La convinzione che tutto parte dalla
terra è la spinta che, più o meno consapevolmente, ha mosso
tutte noi verso la scelta di vivere in campagna: pensiamo non
ci sia possibilità più grande di riappropriarsi del proprio
quotidiano che il partire da dove tutto ha origine.
… vero che: “ogni uomo (e ogni donna) in ogni paese del mondo,
anche il più difficile per condizioni climatiche, se è in grado
di conoscere le qualità della terra in cui è nato e su cui vive,
ed ha i mezzi adatti per coltivarla, si rende libero. … libero”.
Così Urupia si è procurata i mezzi adatti per coltivare la terra
e per vivere dei suoi frutti, e, anche grazie al sostegno di
ormai centinaia di uomini e donne, in termini di soldi, lavoro,
energia, competenze, consigli - vede crescere oggi giorno per
giorno questa libertà, come il risultato più importante che
intendeva raggiungere e offrire.
Per questo ci troviamo generalmente d’accordo con l’analisi
ed il conseguente appello lanciati da Veronelli su “A” 261 (aprile
2000), ma vogliamo aggiungere qualcosa.
Conosciamo sufficientemente il mondo contadino locale per dire
che una normativa più chiara - che nei fatti in parte già esiste
ed è tale da poter essere facilmente aggirata - non serve a
valorizzare i prodotti agricoli del sud, come ad esempio l’olio
extravergine d’oliva, e il lavoro di chi li produce: l’olio
in particolare, non gode di tanti estimatori come ad esempio
il vino e questo per motivazioni socio-culturali che non vogliamo
analizzare in questa sede. Gran parte degli uliveti pugliesi
e salentini, che da soli rappresentano circa il 40% della produzione
nazionale, sono inoltre frammentati in piccoli appezzamenti
per lo più a gestione familiare che difficilmente potrebbero
garantire un’occupazione diversa da quella stagionale di raccolta
e potatura.
Dal canto loro i grandi proprietari non brillano certo per generosità
offrendo spesso lavoro nero, soprattutto alle donne, retribuite
ancora più miseramente dei loro colleghi uomini, i quali godono
almeno del riconoscimento di una specializzazione nel loro settore,
soprattutto per quel che riguarda le potature o l’organizzazione
del lavoro, altrimenti detto “caporalato”.
Molto di simile vale anche per altri prodotti della terra, per
lo più soggetti alle imprevedibili (per chi produce) condizioni
del mercato globale, che spesso li rendono competitivi solo
al prezzo di una scarsissima qualità, o per l’effetto di una
sempre più spinta meccanizzazione delle pratiche agricole che
butta fuori dalle campagne molta della già limitata manodopera.
Laddove invece si ha a che fare con produzioni limitate e di
qualità, le difficoltà sono spesso legate all’assenza di un
adeguato canale di vendita o all’impossibilità pratica, soprattutto
per il piccolo contadino, di collocare le sue produzioni in
un mercato diverso da quello locale, spesso già saturo e quindi
estremamente penalizzante dal punto di vista dei prezzi.
L’invito è quindi a scegliere la qualità di ciò che consumiamo,
e per qualità non intendiamo semplicemente quella nutrizionale
o organolettica dei prodotti ma anche, e soprattutto, quella
politica: nel citato Friuli esiste, ad esempio, un circuito
di collegamento diretto tra produttori e consumatori e tra produttori
stessi in cui viene limitato all’indispensabile l’utilizzo di
denaro favorendo, per quanto possibile, le occasioni di scambio
e di baratto anche con realtà geograficamente lontane come la
nostra per ciò che riguarda le competenze tecniche e per i prodotti
non reperibili a livello locale come l’olio extravergine d’oliva.
Lo stesso esperimento si sta contemporaneamente diffondendo
in più parti d’Italia con la nascita di numerose reti che faticosamente
allargano e mantengono contatti a livello locale e nazionale
nel tentativo di scardinare i noti meccanismi del mercato globale.
Sostenere i pochi progetti che si muovono in questa direzione
significa non solo dare loro la possibilità di continuare ad
esistere ma anche stimolarne di nuovi: la dimostrazione di un
interesse diffuso e di sostegno concreto è forte stimolo per
chi deve fare i conti con la propria sopravvivenza e favorisce
la possibilità di una rete capace di mettere profondamente in
discussione l’esistente con un cambiamento sociale profondo
e radicale.
Si può cominciare a riappropriarsi della terra non solo lavorandola
e vivendola direttamente ma anche godendone i frutti liberati,
che in quanto a qualità non temono il confronto con il mercato
dominante e, anzi, possono offrire più garanzie degli ormai
innumerevoli marchi, anche i cosiddetti alternativi a che cosa,
poi, non è così chiaro - per competenze, professionalità, organizzazione.
Per questo, oltre che ai giovani estremi, vogliamo estendere
il nostro appello ai consumatori estremi, per ricordare che
non sono solo le scelte di chi produce a cambiare il mondo ma
anche, e forse soprattutto, quelle di chi consuma.
Le comunarde di Urupia
Storia
di una Comune nel Salento
Il progetto Urupia nasce nel maggio 1995 dopo tre anni di
incontri, discussioni e ricerche tra i comunardi fondatori del
gruppo.
Attualmente ad Urupia vivono tredici persone di origine italiana
e tedesca, cinque donne, sei uomini, una bimba e una comunarda
in prova, tutte provenienti da movimenti ecologisti, femministi,
antimilitaristi, antiautoritari.
I presupposti del progetto sono l’autogestione, il principio
del consenso, l’assenza di proprietà privata.
La profonda insoddisfazione nei confronti dell’esistente ha
determinato la scelta di vivere in campagna; la decisione di
acquistare i terreni sui quali sorge il progetto è dovuta alla
forte chiusura del sostrato culturale locale, completamente
estraneo a radicali pratiche di riappropriazione di situazioni
in disuso o terre abbandonate: il bisogno collettivo di dare
continuità a un progetto politico, sociale e agricolo ci ha
spinti a scartare l’idea di occupare il nostro spazio, nonostante
il grande valore che riconosciamo a questa pratica.
Le risorse economiche collettivizzate dai comunardi non erano,
però, tali da permettere l’acquisto della struttura, reso possibile
solo grazie al sostegno di gruppi e singoli individui finanziatori
del progetto tramite iniziative, donazioni e prestiti senza
interessi; non essendo però sufficiente la cifra raggiunta si
è ricorsi ad un prestito alla MAG6 di Reggio Emilia, una realtà
fra le più incisive in Italia nell’ambito della finanza alternativa,
e ad un altro finanziamento della banca GLS, una banca alternativa
in Germania.
Urupia parte quindi con un buon deficit economico che, nel corso
di questi anni, si è solo incominciato a recuperare; nuovi crediti
hanno permesso di rimborsare i precedenti: non abbiamo, infatti,
ancora raggiunto l’autosufficienza e, nonostante i piccoli passi
in avanti, molta strada resta ancora da fare.
Questo ci porta a vivere contraddizioni quotidiane, la più evidente
delle quali è stata, soprattutto nei primi anni di vita di Urupia,
la nostra assoluta necessità di destinare alla vendita i nostri
prodotti per acquistare gli stessi, di minore qualità e costo,
per il nostro consumo interno - come nel caso del vino - o,
nella migliore delle ipotesi, a tenere per noi il prodotto di
qualità inferiore - come per l’olio - : a volte, paradossalmente
non possiamo permetterci i prezzi che proponiamo.
Questo, pensiamo, dia ancora più valore al nostro lavoro e ai
nostri prodotti, per i quali cerchiamo di proporre una cifra
equa tanto per noi quanto per chi li acquista; la scelta dell’autogestione
significa anche rifiutare qualsiasi sfruttamento dell’uomo sull’uomo:
non cerchiamo dipendenti da spremere per pagarci lucrosi profitti.
Lo stesso rifiuto verso qualsiasi forma di sfruttamento ci ha
naturalmente portati a gestire i nostri 23 ettari di terreno
seguendo pratiche esclusivamente biologiche, spinti dalla consapevolezza
dell’insostenibilità dello stile di vita proposto dalla società
dei consumi - e in cui rientra pienamente l’ormai biologico
“di tendenza” che si offre solo come alternativa salutista senza
mettere minimamente in discussione la “salute” di un sistema
malato di ingiustizia fin dalle radici; lontana da noi è l’illusione
comune di avere sempre a disposizione possibilità illimitate
di approvvigionamento e questo anche per quel che riguarda la
produzione di energia e l’utilizzo delle acque: per questo abbiamo
scelto, con non pochi sforzi economici, di installare pannelli
solari per autoprodurre almeno l’acqua calda e di riciclare
l’acqua da noi utilizzata tramite un impianto di fitodepurazione
che non la rende potabile - possibile questo eventualmente con
l’utilizzo di un semplice filtro ma la rende ottima per l’irrigazione.
Questi piccoli esempi possono chiarire bene quali sono le priorità
che ci diamo nell’utilizzare le nostre energie monetarie e lavorative:
non è solo il semplice criterio economico a guidarci - anche
se nel caso di fitodepurazione e pannelli solari il rientro
è, alla lunga, nettamente in positivo ma anche il valore sociale
di un prodotto per noi poco conveniente, come ad esempio il
pane, che ci permette però di avere costanti contatti a livello
locale.
Inoltre viene ampiamente riconosciuta la necessità della soddisfazione
personale che, compatibilmente con le nostre possibilità, rimane
uno dei criteri fondamentali nella valutazione del valore di
un settore lavorativo, senza differenza tra quelli prodotti,
o di cura e accompagnamento come la cucina, la burocrazia, le
pulizie, l’assistenza personale, la cultura.
Le nostre aspettative sono quindi molto ambiziose: dimostrare
la possibilità concreta di riappropriarci della nostra esistenza
uscendo dalle dinamiche e dalle gerarchie di valori che antichi,
ma sempre più sottili, retaggi propongono come i soli validi
e possibili, senza dare spazio ad alternative capaci di mettere
completamente in discussione l’organizzazione sociale così come
ci viene offerta.
Anche in questo, indispensabile continua ad essere il contributo
degli ormai innumerevoli compagni che ci sono accanto con il
nostro stesso entusiasmo e impegno, il numero dei quali ci auguriamo
continui a crescere così com’è cresciuto in questi anni, e che
hanno permesso la realizzazione di Urupia come “comune aperta”
che non è il progetto solo di chi ci vive ma di tutti coloro
che vogliono sentirlo proprio.
URUPIA
Fermo Posta
72021 Francavilla Fontana (Br)
Tel. 0831/890855
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