Rivista Anarchica Online
Cara Monica, scusa...
di Omero Marraccini
Aveva scarsa simpatia per le istituzioni sportive e, già che c'era, per le altre (...). Piccola,
neanche un metro e sessanta, scattosa, nervi a fior di pelle (...) giocava come un "maschietto"
(...). Quale molla l'abbia spinta a lasciare i pantaloncini da tennis per vestirsi di quelli della
rivoluzionaria nel mondo del tennis nessuno lo ha mai capito, chissà se lo ha capito lei. Agli
amici, e ne aveva tanti, è dispiaciuto. Su La Nazione del 16 luglio 1981, tre giorni dopo
la
condanna di Monica, così il giornalista Ubaldo Scanagatta ne parla, ricostruendo a suo modo la
vita e le idee di Monica: "Mai più con la racchetta" è il degno titolo (ma Gente,
all'indomani
dell'arresto, aveva titolato "La molotov della racchetta"...). Untuoso paternalismo e vacuo
scandalismo di provincia, conditi con malizia. Lo stesso 16 luglio, però, un altro giornalista de
La Nazione, Omero Marraccini scrive una lettera
personale a Monica, nel carcere livornese dei Domenicani. È stato lui a seguire tutto il processo e
a firmare i quotidiani resoconti sul suo giornale. La sua lettera, scritta appunto all'indomani della
sentenza mentre dal carcere filtravano le drammatiche notizie di Monica che aveva smesso di
alimentarsi e che stava sempre peggio, la sua lettera - dicevamo - testimonia dell'onestà del suo
autore e al contempo della forza della verità, qual è emersa dal comportamento lineare ed umano
che Monica ha tenuto durante il dibattimento.
Cara Monica, scusa se scrivo a macchina, ma ho una grafia
inintelligibile. Ti prego di credermi se ti dico
che ti sono vicino. Ti prego anche di non abbatterti, tu con la tua bella intelligenza, e di
superare anche questo momento con forza. Noi non ci conoscevamo, (quando sono
venuto a Livorno tu eri soltanto un nome): poi ho
preso a seguire la tua vicenda e giorno dopo giorno, senza che tu lo sapessi, ci siamo
conosciuti. C'era anche molta diffidenza, in me, verso tutto ciò che poteva essere in odore di
terrorismo, dato che le mie esperienze a Torino negli ultimi anni erano state piuttosto
sconvolgenti al puntoda farmi decidere a "cambiare aria" e venire nella cosiddetta "isola
felice". Arrivando qui avevo ancora negli orecchi il fragore della bomba che quelli di AR
misero una sera sotto la tipografia della Stampa dove lavoravo, ferendo diversi miei amici,
rischiando di fare una strage. Eppoi tante altre cose, come il vedere ucciso un uomo
eccezionale, come Carlo Casalegno, con il quale ero stato assieme sino a mezz'ora
prima. Questo per dirti e spiegarti perché, in un primo tempo non sono stato
tenero, nelle mie
cronache, verso di te: facevo tutta di un'erba un fascio. Poi ho cominciato a conoscerti
attraverso quello che scrivevi dal carcere e mi sono detto che una donna che esprime simili
sentimenti non poteva essere una terrorista. Poi ti ho studiato, per quanto è
stato possibile, attraverso le carte del processo. Finalmente
ti ho vista e sentita di persona. Quelle che erano idee soggettive, durante la tua vicenda in
assise si sono tramutate in convincimenti, suffragati da riscontri obiettivi. E questo è
cronaca degli ultimi giorni. Ecco perché la tua condanna mi è apparsa
dolorosamente incredibile e ingiusta. Io oggi credo che tu sia innocente, quindi spero,
o meglio voglio che la verità venga fuori. Per questa verità io metto
a disposizione quel poco che ho dal punto di vista professionale. Ti prego però
di essere serena, di superare il periodo che ti aspetta con lo stesso stile di vita
con cui hai affrontato quello appena trascorso. Cari
saluti. 16.7.1981 Omero
Marraccini
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