Rivista Anarchica Online
Lavorare tutti lavorare gratis
di C. L.
Cortei per le vie di Sesto e di Milano, scioperi, presidio in piazza Duomo, blocchi stradali e
addirittura due blocchi della metropolitana che li ha sbattuti sulle prime pagine dei giornali
milanesi: quelli della Marelli sono in lotta da mesi. Ci riferiamo all'industria elettromeccanica e
Ercole Marelli, quella che si incontra appena entrati nel comune di Sesto San Giovanni
provenienti da Milano, dal lunghissimo viale Monza. Indebitata per miliardi, l'azienda - spiegano
i dirigenti - attraversa un difficile momento finanziario. Se ne sono accorti i 6.000 dipendenti
dell'intero gruppo, che da febbraio non percepiscono più lo stipendio: in verità ad aprile ci
hanno
dato qualcosina, "per pasqua" ci è stato specificato - dice Patrizio, 27 anni, operaio alla Marelli
da 11. Ma la gente non è incazzata? Va un po' a periodi, non c'è una tensione continua: ci sono
momenti di incazzatura generalizzata e momenti di rilassamento. Come lo spieghi? Molti operai,
soprattutto tra quelli residenti in Brianza e nel Bergamasco, stanno tutto sommato abbastanza
bene: hanno la loro casetta di proprietà, un po' di soldi in banca, insomma non devono farsi i
conti in tasca a fine mese per vedere come tirare avanti - come invece capita ancora ad altri
operai. E allora tutto normale, tutti continuano tranquillamente ad andare in fabbrica? In effetti
è
così: quello che colpisce di più è che non solo continuano ad andare in fabbrica normalmente
(non c'è stato aumento nell'assenteismo), ma anche continuano a lavorare... come se fossero
pagati. Un ruolo importante nel mantenimento della pace sociale e della produttività è
esercitato, come
dappertutto, dal sindacato, soprattutto tramite il Consiglio di fabbrica ed il suo esecutivo.
Bisogna tener presente - precisa Patrizio - che i delegati di reparto, una volta eletti nel consiglio,
qualora non siano iscritti al sindacato, sono formalmente obbligati a renderne conto, a spiegare
perché. L'esecutivo del consiglio di fabbrica, poi, non è eletto dal consiglio di fabbrica stesso,
ma nominato dalla burocrazia sindacale esterna alla fabbrica, sulla base della più rigida
lottizzazione tra C.G.I.L., C.I.S.L. e U.I.L.. Alternative al sindacato, dal punto di vista organizzativo, non
ce ne sono: anche quelli di
Democrazia Proletaria, che ebbero una decina d'anni fa la loro breve stagione extra-istituzionale
all'epoca dei "Comitati unitari di base" (i CUB), sono da tempo rientrati e formano con altri la
"sinistra sindacale" (molto sindacale e poco sinistra - puntualizza Patrizio). Una cappa molto
forte, questa del sindacato, rafforzata dalla parallela cappa politica rappresentata dall'influenza
del P.C.I., che in questa zona ha tradizionalmente una sua roccaforte: tanto che negli anni '40 e
'50 Sesto San Giovanni era citata come la Stalingrado d'Italia. Eppure, nonostante ciò, la rabbia operaia
è esplosa a tratti con blocchi stradali, cortei in direzione
e altre azioni spontanee che hanno coinvolto un buon numero di lavoratori al di fuori delle
direttive sindacali. Ogni volta che si vedeva "sorpassato" da un'azione spontanea, il Consiglio di
fabbrica si mobilitava subito per cercare di cavalcare la tigre: ricordo che un giorno, dopo che
era iniziata un'azione spontanea degli operai, siamo passati davanti alla bacheca sindacale e
abbiamo visto il comunicato del c.d.f. che... indiceva questa lotta autonoma. Un'altra volta, e
anche questo è un episodio significativo, siamo andati davanti agli uffici della direzione, a
Milano, e i dirigenti sindacali, usciti fuori per spiegare l'andamento delle trattative, sono stati
accolti dall'ostilità di molti operai. Ma chi sono, prevalentemente, i più scontenti, quelli
che tendono a rifiutare il lavoro, a
fregarsene della produttività, a rifiutare la delega al sindacato? Dalla risposta di Patrizio emerge
la netta separazione tra due figure-tipo di operaio: da una parte l'operaio più anziano, con
decenni di vita aziendale e di lotte sindacali alle spalle, perlopiù militante del P.C.I., ormai
definitivamente (o quasi) integratosi nell'ambiente di lavoro, in ciò favorito anche dal ricordo
dei tempi (nemmeno troppo lontani: fino al '68) in cui bastava che un guardiano vedesse del
fumo uscire da sopra i gabinetti per beccarsi una multa. Questo operaio vecchio si muove solo
dopo aver ricevuto ordini dal sindacato, e quindi tende a muoversi poco: in compenso, produce
molto e ne è fiero. Dall'altra parte vi è la figura del giovane operaio, che entra malvolentieri in
fabbrica, cerca di starci il meno possibile (di qui, l'assenteismo) e comunque di non farsi
assorbire e stritolare dai ritmi della produzione: sono operai di questo tipo ad essere in prima
fila nelle lotte, i vecchi al massimo si accodano. Va osservato comunque che il rifiuto del lavoro
e dell'integrazione da parte di molti giovani operai è frutto di una posizione istintiva, non di una
presa di coscienza piena né tanto meno di una precisa scelta ideologica.
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