggi
che Agnelli ama assumere atteggiamenti "illuminati", e non crediamo neppure che i suoi
exploit siano meramente
strumentali; anzi, vi ritroviamo sempre una costante che dobbiamo cercare di capire fino in fondo per
conoscere
e saper valutare la strategia di uno dei maggiori nemici della classe operaia. A grandi linee il
progressismo di Agnelli si riassume in una accorta politica del consenso ("mentre la tecnologia
è piuttosto conservatrice nelle sue tendenze generali, le condizioni sociali sono imprevedibili e
la stabilità
del sistema può solo riposare sul consenso di tutte le parti interessate"), unita ad una
visione chiaramente
interclassista ("il futuro dell'impresa non risiede solo nel miglior uso delle risorse con il massimo
dell'efficienza, ma anche nella cogestione di un processo sociale innovativo, così che la
conflittualità
permanente delle differenti parti sociali viene presa nel meccanismo di un normale gioco
dialettico"). Seguendo le dichiarazioni di Agnelli, in questi ultimi anni possiamo facilmente
individuare la maturazione
ideologica del capitalismo avanzato italiano. Abbandonate le posizioni di netta contrapposizione con i
sindacati,
oggi il moderno management imprenditoriale punta a una ripartizione funzionale dei ruoli,
indicando nel
governo e nei sindacati i partners privilegiati e precisando che è giunto il momento
in cui "l'industriale deve
avere il coraggio di reclamare apertamente il significato politico del suo ruolo e di distaccarsi dal concetto
di una tecnologia neutrale". Agnelli enuncia nella sua relazione una novità
sociologica: l'imprenditore ricoprirebbe un "mandato" affidatogli
dalla società per organizzare i fattori produttivi poiché grazie alla posizione che occupa
egli "è in grado di
riassumere e comprendere meglio di qualsiasi altro la complessità della vita
d'oggi". Che faccia tosta, diranno giustamente molti dei nostri lettori. Noi crediamo,
però, che non solo di quella si tratti,
ma piuttosto di un serio ripensamento del presidente degli sfruttatori che vuole, in quanto tale, riabilitare
il
proprio ruolo e quello dei suoi "colleghi", per rilanciare una figura (quella dell'imprenditore) ormai in
declino.
In questa luce si comprendono i tentativi (coronati peraltro da successo) di intavolare un dialogo
articolato con
i sindacati, riassumibile nella formula "mentre l'imprenditore è chiamato ad inserire il
lavoro nella gestione
dell'azienda, al sindacalista, invece, si domanda di contribuire a ridurre lo spreco di risorse" che
equivale
a dire: daremo più potere ai sindacati nell'azienda se questi sapranno irregimentare perfettamente
le masse operaie
eliminando assenteismo e scioperi a gatto selvaggio ed autoregolamentando il diritto di sciopero.
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