rivista anarchica
anno 28 n.250
dicembre 1998 / gennaio 1999


Corpi di donna

di Emanuela Scuccato

Il disagio fisico e psichico delle donne al centro di un recente convegno a Milano.

 

Tredici anni dopo lo storico convegno dedicato a Le Culture del Parto, il 2 e 3 ottobre scorsi la sala congressi dell'Amministrazione provinciale di Milano ha ospitato un nuovo, importante appuntamento. Al centro dell'attenzione sono stati, questa volta, i temi della salute e del disagio fisico e psichico delle donne intesi in senso lato.
Che sviluppo e progressione ha avuto in questi ultimi anni la ricerca scientifica al femminile circa gli orientamenti della medicina e, in particolar modo, della medicina "per le donne"? E' possibile fare una valutazione degli effetti sociali e politici delle pratiche terapeutiche femminili? Queste pratiche di intervento sono sufficientemente conosciute dalle utenti? Inoltre: come autorizzarle nell'ambito della scienza medica?
Questi i quesiti di fondo del meeting Corpi di donna - politiche femminili per la salute organizzato da METIS-Medicina e Memoria (Centro Internazionale di Studi e Terapie per la Salute delle Donne) con il patrocinio degli enti locali e del ministero della sanità. Quesiti effettivamente di un certo spessore che, data anche la complessità e la dovizia tematica degli interventi, era forse inevitabile rimanessero parzialmente insoddisfatti.
Si è trattato di una due giorni corposa, ricchissima di input di riflessione a tutto campo.
Se molto di quanto è stato detto si poteva considerare in parte già noto, lo sforzo di mettere insieme alcune tra le più eminenti studiose europee è stato comunque proficuo. Come veder comporre, una tesserina dopo l'altra, un mosaico il cui disegno, pur intuito, ci fosse nella sua compagine sfuggito.
Tuttavia qualcosa, e qualcosa di essenziale, è alla fine venuto a mancare.
Come se, nell'assestare le tesserine, ciascuna iridescente per sé, non si fosse tenuto abbastanza conto dell'effetto d'insieme del lavoro. Un difetto di concertazione coloristica, sufficiente però a dare l'idea di un qualche cosa di non pienamente riuscito. E forse, per certi aspetti, di non riuscito tout court.

A bassa frequenza

Portare a convegno personaggi come Barbara Duden, Silvia Vegetti Finzi, Luce Irigaray, accanto ad altre ricercatrici di minore risonanza pubblica ma non per questo di minor valore, avrebbe richiesto una dilatazione dei tempi. Che invece, così come sono stati programmati, hanno finito col risultare inadeguati.
Poco male, da un certo punto di vista. Malissimo, da un altro. Infatti sono stati penalizzati proprio quegli spazi relativi al confronto delle relatrici e delle addette ai lavori tra loro, e tra queste e il pubblico, che pur non essendo stati esplicitamente programmati, avrebbero potuto essere e già si preannunciavano come i più "caldi" del convegno. O, se vogliamo, come i più politici in senso stretto. Della disamina e dell'elaborazione di strategie in merito a quei "processi di cambiamento culturale e sociale" da tutte auspicati.
Come se davvero esistesse "uno iato" - così lo ha definito la rappresentante del Centro di Documentazione per la Salute delle Donne "Simonetta Tosi" di Torino, intervenendo alla tavola rotonda -, "uno iato tra il mercato in crescita della prostituzione e le biotecnologie". E come se questo "iato" fosse destinato ad esistere per sempre.
La politica ha informato tutte le relazioni, le ha percorse come una corrente. Una corrente a bassa frequenza, però. Ciò che è diventato ormai una consuetudine, anche da parte delle donne.
L'appello lanciato da Silvia Vegetti Finzi, a conclusione del suo intervento, "a vegliare" affinché la parte laica delle donne che compongono la Consulta di Bioetica (della quale la stessa Vegetti Finzi è membro fondatore) non trasformi "la propria potenza in onnipotenza, cancellando la figura del padre" dalle proposte di legge sulla fecondazione artificiale, un'appello così politicamente determinato e forte - e sul quale esistono posizioni ben diverse (vedi "A" 243, T.R.A./ Donne e riproduzione) -, è, per esempio, rimasto tra parentesi. Non c'è stato il tempo di parlarne.
Che cosa dire del "rapporto tra i modi di produzione capitalista e la medicina, emerso, sia pure in maniera abbastanza sotterranea, in molti degli interventi delle relatrici", e sul quale da parte del pubblico si sollecitava un approfondimento?
Avrebbe potuto essere un buon incipit per un confronto articolato e pregnante, invece non se ne è fatto niente.
E come porsi di fronte a quella locuzione: "corpi di donna", posta a titolo del convegno? Un grande ombrello sotto il quale ricoverare la "differenza di genere"? Che mistificazione!
E non soltanto perché i corpi delle donne sono diversi l'uno dall'altro, ma anche perché, come è stato fatto notare, i corpi - sia quelli delle donne che quelli degli uomini - sono da sempre rubricati dalla scienza e dalla medicina in corpi di serie A, corpi di serie B e corpi di serie C.
Corpi inquadrati dalla politica a seconda del censo.
Quando la "storica del corpo" Barbara Duden, autrice dell'ormai celeberrimo Il corpo della donna come luogo pubblico (Bollati Boringhieri), ha messo a nudo il processo di de-materializzazione scientifica del corpo (delle donne e degli uomini) attualmente in corso e la nascita in epoca contemporanea di vere e proprie mitologie intorno al "soma" femminile, perché il suo intervento è rimasto lettera politicamente morta, soltanto il brillante resoconto della speculazione di un'altrettanto brillante e, oggi, anche autorevole accademica?
Se nei paesi del cosiddetto Primo mondo la cura prenatale "è diventata una richiesta sociale" al punto che in Germania le donne non solo accettano, ma esigono che il loro "passaporto materno sia completato in tutti e cinquantatré i suoi punti e che le misurazioni del feto vengano rilevate nel corso di ben 14 esami prenatali" - e stiamo parlando di gravidanze non a rischio; se "in Germania la donna è attualmente un prodotto di consumo", disposta in nome di una "ottimizzazione del corpo" a sottoporsi acriticamente a tutta una serie di "procedure igieniche" semplicemente impensabili anche solo trent'anni fa (il trattamento ormonale della menopausa, per esempio, oppure quell'incredibile promozione della consapevolezza del cancro, quel processo di "cancerizzazione del corpo e della mente" delle donne che, andando ben oltre la prevenzione, "mette in ombra quello che una donna è ora, la sua condizione presente, dando la stura ad una iperbole di insicurezza"); se "il genoma, che può essere testimoniato soltanto dagli scienziati, è assurto a soggetto giuridico", perlomeno nei codici anglosassoni; se "il bambino si è trasformato in dispositivo genetico", quando "per la genetica non è possibile parlare di diagnostica perché tutto è basato sul calcolo delle probabilità" (Barbara Duden): bene, anzi no!, ma in ogni caso ce n'è abbastanza per fermarsi.
A che pro continuare ad infittire il nostro cahier de doléance se a tutto questo non segue poi la possibilità, intanto almeno catartica, di parlarne?

In altri tempi

Si potrebbe dar conto delle singole relazioni, tutte, nessuna esclusa, di altissimo livello - e di questa importante occasione culturale bisogna senz'altro dare atto alle organizzatrici del meeting -, tuttavia mi preme di più fare qui alcune altre considerazioni, di carattere diverso, ma credo significative.
La prima riguarda il saluto che, come da programma, i rappresentanti degli enti patrocinatori del convegno hanno portato in apertura dei lavori. I rappresentanti erano tutte donne.
Era pur vero che si trattava di "un momento di riflessione terapeutica specifica", come la stessa Gemma Martino, presidente di METIS, ha voluto precisare nel presentare l'iniziativa, pure non sono riuscita a capacitarmi di questa sorta di ghettizzazione istituzionale. E' stata casuale o voluta?
"La presenza degli uomini - controparte - è essenziale perché dalla riflessione terapeutica specifica si possa poi giungere a momenti di acquisizione collettiva", ha spiegato, con grande equilibrio ed intelligenza, la presidente di METIS.
E dunque a che cosa si doveva imputare questa generale defezione maschile sia tra i rappresentanti delle istituzioni che nel pubblico?
La seconda considerazione riguarda invece specificatamente i contenuti espressi da alcune delle "politiche" intervenute. Nel chiedersi in quale direzione gli enti locali potrebbero muoversi per alleviare lo stress al quale le donne, più degli uomini, sono sottoposte, e che si configura come il principale responsabile della maggior parte delle patologie femminili, Elena Gazzola, rappresentante della Regione, individuava due possibili direttrici: "venire incontro alle donne malate" - ovvio! - e, più in generale, "aiutare le donne a vivere nel modo più tranquillo possibile il loro doppio ruolo".
Quest'ultima affermazione, candidamente resa, non avrebbe avuto la benché minima possibilità di passare, in altri tempi. Invece è passata.
Altra considerazione, ancora sulle "politiche".
Nell'elogiare l'indubbio valore del contributo di METIS alla riflessione culturale nel nostro Paese, Marilena Adamo, vicepresidente del consiglio regionale, denunciava d'altro canto la persistenza di una situazione "di divaricazione tra il mondo della politica e il mondo scientifico". Non ho potuto fare a meno di chiedermi che scopo avessero le sue parole - tanto logora risultava la sua affermazione. Poi ho capito.
"Nel mondo della politica siamo pochissime", ha detto la Adamo. Intendeva forse dire che più donne in politica significa, ipso facto, la panacea di tutti i mali? Ma un pensiero di tal fatta ha ancora un senso oggi?, mi sono chiesta. E come è possibile che nessuno reagisca, tra tante accademiche e intellettuali presenti?
Questo convegno, Corpi di donna - politiche femminili per la salute, ha portato allo scoperto più di una questione.
Non si è trattato soltanto del lodevole tentativo, riuscito, di contribuire alla diffusione dell'approccio femminile alla scienza e alla medicina; del tentativo, purtroppo mancato, di avviare una discussione concreta sulla "politica che ci permetterà di ottenere un rapporto di mediazione nuova tra scienza e società" (Enrichetta Susi). Si è trattato, a mio avviso, di un qualcosa di più. Di un qualcosa di sottile, dal quale è difficile staccarsi. Che pone interrogativi spinosi.

Tre interrogativi

Il primo, per dirla con Gloria Jean Watkins, alias bell hooks, una delle più autorevoli esponenti del panorama culturale e politico statunitense contemporaneo, riguarda quanto, anche nel nostro Paese, "l'istituzionalizzazione del pensiero femminista all'interno dell'accademia" abbia contribuito "a separare il movimento politico delle donne da masse di persone".
(Scrivere al buio - Maria Nadotti intervista Bell Hooks, Milano, La Tartaruga ed., 1998).
Il secondo è: chi parla per chi? Ovvero: se riconosciamo che i corpi sono tutti diversi, attraversati oltre che dalla "differenza di genere" anche da quella di "classe" e di "razza", tanto per dirne un paio, che senso può avere prendere in considerazione "una" specifica condizione femminile e da questa partire per elaborare delle proposte politiche che abbiano la pretesa di essere valide per tutte? [Circa i differenti processi di medicalizzazione del corpo delle donne in corso oggi nel mondo e la penetrazione del modello occidentale della domanda e dell'offerta nelle diverse culture si veda la bellissima relazione di Franca Pizzini]
Il terzo interrogativo, non meno importante degli altri e certamente non l'ultimo di quella che potrebbe essere una lunga lista di domande, concerne invece i modi attraverso i quali è possibile raggiungere le nuove generazioni di donne e di uomini che hanno interesse al cambiamento sociale.
Come trasmettere, per esempio, alle più giovani il patrimonio di esperienze che il movimento delle donne ha accumulato nel corso degli anni Settanta e Ottanta? e come arricchirci a nostra volta del portato di queste nuove generazioni?
Per quanto mi riguarda, pur attribuendo un grande valore al "desiderio", credo che il "desiderio" vada suscitato.
E credo che questo sia un atto politico. Di più: credo che attenga all'etica della politica.

Emanuela Scuccato

 

Gli atti del convegno Corpi di donna - politiche femminili per la salute saranno pubblicati integralmente dalla rivista telematica della regione Lombardia Confronti, nel prossimo supplemento Confronti Donna.
Per eventuali informazioni la segreteria scientifica di METIS-Medicina e Memoria risponde al numero Tel/Fax 02 - 29.51.55.10 e la sede del Centro si trova a Milano in via Plinio, 1.

 

 

Corpi di donna
Politiche femminili per la salute

Relazioni
1) Il corpo della donna come luogo pubblico di Barbara Duden (Brema)
Introduzione a cura di Cristina Bonfanti

2) La crisi della razionalità scientifica Silvia Tozzi, Enrica Chiaramonte (Roma)
Introduzione a cura di Marita Comerio

3) Fra consenso informato e patto di guarigione di Gianna Pomata (Bologna)
Introduzione di Delfina Lusiardi

4) Medicalizzazione del corpo femminile di Franca Pizzini (Milano)
Introduzione di Luciana Percovich

5) Demedicalizzare la mente femminile di Elvira Reale (Napoli)
Introduzione di Maddalena Gasparini

6) Il corpo della donna come posta in gioco del conflitto tra i sessi di Sivia Vegetti Finzi (Pavia)
Introduzione di Valeria Medda

7) La salute non è mai neutra di Luce Irigaray (Parigi)
Introduzione di Maria Castiglioni

8) Due per sapere, due per guarire di Enrichetta Susi (Bologna)
Introduzione di Gabriella Lazzerini

N.B. Il previsto intervento di Lea Melandri, intitolato Il teatro del corpo, non ha avuto luogo.

Hanno partecipato alla Tavola Rotonda il Centro Documentazione per la Salute delle Donne "Simonetta Tosi" di Torino, il Gruppo "Donne Dolci" di Bologna e il Centro Prevenzione Salute Mentale Donna - ASL di Napoli.
Non era invece presente il MIPA - Movimento Internazionale per il Parto Attivo di Modena.