I Motorpsycho sono un’anomalia, prima di tutto per quanto concerne
la nazionalità: sono norvegesi (inconsueto per una rock
band). Vivono a Trondheim, una cittadina poco più grande
di un paesucolo, non molto distante dal circolo polare artico.
Suonano insieme da quasi dieci anni e la formazione è
rimasta quasi immutata. Cresciuti a colpi di truzzerie ‘70ies,
in realtà riescono a conservare un approccio quasi colto
alla materia rock… Nonostante una scarsissima propensione al
compromesso, riescono a vivere senza grossi problemi della loro
musica (vendono bene in Norvegia ed in Germania) ostinandosi
a suonare laddove si sentono più a loro agio (se non
sbaglio l’intervista coincide con il loro ottavo concerto al
Bloom di Mezzago!). Dulcis in fundo, il buon Bent Saether
(bassista) è sempre disponibilissimo alla chiacchierata,
e non solo con la stampa: nel dopo - concerto tira tranquillamente
le tre di notte pur di esaurire le curiosità dei suoi
fan…
Il loro primo disco del 1991, Lobotomizer, era stato
definito grunge anche in virtù delle mode dell’epoca…
In realtà conteneva già i prodromi di ciò
che sarebbero stati i Motorpsycho in futuro: hard rock a manetta
mescolato a psichedelia cerebrale, power pop, sprazzi acustici
e persino qualcosa di velvettiana memoria… Di tutto ciò
Bent non è assolutamente turbato, anzi: "Negli anni
ottanta non c’era vera musica pesante (usa il termine bull’s
rock, N.d.A.), era tutto molto artificioso, con sintetizzatori
ed enfasi assolutamente gratuita. Con le grunge band
abbiamo sicuramente in comune l’ispirazione: i primi anni settanta
(noi siamo cresciuti con i Deep Purple!) e la carica di band
come gli Stooges e gli MC5. Penso che il motivo principale per
il quale ci definirono così è che anche noi avevamo
quel tipo di energia. Ma credo anche che abbiamo portato la
nostra musica ben oltre quell’espressione musicale molto diretta;
non suonavamo certo come i Tad , i Nirvana od i Soundgarden".
- Una messainpiega per l’eternità
La loro attitudine li porta
a mescolare gli anni ’60 (improvvisazione, psichedelia…) con
gli anni ’70 (più che altro hard rock); a questo riguardo
chiedo loro se hanno mai ascoltato musica sperimentale: "Certamente!
Abbiamo ascoltato un sacco di jazz: John Coltrane, Archie Shepp,
Albert Ayler, Pharoah Sanders, Sun Ra… Ma anche i Can e gli
altri improvvisatori degli anni settanta. Dal vivo improvvisiamo
parecchio…".
Le loro sonorità acustiche spezzano e contrastano
spesso con le atmosfere ai limiti della claustrofobia che contraddistinguono
le fasi più violente dei loro dischi; sembrano persino
impregnate di un umore folk di stampo nord Europeo, ma Bent
smentisce decisamente: "È qualcosa di inconscio,
non premeditato. Il nostro spirito è: abbiamo un mandolino?
Usiamolo! Non so davvero se siamo stati influenzati dalla musica
folk, ascoltando di tutto finisci per scoprire band come i Fairport
Convention, , Lindisfarne, Pentangle, passando per le cose più
folk degli album dei Led Zeppelin. Non penso che la musica tradizionale
Norvegese ci abbia mai influenzato, sebbene anch’essa contenga
delle peculiarità interessanti come, ad esempio i violini
ad otto corde: emettono un suono di bordone (usa il termine
drone, che non saprei tradurre altrimenti in italiano,
N.d.A.) molto simile a quello della musica indiana. Conosciamo
un tipo che suona queste cose, ed è davvero molto in
gamba: chissà, forse potremmo collaborare con lui in
futuro…".
Mostruosamente prolifici, dal ’91 ad oggi hanno prodotto
ben nove LP, di cui cinque doppi ed uno triplo (!!!). Bent ci
dice: "fondamentalmente facciamo ciò che noi, e
soltanto noi vogliamo : ecco perché i nostri dischi sono
spesso doppi o tripli… Tutti i brani che produciamo vedono la
luce: in genere dopo le registrazioni ce ne avanza una decina,
e li pubblichiamo come b-sides dei nostri singoli… Forse
raccoglieremo in un solo disco quei pezzi che sono comparsi
su compilation e che sono rimasti inediti su LP". Aggiungo
io: il più delle volte questi cosiddetti lati B dei loro
singoli è roba da urlo: cover come Into the
sun dei Grand Funk Railroad (l’originale non ha MAI suonato
così!) o The house at the pooneil corners dei
Jefferson Airplane sono capaci di farvi una messainpiega per
l’eternità se ascoltate al volume "giusto"…
L’ultimo disco dal vivo, Roadwork vol 1, sembra più
sperimentale del solito, ma era l’unico modo per dare un senso
ad un live album: "Penso che quando si incide un
album dal vivo ci siano due modi per farlo: uno è quello
di allestire un greatest hits per accontentare i fan,
l’altro è pubblicare versioni differenti di pezzi già
editi oppure brani inediti. Noi abbiamo optato per la seconda
ipotesi: il disco contiene una cover inedita degli MC5, qualche
vecchio brano completamente rifatto ed un sacco di improvvisazioni…"
La band non è praticamente mai mutata d’organico:
con l’ingresso di Gebhardt alla batteria dopo l’uscita di Lobotomizer,
la line up è rimasta invariata fino ad oggi: è
ormai molto raro trovare una situazione creativa così
stabile e duratura. "Tra noi c’è una sorta di legame
chimico, in tre si funziona molto bene: perché cambiare?
Nessuno di noi è impegnato in progetti paralleli, perché
nei Motorpsycho c’è spazio per le esigenze di tutti i
membri della band. Per accorgersene basta ascoltare le piccole
stramberie che incide Gebhardt o le strane canzoni di Snah (il
chitarrista, ovvero Hans M. Ryan, N.d.A.), ed anche le mie cose.
Nonostante sia tutto molto eterogeneo è comunque integralmente
parte dei Motorpsycho. Oggi tutti formano una band soltanto
per dei progetti limitati, ristretti. Noi invece facciamo tutto
ciò che ci sentiamo di fare: forse è per questo
motivo che non vendiamo poi così tanti dischi…"
Un tempo i Nostri incidevano per la Voice of Wonder,
un’interessante etichetta indipendente norvegese che nei primi
anni ’90 ha svolto un prezioso lavoro di promozione di nuove
band "autoctone". Gli chiedo se passare alla Sony
norvegese gli ha creato dei problemi concernenti la libertà
artistica. Ma lui mi fulmina: "No! Ora siamo molto più
liberi di prima! La Voice of Wonder non ci dava mai dischi
da vendere, cercava sempre di tagliarci i brani e si rifiutò
di stamparci la versione in cd doppio di Demon box (splendido
disco del ’93, N.d.A.). Cercavano sempre di risparmiare soldi
e non facevano affatto un buon lavoro. Con la Sony invece
possiamo fare ciò che vogliamo, hanno provato a telefonarci
chiedendo di poter ascoltare l’album poco prima che questo uscisse,
si fanno sentire molto raramente e non ci impongono praticamente
nulla. Sai, la Sony norvegese è così piccola…
Mentre noi in Norvegia siamo abbastanza forti (vendono bene,
N.d.A.). Al resto del mondo invece ci pensa la Stickman,
che licenzia il nostro album presso i distributori esteri. Siamo
dappertutto, eccezion fatta per gli Stati Uniti ed il Giappone."
Gli faccio notare che tutte le volte che gli ho chiesto della
distribuzione, lui mi ha sempre risposto che negli Stati Uniti
i loro dischi non arrivano: "È’ vero, abbiamo sempre
avuto problemi in America; ultimamente siamo stati ad Austin
per uno showcase, ed un paio di etichette hanno mostrato
interesse nei nostri confronti, e forse risolveremo entro breve
anche il problema giapponese. Non so… Ci stiamo provando da
così tanto tempo… Può darsi che sia perché
vogliamo continuare ad avere il controllo su tutto quello che
facciamo: non è solo una questione di prezzo, pretendiamo
di collaborare con delle buone etichette e che le nostre esigenze
siano rispettate". Occhei? Alla facciaccia dell’independent
do it better… Anche in Italia, comunque, ne girano di cotte
e di crude sulle nostre cosiddette etichette "alternative"…
I Motorpsycho si rifiutano di riportare i testi dei loro
brani sui dischi. Le idee di Bent in materia sono molto chiare:
"I miei testi non fanno che riportare la mia percezione
del mondo. Sono chiaramente ispirati da vicende personali, ma
non vorrei mai che gli ascoltatori li recepissero in maniera
troppo rigida. Mi piacerebbe che ognuno potesse interpretarli
relazionandoli con le proprie esperienze, è l’unico modo
per far sì che la mia musica sia la musica di tutti".
Gli chiedo pure che ne pensa della guerra nei Balcani, la
sua faccia si fa cupa: "È orribile, è una
fottuta pazzia. La pulizia etnica dovrebbe essere fermata, ma
combattere il fuoco col fuoco non è mai servito a nulla…
Purtroppo non ho una soluzione da proporre. Non so: penso che
è una vergogna, e la razza umana dovrebbe essere superiore
a queste cose. Ritengo il genere umano troppo intelligente per
avventurarsi in una guerra, davvero; spero almeno che usi questa
intelligenza per porvi di nuovo fine".
L’ideazione delle copertine dei loro album è quantomeno
curiosa: "Ci affidiamo ad un giovanissimo artista di 25
anni, si chiama Kim Hiortoy .Ha cominciato a lavorare alle nostre
copertine dal retro di Demon Box in poi. Non ci interessa
che abbia sentito la musica, lui si fa un idea del disco indipendentemente
da quello che noi stiamo facendo. Ci fidiamo ciecamente di lui,
ha sempre lavorato bene". Kakkio: più libertari
di così…
Gli chiedo chi è l’artista
che più lo ha colpito fino ad oggi, e lui dice, senza
esitazione alcuna : "John Coltrane. Sono tre anni che non
faccio altro che ascoltare i suoi dischi… Non importa di quale
umore io sia, ma non mi stanco mai delle sue invenzioni, della
sua voglia di abbattere confini, limitazioni. Cerca sempre di
fare qualcosa di diverso, di andare oltre; è una specie
di eroe, per me. Mi sento molto legato alle cose che fa: anche
noi tentiamo di battere la sua stessa strada, cerchiamo di avere
una simile attitudine creativa". Quanti milioni di orecchie
staranno fischiando in questo momento? Una band che dal vivo
ti spara una cover di Ace of Spades di quei truzzoni
dei Motorhead dichiara di avere un grande amore per Coltrane…
Quando mi capiterà di vedere uno spocchioso jazzofilo
ad un concerto dei Motorpsycho? Ok, basta con le polemiche.
La conversazione si conclude con le più banali dichiarazioni
d’amore nei confronti dell’Italia (il caffè, il vino,
le donne, il cibo…) e la sua vita in quel di Trondheim: "Non
seguo con attenzione ciò che succede nel mondo, non compro
novità discografiche da cinque anni. Per te forse tutto
ciò è stupido, ma io lo ritengo salutare…".
I biglietti sono esauriti, ci sono molti problemi con parecchie
persone che resteranno fuori (e che tenteranno di sfondare:
quando vedremo qualcosa di simile al Palavobis? Forti con i
deboli e deboli con i forti...), gli chiedo se questa sarà
la loro ultima apparizione al Bloom: il locale è ormai
troppo piccolo... Ma Bent non fa na’ piega: "No. E perché
poi? Potremmo organizzare due date consecutive. Qui conosciamo
tutti, siamo davvero a nostro agio, perché cambiare?".
Un vero inossidabile romanticone..
Come? Il concerto? Hard Pop a randello, hard rock in acido,
jam session spaziali da venti minuti e passa, basta la
parola: Motorpsycho.
Bossi Mario
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