Tredici anni dopo lo storico convegno
dedicato a Le Culture del Parto, il 2 e 3 ottobre scorsi
la sala congressi dell'Amministrazione provinciale di Milano
ha ospitato un nuovo, importante appuntamento. Al centro dell'attenzione
sono stati, questa volta, i temi della salute e del disagio
fisico e psichico delle donne intesi in senso lato.
Che sviluppo e progressione ha avuto in questi ultimi anni la
ricerca scientifica al femminile circa gli orientamenti della
medicina e, in particolar modo, della medicina "per le donne"?
E' possibile fare una valutazione degli effetti sociali e politici
delle pratiche terapeutiche femminili? Queste pratiche di intervento
sono sufficientemente conosciute dalle utenti? Inoltre: come
autorizzarle nell'ambito della scienza medica?
Questi i quesiti di fondo del meeting Corpi di donna - politiche
femminili per la salute organizzato da METIS-Medicina e
Memoria (Centro Internazionale di Studi e Terapie per la Salute
delle Donne) con il patrocinio degli enti locali e del ministero
della sanità. Quesiti effettivamente di un certo spessore che,
data anche la complessità e la dovizia tematica degli interventi,
era forse inevitabile rimanessero parzialmente insoddisfatti.
Si è trattato di una due giorni corposa, ricchissima di input
di riflessione a tutto campo.
Se molto di quanto è stato detto si poteva considerare in parte
già noto, lo sforzo di mettere insieme alcune tra le più eminenti
studiose europee è stato comunque proficuo. Come veder comporre,
una tesserina dopo l'altra, un mosaico il cui disegno, pur intuito,
ci fosse nella sua compagine sfuggito.
Tuttavia qualcosa, e qualcosa di essenziale, è alla fine venuto
a mancare.
Come se, nell'assestare le tesserine, ciascuna iridescente per
sé, non si fosse tenuto abbastanza conto dell'effetto d'insieme
del lavoro. Un difetto di concertazione coloristica, sufficiente
però a dare l'idea di un qualche cosa di non pienamente riuscito.
E forse, per certi aspetti, di non riuscito tout court.
A bassa frequenza
Portare a convegno personaggi come Barbara Duden, Silvia Vegetti
Finzi, Luce Irigaray, accanto ad altre ricercatrici di minore
risonanza pubblica ma non per questo di minor valore, avrebbe
richiesto una dilatazione dei tempi. Che invece, così come sono
stati programmati, hanno finito col risultare inadeguati.
Poco male, da un certo punto di vista. Malissimo, da un altro.
Infatti sono stati penalizzati proprio quegli spazi relativi
al confronto delle relatrici e delle addette ai lavori tra loro,
e tra queste e il pubblico, che pur non essendo stati esplicitamente
programmati, avrebbero potuto essere e già si preannunciavano
come i più "caldi" del convegno. O, se vogliamo, come i più
politici in senso stretto. Della disamina e dell'elaborazione
di strategie in merito a quei "processi di cambiamento culturale
e sociale" da tutte auspicati.
Come se davvero esistesse "uno iato" - così lo ha definito la
rappresentante del Centro di Documentazione per la Salute delle
Donne "Simonetta Tosi" di Torino, intervenendo alla tavola rotonda
-, "uno iato tra il mercato in crescita della prostituzione
e le biotecnologie". E come se questo "iato" fosse destinato
ad esistere per sempre.
La politica ha informato tutte le relazioni, le ha percorse
come una corrente. Una corrente a bassa frequenza, però. Ciò
che è diventato ormai una consuetudine, anche da parte delle
donne.
L'appello lanciato da Silvia Vegetti Finzi, a conclusione del
suo intervento, "a vegliare" affinché la parte laica delle donne
che compongono la Consulta di Bioetica (della quale la stessa
Vegetti Finzi è membro fondatore) non trasformi "la propria
potenza in onnipotenza, cancellando la figura del padre" dalle
proposte di legge sulla fecondazione artificiale, un'appello
così politicamente determinato e forte - e sul quale esistono
posizioni ben diverse (vedi "A" 243, T.R.A./ Donne e riproduzione)
-, è, per esempio, rimasto tra parentesi. Non c'è stato il tempo
di parlarne.
Che cosa dire del "rapporto tra i modi di produzione capitalista
e la medicina, emerso, sia pure in maniera abbastanza sotterranea,
in molti degli interventi delle relatrici", e sul quale da parte
del pubblico si sollecitava un approfondimento?
Avrebbe potuto essere un buon incipit per un confronto articolato
e pregnante, invece non se ne è fatto niente.
E come porsi di fronte a quella locuzione: "corpi di donna",
posta a titolo del convegno? Un grande ombrello sotto il quale
ricoverare la "differenza di genere"? Che mistificazione!
E non soltanto perché i corpi delle donne sono diversi l'uno
dall'altro, ma anche perché, come è stato fatto notare, i corpi
- sia quelli delle donne che quelli degli uomini - sono da sempre
rubricati dalla scienza e dalla medicina in corpi di serie A,
corpi di serie B e corpi di serie C.
Corpi inquadrati dalla politica a seconda del censo.
Quando la "storica del corpo" Barbara Duden, autrice dell'ormai
celeberrimo Il corpo della donna come luogo pubblico
(Bollati Boringhieri), ha messo a nudo il processo di de-materializzazione
scientifica del corpo (delle donne e degli uomini) attualmente
in corso e la nascita in epoca contemporanea di vere e proprie
mitologie intorno al "soma" femminile, perché il suo intervento
è rimasto lettera politicamente morta, soltanto il brillante
resoconto della speculazione di un'altrettanto brillante e,
oggi, anche autorevole accademica?
Se nei paesi del cosiddetto Primo mondo la cura prenatale "è
diventata una richiesta sociale" al punto che in Germania le
donne non solo accettano, ma esigono che il loro "passaporto
materno sia completato in tutti e cinquantatré i suoi punti
e che le misurazioni del feto vengano rilevate nel corso di
ben 14 esami prenatali" - e stiamo parlando di gravidanze non
a rischio; se "in Germania la donna è attualmente un prodotto
di consumo", disposta in nome di una "ottimizzazione del corpo"
a sottoporsi acriticamente a tutta una serie di "procedure igieniche"
semplicemente impensabili anche solo trent'anni fa (il trattamento
ormonale della menopausa, per esempio, oppure quell'incredibile
promozione della consapevolezza del cancro, quel processo di
"cancerizzazione del corpo e della mente" delle donne che, andando
ben oltre la prevenzione, "mette in ombra quello che una donna
è ora, la sua condizione presente, dando la stura ad una iperbole
di insicurezza"); se "il genoma, che può essere testimoniato
soltanto dagli scienziati, è assurto a soggetto giuridico",
perlomeno nei codici anglosassoni; se "il bambino si è trasformato
in dispositivo genetico", quando "per la genetica non è possibile
parlare di diagnostica perché tutto è basato sul calcolo delle
probabilità" (Barbara Duden): bene, anzi no!, ma in ogni caso
ce n'è abbastanza per fermarsi.
A che pro continuare ad infittire il nostro cahier de doléance
se a tutto questo non segue poi la possibilità, intanto almeno
catartica, di parlarne?
In altri tempi
Si potrebbe dar conto delle singole relazioni, tutte, nessuna
esclusa, di altissimo livello - e di questa importante occasione
culturale bisogna senz'altro dare atto alle organizzatrici del
meeting -, tuttavia mi preme di più fare qui alcune altre considerazioni,
di carattere diverso, ma credo significative.
La prima riguarda il saluto che, come da programma, i rappresentanti
degli enti patrocinatori del convegno hanno portato in apertura
dei lavori. I rappresentanti erano tutte donne.
Era pur vero che si trattava di "un momento di riflessione terapeutica
specifica", come la stessa Gemma Martino, presidente di METIS,
ha voluto precisare nel presentare l'iniziativa, pure non sono
riuscita a capacitarmi di questa sorta di ghettizzazione istituzionale.
E' stata casuale o voluta?
"La presenza degli uomini - controparte - è essenziale perché
dalla riflessione terapeutica specifica si possa poi giungere
a momenti di acquisizione collettiva", ha spiegato, con grande
equilibrio ed intelligenza, la presidente di METIS.
E dunque a che cosa si doveva imputare questa generale defezione
maschile sia tra i rappresentanti delle istituzioni che nel
pubblico?
La seconda considerazione riguarda invece specificatamente i
contenuti espressi da alcune delle "politiche" intervenute.
Nel chiedersi in quale direzione gli enti locali potrebbero
muoversi per alleviare lo stress al quale le donne, più degli
uomini, sono sottoposte, e che si configura come il principale
responsabile della maggior parte delle patologie femminili,
Elena Gazzola, rappresentante della Regione, individuava due
possibili direttrici: "venire incontro alle donne malate" -
ovvio! - e, più in generale, "aiutare le donne a vivere nel
modo più tranquillo possibile il loro doppio ruolo".
Quest'ultima affermazione, candidamente resa, non avrebbe avuto
la benché minima possibilità di passare, in altri tempi. Invece
è passata.
Altra considerazione, ancora sulle "politiche".
Nell'elogiare l'indubbio valore del contributo di METIS alla
riflessione culturale nel nostro Paese, Marilena Adamo, vicepresidente
del consiglio regionale, denunciava d'altro canto la persistenza
di una situazione "di divaricazione tra il mondo della politica
e il mondo scientifico". Non ho potuto fare a meno di chiedermi
che scopo avessero le sue parole - tanto logora risultava la
sua affermazione. Poi ho capito.
"Nel mondo della politica siamo pochissime", ha detto la Adamo.
Intendeva forse dire che più donne in politica significa, ipso
facto, la panacea di tutti i mali? Ma un pensiero di tal fatta
ha ancora un senso oggi?, mi sono chiesta. E come è possibile
che nessuno reagisca, tra tante accademiche e intellettuali
presenti?
Questo convegno, Corpi di donna - politiche femminili per
la salute, ha portato allo scoperto più di una questione.
Non si è trattato soltanto del lodevole tentativo, riuscito,
di contribuire alla diffusione dell'approccio femminile alla
scienza e alla medicina; del tentativo, purtroppo mancato, di
avviare una discussione concreta sulla "politica che ci permetterà
di ottenere un rapporto di mediazione nuova tra scienza e società"
(Enrichetta Susi). Si è trattato, a mio avviso, di un qualcosa
di più. Di un qualcosa di sottile, dal quale è difficile staccarsi.
Che pone interrogativi spinosi.
Tre interrogativi
Il primo, per dirla con Gloria Jean Watkins, alias bell hooks,
una delle più autorevoli esponenti del panorama culturale e
politico statunitense contemporaneo, riguarda quanto, anche
nel nostro Paese, "l'istituzionalizzazione del pensiero femminista
all'interno dell'accademia" abbia contribuito "a separare il
movimento politico delle donne da masse di persone".
(Scrivere al buio - Maria Nadotti intervista Bell Hooks,
Milano, La Tartaruga ed., 1998).
Il secondo è: chi parla per chi? Ovvero: se riconosciamo che
i corpi sono tutti diversi, attraversati oltre che dalla "differenza
di genere" anche da quella di "classe" e di "razza", tanto per
dirne un paio, che senso può avere prendere in considerazione
"una" specifica condizione femminile e da questa partire per
elaborare delle proposte politiche che abbiano la pretesa di
essere valide per tutte? [Circa i differenti processi di medicalizzazione
del corpo delle donne in corso oggi nel mondo e la penetrazione
del modello occidentale della domanda e dell'offerta nelle diverse
culture si veda la bellissima relazione di Franca Pizzini]
Il terzo interrogativo, non meno importante degli altri e certamente
non l'ultimo di quella che potrebbe essere una lunga lista di
domande, concerne invece i modi attraverso i quali è possibile
raggiungere le nuove generazioni di donne e di uomini che hanno
interesse al cambiamento sociale.
Come trasmettere, per esempio, alle più giovani il patrimonio
di esperienze che il movimento delle donne ha accumulato nel
corso degli anni Settanta e Ottanta? e come arricchirci a nostra
volta del portato di queste nuove generazioni?
Per quanto mi riguarda, pur attribuendo un grande valore al
"desiderio", credo che il "desiderio" vada suscitato.
E credo che questo sia un atto politico. Di più: credo che attenga
all'etica della politica.
Emanuela Scuccato
Gli atti del convegno Corpi di donna - politiche femminili
per la salute saranno pubblicati integralmente dalla
rivista telematica della regione Lombardia Confronti,
nel prossimo supplemento Confronti Donna.
Per eventuali informazioni la segreteria scientifica di
METIS-Medicina e Memoria risponde al numero Tel/Fax 02
- 29.51.55.10 e la sede del Centro si trova a Milano in
via Plinio, 1.
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Corpi di donna
Politiche femminili per la salute
Relazioni
1) Il corpo della donna come luogo pubblico di
Barbara Duden (Brema)
Introduzione a cura di Cristina Bonfanti
2) La crisi della razionalità scientifica Silvia
Tozzi, Enrica Chiaramonte (Roma)
Introduzione a cura di Marita Comerio
3) Fra consenso informato e patto di guarigione
di Gianna Pomata (Bologna)
Introduzione di Delfina Lusiardi
4) Medicalizzazione del corpo femminile di Franca
Pizzini (Milano)
Introduzione di Luciana Percovich
5) Demedicalizzare la mente femminile di Elvira
Reale (Napoli)
Introduzione di Maddalena Gasparini
6) Il corpo della donna come posta in gioco del conflitto
tra i sessi di Sivia Vegetti Finzi (Pavia)
Introduzione di Valeria Medda
7) La salute non è mai neutra di Luce Irigaray
(Parigi)
Introduzione di Maria Castiglioni
8) Due per sapere, due per guarire di Enrichetta
Susi (Bologna)
Introduzione di Gabriella Lazzerini
N.B. Il previsto intervento di Lea Melandri, intitolato
Il teatro del corpo, non ha avuto luogo.
Hanno partecipato alla Tavola Rotonda
il Centro Documentazione per la Salute delle Donne "Simonetta
Tosi" di Torino, il Gruppo "Donne Dolci" di Bologna e
il Centro Prevenzione Salute Mentale Donna - ASL di Napoli.
Non era invece presente il MIPA - Movimento Internazionale
per il Parto Attivo di Modena.
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