Sono il simbolo della speranza che si
materializza in un volo che aspettava di spiccare un intero
popolo. Attorno tante macerie su macerie, nuove su vecchie,
un nuovo dominio (più filo komeinista magari, con qualche spruzzatina
di occidente) che sostituisce un vecchio potere logorato e distrutto
dai B 52 americani.
Su questa guerra si sono versati fiumi di inchiostro, sulla
miseria delle sue conseguenze poche righe, qualche coraggioso
reportage di giornalisti sempre più rari. Tutto viene consumato,
anche le tragedie come questa, niente è risparmiato al tavolo
dello “spettacolo”.
Il cocktail di potere politico, religioso ed economico ancora
una volta ha funzionato, grazie al contributo del quarto potere,
nel creare, distruggere, ricreare, le espressioni di se stesso
e soprattutto nel far apparire ciò, non solo come cosa ineluttabile,
ma soprattutto come giusta, o meglio “giustizia infinita”.
Altre guerre, altre tragedie per i poveri, altri profitti per
i ricchi sono all’orizzonte, qualcuna già in corso in questo
nostro mondo. Altri “burka” si stanno indossando in qualche
parte del pianeta, magari chiamati con altro nome, confezionati
con altre stoffe, più o meno visibili, ma sempre frutto del
dominio e dell’oppressione.
L’insegnamento ancora una volta è lo stesso di sempre: non c’è
guerra giusta, utile, necessaria per l’emancipazione umana.
I detriti che lascia dietro di sé sono forieri di altre tensioni,
ingiustizie, malvagità che a loro volta producono solo altre
guerre, violenze, sofferenze.
Però ogni volta il Potere si rafforza, le coscienze si assopiscono,
la “normalità” trionfa.
Ad occidente e ad oriente, a nord e a sud, un comune filo (meglio
sarebbe dire una catena) tiene legate le popolazioni e addomestica
le individualità. È appunto il laccio del dominio comunque
espresso e sviluppato, è la costrizione della società da parte
dello Stato.
Anche in questo soffocante clima però aneliti di autonomia,
di libertà, di solidarietà, non solo germogliano ma rappresentano
un’altra società, altri valori, testimoniando con i fatti quotidiani
che non solo è possibile costruire un mondo diverso, ma che
questo esiste già, nasce spontaneamente tra le maglie pur strette
e soffocanti delle società autoritarie.
Un rivolo, poi un torrente
Anche laddove il potere assume le sembianze più crude e folli,
come nei regimi fondamentalisti, la resistenza di chi ha nascosto
gli aquiloni, le penne e i quaderni, le pellicole, magari qualche
vestito più colorato, trova qualche momento per esprimersi più
liberamente, prima di venire magari incanalata verso un nuovo
dominio. E quando questa si incontra con altre resistenze, magari
fatte di medici ed infermieri, di volontari, di pacifisti integrali,
si contamina e si arricchisce, si integra e si sviluppa, lì
ma anche qui, e si solidifica al di fuori dei vincoli e delle
costrizioni statali o di potere, magari produce un sussulto,
un rivolo, che si può trasformare in torrente, e poi in fiume
fino a fondersi nel mare della libertà e della giustizia.
Sono questi movimenti che possono cambiare il mondo, liberando
potenzialità ed energie che già ci sono, che vivono spesso assopite
ma che tenacemente spuntano ogni primavera rinnovando la creazione
e producendo la rinascita mai uguale a prima ma sempre diversa.
Quando la solidarietà può esprimersi è in grado di costituire
una vera forza motrice capace di trovare soluzioni impensabili
da ogni forma di potere, divergenti e creative, ma soprattutto
sentite e partecipate, autonome e libere.
La vita quotidiana è ricca di esempi di azioni positive, di
pratica comune di strade nuove, magari con imprevisti e incertezze,
ma portano in luoghi più piacevoli e veri di quelli artificiali
e falsi del consumismo e dell’indifferenza. Queste realtà poi
hanno la forza di espandersi e di moltiplicarsi, di diffondersi
suscitando una vera e praticabile rivoluzione ancor oggi: quella
della rottura del proprio immaginario, condizione indispensabile
per ogni cambiamento vero e profondo.
Sono azioni e comportamenti che si alimentano di discontinuità
continue rispetto all’immaginario dominante, che si realizzano
concretamente e producono effetti immediati naturalmente parziali,
ma proprio per questo più facilmente riscontrabili e comprensibili
da parte di molti. Questa maggiore comprensione deriva dal fatto
che queste azioni sono compiute da altri esseri umani, non necessariamente
ed esteriormente differenti da noi, ma che proprio per questo,
e non solo ovviamente, sono in grado di toccare le corde giuste
nel modo giusto in modo singolare e unico.
Voglio dire che molto spesso dovremmo evitare di avvitarci in
comportamenti e atteggiamenti che possano produrre in chi ci
ascolta una immediata e repentina distanza, un epidermico rifiuto.
Naturalmente non si tratta di nascondersi, ma neppure di esibirsi.
Ciò che vale è insinuare punti di domanda, stimolare ricerche
e riflessioni, non dare risposte definitive. Bisogna facilitare
la ricerca delle risposte non spiattellare verità rivelate.
Per fare questo occorre essere modesti, sinceri, autonomi anche
perché molto spesso abbiamo più da imparare da tanti individui,
uomini e donne, ragazzi e ragazze, che già percorrono strade
che a noi magari piace solo teorizzare.
Il burka e il sole
Insomma nella rottura decisa e irreversibile che dobbiamo compiere
dentro di noi rispetto alla sostanza del mondo autoritario,
violento e consumistico, noi possiamo permettere agli altri
che avviciniamo, o di riconoscersi dentro di loro nella loro
naturale essenza, oppure costituire un alibi, o peggio la conferma,
alla loro adesione alla logica del potere. Se le nostre azioni,
i nostri comportamenti non sono in grado di toccare queste sensibilità
e di provocare, anche progressivamente, questa identica rottura,
questa sacrosanta discontinuità con l’esistente, allora significa
che qualche cosa non funziona. Le nostre azioni hanno significato
in quanto possono essere capite, magari anche non subito, ma
non possono esaurirsi esclusivamente nell’atto di compiersi,
devono suscitare dei sentimenti, muovere valori, risvegliare
coscienze, turbare certezze, insinuare punti di domanda. Non
possiamo essere degli esteti dell’azione, né dei martiri irraggiungibili,
degli angeli vendicatori, freddi e determinati. Sono le passioni,
i sentimenti che, uniti alla ragione, dovrebbero guidare i nostri
comportamenti. E si sa che questo mix non sempre è lineare,
non sempre è esente da incoerenze, ma senza pathos, senza questa
tensione etica, non si può passare dalla rottura del proprio
immaginario (necessaria ed inevitabile) alla positività della
costruzione dell’alternativa.
Senza la prospettiva del volo libero degli aquiloni, senza l’eco
delle proprie convinzioni, senza il riverbero dei propri sentimenti,
non si può uscire dalle strette del potere e del contropotere.
Lo Stato non esiste solo in virtù dell’esercizio della sua forza
ma anche grazie alla capacità di replicare negli esseri umani
la sua logica.
La rivoluzione oggi più di ieri si gioca soprattutto nel contrapporre
questo pathos e questo ethos nella quotidianità della propria
esistenza alle fredde verità del dominio comunque espresso.
Allora l’incontro tra resistenze diverse, a latitudini diverse
e magari distanti, può produrre attraverso la forma dialogica
e non dialettica, nuove espressioni di libertà, nuove contraddizioni,
nuove incertezze, nuove domande, più ampie e ricche, di anarchismo
etico-pragmatico al posto di tutti gli “ismi” prodotti dalle
religioni della “razionalità” e della “fede”.
Per ogni burka che ci si toglie bisogna prevedere di poter affrontare
la luce del sole senza timore di ogni dio, senza soprattutto
paura di svelare fino in fondo se stessi.
Francesco Codello
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