L’esperienza del teatro in carcere è
ormai una realtà diffusa a livello europeo, che in Italia
conosce punte di sperimentazione ed eccellenza artistica tali
da costituire di per sé momenti imprescindibili della
cultura teatrale contemporanea, al di là di ogni connotazione
di genere. E importanti risultati non mancano sul piano della
riflessione e della documentazione. Le due realtà sicuramente
più interessanti in questo ambito, la Compagnia della
Fortezza di Volterra diretta da Armando Punzo e il Tam Teatro
Carcere di Padova diretto da Michele Sambin e Pierangela Allegro,
stanno significativamente percorrendo strade parallele sia sul
versante artistico sia su quello delle iniziative culturali
e della documentazione. Così al già cospicuo materiale
video esistente (di cui forniamo elenco a parte) si aggiungono
in questi giorni alcuni contributi interessanti sia dal punto
di vista dei contenuti sia per la scelta dei supporti tecnici
utilizzati.
Il Tam pubblica su CD gli Atti dell’Incontro europeo di teatro
e carcere, dal titolo Dentro-Fuori / Dedans-Dehors / Dins-Fora,
che si è svolto a Padova dal 9 al 13 dicembre 1999 e
contemporaneamente fa uscire due nuovi video: il primo di documentazione
complessiva dello stesso progetto (giornate di studio e incontri
/ visioni / spettacoli), il secondo contenente la ripresa video
dell’ultimo spettacolo teatrale della compagnia, Fratellini
di legno.
La Compagnia della Fortezza pubblica un CD rom che prende il
titolo dallo spettacolo del 1998, Orlando Furioso, al
quale è principalmente dedicato, ma contiene anche un
percorso interattivo che va a toccare tutta la storia della
Compagnia: gli spettacoli prodotti (con videoclip degli ultimi),
le prove, gli spazi della Fortezza, la compagnia, le musiche,
il lavoro tecnico e scenografico…
Sia il Tam sia la Fortezza hanno utilizzato questi lavori, a
margine e a corredo della creazione degli spettacoli, per aprire
una finestra in più che colleghi il fuori col dentro,
i frequentatori sempre occasionali degli spettacoli in carcere
e le condizioni di un lavoro che prima di diventare spettacolo
è quotidianità sottratta a vincoli e impedimenti
di ogni sorta. “Il CD sull’Orlando Furioso - hanno spiegato
gli autori Valerio Di Pasquale e Andrea Salvadori - ci ha dato
la possibilità di raccontare cosa significa realizzare
uno spettacolo in carcere: dove anche portare dentro una lampadina
è un’impresa”.1
A maggior ragione è impressionante il viaggio consentito
dal CD: “Col mouse è possibile girare liberamente dentro
il carcere”, ha detto Valerio Di Pasquale in occasione della
presentazione del lavoro, non accorgendosi forse dell’arditezza
dell’espressione. Si incontrano i momenti delle prove, nei corridoi
e nelle stanze strettissime dove si svolge il lavoro quotidiano
della compagnia, e quindi si ritrovano le immagini e gli spazi
degli spettacoli, le imponenti costruzioni scenografiche allestite
nel grande cortile della Fortezza, sotto il sole rovente di
luglio, quando le produzioni vengono presentate al pubblico
in occasione del Festival. Si entra nel meraviglioso labirinto
dell’Orlando Furioso, dove uno a uno gli spettatori seguivano
un attore isolandosi e perdendosi con lui fra vicoli ciechi
ed improvvise aperture, e si penetra nell’intreccio di corridoi
dell’edificio carcerario, dove si naviga per un po’ fino a scoprirsi
senza uscita.
Cambia la percezione del tempo e del valore attribuito all’opera
dell’uomo. Non ripercorriamo solo la costruzione di uno spettacolo,
ma l’edificazione di un luogo per il teatro – ossia per la visione
– dentro un altro luogo, fatto per sottrarre alla vista, per
nascondere allo sguardo e alle relazioni con gli altri uomini.
“Uno dei vostri paradossi! – dicevo a un attore detenuto, dopo
l’Orlando Furioso – Voi siete la Compagnia che ha maggiori
difficoltà a portare in giro gli spettacoli, e costruite
una scenografia praticamente intrasportabile…”. “No, guarda...
– mi ha risposto lui – non c’è voluto tanto per costruirla:
solo due mesi di lavoro”. I mesi non hanno la stessa lunghezza
– e lo stesso costo – per tutti… e i giorni e gli anni. Diversi
spettacoli hanno toccato questo tema, raccontando agli spettatori
il tempo degli attori detenuti frazionato in mesi e giorni e
ore, come in una litania senza fine: avveniva nella Prigione
della Fortezza2 e, più recentemente, in Fratellini
di legno del Tam, dopo la condanna inferta a Pinocchio dalla
corte.
Una finestra per entrare nel lavoro in carcere è aperta
anche dal video del Tam dedicato alle giornate del progetto
europeo Dentro-Fuori… Frammenti di sessioni di lavoro,
condotte dagli ospiti internazionali, prove di spettacoli, momenti
di incontro con studiosi e figure istituzionali, perché
ogni discorso sul teatro e carcere contiene questi due livelli:
il lavoro creativo e il contesto strutturale. E prima e dopo
lo spettacolo non ci sono gloria né applausi ma quotidianità
dura e impossibile, soprattutto laddove i vincoli burocratici
si aggiungono alle difficoltà delle condizioni di lavoro.
Alcuni racconti: dopo l’accoglienza di Fratellini di legno
al Festival di Santarcangelo, i detenuti respinti dal carcere
dove dovevano andare a dormire, raminghi con il loro regista
nella spiaggia di Rimini in cerca di una soluzione fra tensioni
di ogni sorta. E i detenuti della Fortezza in tournée
a Roma, che vanno a dormire nel carcere di quella città
e vengono sottoposti a perquisizioni e vessazioni di ogni tipo.
Così, su questo tema, della doppia e inestricabile condizione
di artisti e detenuti, è nato, in fondo, l’ultimo spettacolo
della Fortezza, che utilizzava con un’ironia raggelante i luoghi
comuni sul carcere rappresentandoli in una finzione paradossale.
Compagnia
della Fortezza, Insulti al pubblico (1999) da Peter Handke,
regia di Armando Punzo, scene di Valerio Di Pasquale, costumi
e oggetti di Carmen Lùpez Luna, con i detenuti attori
della Compagnia della Fortezza
Foto di Maurizio Buscarino
Insulti al pubblico
La scorsa estate, lo spettacolo che dichiarava di celebrare
il definitivo commiato della Compagnia della Fortezza da un
panorama teatrale ed istituzionale ostile alla sua sopravvivenza,
ha scelto il testo di Peter Handke per trasformare gli Insulti
al pubblico del titolo in una specie di messinscena spudorata
della condizione di “privilegio” di cui, secondo il più
diffuso qualunquismo da bar, godrebbero i carcerati: ospitati
e nutriti a spese dello stato, col televisore in camera… e per
giunta attori di teatro! L’insulto al pubblico consisteva, inizialmente,
nel mostrare tutto questo come vero, anzi: molto di più.
Gli spettatori venivano introdotti nel cortile della Fortezza
trasformato in una specie di villaggio turistico con tanto di
piscina, palme, sabbia, ombrelloni e materassini, accolti dagli
attori detenuti che ballavano e si tuffavano al ritmo assordante
della discobeach. Raccogliendo le indicazioni del regista Armando
Punzo che parlava fuori scena attraverso un microfono (secondo
una modalità non sconosciuta all’intrattenimento televisivo),
un animatore/istruttore di aerobica intratteneva il pubblico,
blandendolo con baci e applausi e sciorinando il più
stucchevole armamentario di smancerie televisive: “Vi voglio
bene… Vi amo… Vi abbraccerei tutti…”. Lo spettacolo della stupidità
mediatica, il trionfo dell’apparenza vacanziera, interrotto
e bruciato a tratti da frammenti di disarmante verità,
da parole e domande vere e dirette, tali da spogliare gli spettatori
di ogni illusoria innocenza: “Qui non vedete uno spettacolo...
Forse vi aspettavate qualcosa?…” E i pochi brani utilizzati
del testo di Handke arrivavano come pugni “Ascoltate parole
morte… vivete in un mondo morto”. Poi, come niente fosse, di
nuovo la sarabanda, fra aerobica, musica leggera, tuffi in piscina
e gesti di seduzione acquatica…Finché ci accorgiamo che,
fra applausi e palloncini colorati, l’insulto che abbiamo sotto
agli occhi è il paesaggio quotidiano da cui proveniamo:
noi frequentatori di spiagge più o meno artificiali,
noi teleutenti rimbecilliti da varietà e talk show, turisti
di massa animati da istruttori palestrati, spettatori di un
teatro che non scegliamo, noi che normalmente non ci sentiamo
insultati dal paesaggio di cui siamo parte (e invece dovremmo
esserlo); ora troviamo insopportabile la finzione della stupidità
allestita per noi. Nei precedenti spettacoli, gli attori della
Fortezza ci avevano mostrato come la verità (della sopraffazione,
dell’umiliazione, dell’assenza di libertà) possa essere
insopportabile, ora ci fanno sperimentare quanto sia intollerabile
la finzione, nel momento in cui ci rovesciano addosso la rappresentazione
del mondo dal quale noi proveniamo, che abbiamo lasciato fuori
da queste mura. E ad insultarci sono i nostri stessi pensieri
di spettatori, attraversati da luoghi comuni e curiosità
morbose, cui dà voce un microfono fuori scena: “Come
saranno a letto? Guarda quello con tutti quei tatuaggi… E quello
senza denti… Gli danno troppo a questi… Si è superato
un limite… Perché ci dicono bravi?… Fuori si lavora”.
Poi l’intrattenimento si fa commiato, presentando, come in una
serata di omaggio, brani dai precedenti spettacoli: Marat
Sade, Orlando Furioso, Masaniello: gli spettacoli che la
Compagnia della Fortezza ha già rappresentato come verità
di una condizione (la loro), ai quali ora preferisce la messinscena
dell’irrealtà (la nostra).
Tam Teatro
Carcere, Fratellini di legno (1999) da Collodi, regia di Michele
Sambin, scrittura di Pierangela Allegro e Francesco Morselli,
con i detenuti attori del Carcere Due Palazzi.
Foto di Claudia Fabris
Fratellini di legno
I Fratellini di legno del Tam si ispirano al Pinocchio
di Collodi per portare gli attori detenuti a raccontarsi, protetti
dal gioco teatrale e illusi dall’innocenza della favola.
Pinocchio ha ormai 116 anni e non è più un burattino:
un attore “storico” del Tam racconta, con il distacco che ne
deriva, una storia che lo riguarda profondamente: e i Pinocchi
si moltiplicano sulla scena e consegnano i loro polsi ai fili/manette
di un invisibile burattinaio.
La trama di Collodi fornisce “uno scenario di trasgressioni,
furbizie, buoni propositi, fregature, sogni” nel quale gli attori
detenuti fanno entrare se stessi e le proprie storie, senza
neppure esplicitare più di tanto i nessi e i rispecchiamenti:
non importa. E’ la presenza eloquente di questi attori a rivelare
stratificazioni di senso, insieme alla molteplicità delle
lingue e delle sonorità dei novelli Pinocchi: tunisini,
egiziani, slavi, napoletani, siciliani… (dei 22 attori, 10 sono
extracomunitari).
Le invenzioni si moltiplicano in un gioco teatrale che è
divertimento vero eppure tiene insieme la leggerezza della farsa
e la realtà di una condizione mai dissimulata né
fatta oggetto di scherzo, anche quando gli attori danno vita
a gag felicissime, fra nasi che si allungano, apparizioni di
un improbabile “fatone turchino”, del gatto e della volpe siciliani
in perfetta parodia mafiosa, mentre la corte che giudica Pinocchio
è risolta con un “numero” da teatrino di fiera.
Il video dello spettacolo articola con belle soluzioni d#i montaggio
lo sviluppo della rappresentazione insieme a brani di materiale
documentario. Si tratta in particolare di una serie di interviste
che il regista, Michele Sambin, sta raccogliendo dopo i primi
9 anni di lavoro in carcere, durante i quali era stato imperativo
categorico non fare domande e quindi non conoscere le vicende
personali e giudiziarie dei detenuti. Volti si accampano in
primo piano portando brandelli di storie: il primo ingresso
in carcere, il passaggio nell’illegalità, l’arrivo in
Italia… Le parole dei detenuti diventano in qualche modo commento
o sottotesto non didascalico delle vicende dei Pinocchi. E insieme
ai fratellini di legno si moltiplicano le occasioni e le casualità
di scelte diventate poi definitive. Ma il finale dello spettacolo
propone un ribaltamento in nome dell’utopia. Un sole si accende,
cala un sipario nel piccolo teatrino e gli attori riappaiono
con le teste infilate nei tagli della tela, incorniciate da
lunghe orecchie come fossero ali. La scelta della condizione
asinina è parabola di innocenza ritrovata in una condizione
originale, di fuoriuscita dal mondo, per immaginare un paese
dove la conoscenza e la parola non siano elementi di discriminazione
e prevaricazione: “dove si sa e dove ci si capisce, anche senza
parole”… Lo spiega il raccontatore che chiude la storia: “Pinocchio
ha preferito trasformarsi in animale per non soffrire e per
non fare del male”.
“Non c’è proposito di salvezza o redenzione che tenga.
– si legge nelle note di regia – Solo la decisione di interrompere
un percorso segnato e esprimere una svolta individuale, realizzata
insieme ad altri, può generare, anche se rari, momenti
di gioia. Il grande peccato sarebbe non accorgersi neppure di
quelli”. O non consentirli, ci viene da aggiungere, ora che
anche l’esperienza del Tam – come perennemente quella della
Fortezza – è messa a rischio da tagli di finanziamenti
e mancanza di sostegno istituzionale.
Tam Teatro
Carcere, B.B. (1998) , scrittura scenica e regia di Pierangela
Allegro, collaborazione artistica di Michele Sambin, con i detenuti
attori del Carcere Due Palazzi.
foto di Elena Bazzolo
Nel modo più paradossale
Il Teatro e Carcere ha trovato la strada dell’ironia, e lo
ha fatto con due spettacoli contemporaneamente. L’ironia caustica
di Insulti al pubblico, la toccante autoironia di
Fratellini di legno. Lo spettatore accetta di essere smascherato
dalla finzione del primo, di farsi commuovere dalle storie non
raccontate del secondo, vede invaso il suo spazio di sicurezza,
sa di essere chiamato in causa perché il teatro vivente
del carcere è quello in cui “l’altro è così
prossimo che potremmo essere noi”3, e accetta anche di essere
coinvolto… come nell’Orlando Furioso aveva accettato
di perdersi in un labirinto avendo per guida un attore detenuto
sudato e tatuato. Quando accetterà di trasferire nella
realtà tutto questo? Insulti al pubblico ce lo
ha spiegato nel modo più paradossale ma anche più
incontrovertibile: è la quotidianità ad insultarci,
e la finzione è prerogativa di chi governa le nostre
menti e, peggio, il nostro immaginario. In carcere questo è
chiaro. Fuori molto meno. Allora ben venga il teatro, a collegare
Dentro-Fuori / Dedans-Dehors / Dins-Fora, in tutte le
lingue possibili, che non sono solo quelle parlate.
Cristina Valenti
1- Orlando Furiosov è stato presentato
il 21 maggio 2000 a Pieve di Cento (Bologna), a cura di Federico
Toni, all’interno di Tracce - rassegna di teatro d’autore,
coproduttrice del CD insieme a Carte Blanche/Volterrateatro,
Associazione Arte e Salute, AUSL di Bologna, Assessorato alla
Sanità della Provincia di Bologna, Assessorato alle politiche
sociali della Regione Emilia Romagna, Assessorato alla Cultura
di Pieve di Cento.
2- Cfr. C. Valenti, La Fortezza e la scena, in
“A” XXVI, 4 maggio 1996, pp. 29-31.
3- Così Marc Augé descrive l’esperienza antropologica.
TAM
TEATRO CARCERE
Produzioni video
1993 “Il cerchio nell’isola”
ripresa video dello spettacolo teatrale di
Pierangela Allegro e Laurent Dupont
riprese video: Giacomo Verde
produzione: TAM teatromusica
1994 “Meditazioni / Progetti paralleli tra arte e vita”
opera video di Michele Sambin
riprese video e montaggio: Giacomo Verde
produzione: TAM teatromusica
1995 “Il riso è un segno di festa”
ripresa video dello spettacolo teatrale di Michele
Sambin
riprese video e montaggio: Giacomo Verde
produzione: TAM teatromusica
1997 “Natura selvatica”
opera video di Michele Sambin
riprese, musiche e regia: Michele Sambin
produzione: TAM teatromusica
1998 “B.B. Viaggio tra le parole di un certo Bertolt
Brecht”
ripresa video dello spettacolo teatrale di Pierangela
Allegro
riprese video: Fabio Gemo
produzione: TAM teatromusica
1999 “Fratellini di legno”
montaggio video dello spettacolo teatrale di Michele
Sambin
riprese video: Fabio Gemo
produzione: TAM teatromusica
1999 “Dentro Fuori / Fora Dins / Dedans Dehors”
Incontro europeo di teatro carcere
Giornate di studio e incontri / visioni / spettacoli
riprese: Fabio Gemo
realizzazione e montaggio video: CSE Padova
Info:
TAM teatromusica
Via XX settembre 28, 35122
Padova Italy - tel/fax +39.049654669 +39.049656692
e-mail tamteatromusica@tiscalinet.it
www.tamteatromusica.it
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CARTE
BLANCHE/
COMPAGNIA DELLA FORTEZZA
Produzioni video
1993 “Le voci di dentro -
Carte Blanche: cinque anni di teatro
nel Carcere di Volterra”
produzione: RAI-TGR in collaborazione con la Provincia
di Pisa
regia: Stefano Marcelli
1994 Documentario della Televisione Tedesca
sul lavoro della Compagnia
della Fortezza
produzione: Eurokick Milano
1996 “Il teatro dentro le mura.
La Compagnia della Fortezza”.
Film documentario
produzione: ZDF
regia: Reinard Keller
1997 La Compagnia della Fortezza -
trilogia “Marat-Sade”, “The Brig”, “I negri”
produzione: Fabrica,
centro di ricerca sulla comunicazione di Oliviero Toscani
1998 “Laboratorio tetrale 1998”
a cura di Pasquale Catalano e Andrea Salvadori
produzione: Carte Blanche - ETI Ente Teatrale Italiano
1999 Documentario della Televisione Francese
sul lavoro della Compagnia della Fortezza
produzione: France 2
regia: Anna Ciulli
Info:
Carte Blanche - Volterrateatro
Via Don Minzoni 49, 56048
Volterra Italy- tel/fax +39.058880392
e-mail carteblanche@iol.it
www.compagniadellafortezza.org
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