rivista anarchica
anno 32 n. 278
febbraio 2002


guerra

Gli aquiloni sono tornati a volare a Kabul
di Francesco Codello

A proposito di fondamentalismi, rivoluzione, libertà.

Sono il simbolo della speranza che si materializza in un volo che aspettava di spiccare un intero popolo. Attorno tante macerie su macerie, nuove su vecchie, un nuovo dominio (più filo komeinista magari, con qualche spruzzatina di occidente) che sostituisce un vecchio potere logorato e distrutto dai B 52 americani.
Su questa guerra si sono versati fiumi di inchiostro, sulla miseria delle sue conseguenze poche righe, qualche coraggioso reportage di giornalisti sempre più rari. Tutto viene consumato, anche le tragedie come questa, niente è risparmiato al tavolo dello “spettacolo”.
Il cocktail di potere politico, religioso ed economico ancora una volta ha funzionato, grazie al contributo del quarto potere, nel creare, distruggere, ricreare, le espressioni di se stesso e soprattutto nel far apparire ciò, non solo come cosa ineluttabile, ma soprattutto come giusta, o meglio “giustizia infinita”.
Altre guerre, altre tragedie per i poveri, altri profitti per i ricchi sono all’orizzonte, qualcuna già in corso in questo nostro mondo. Altri “burka” si stanno indossando in qualche parte del pianeta, magari chiamati con altro nome, confezionati con altre stoffe, più o meno visibili, ma sempre frutto del dominio e dell’oppressione.
L’insegnamento ancora una volta è lo stesso di sempre: non c’è guerra giusta, utile, necessaria per l’emancipazione umana. I detriti che lascia dietro di sé sono forieri di altre tensioni, ingiustizie, malvagità che a loro volta producono solo altre guerre, violenze, sofferenze.
Però ogni volta il Potere si rafforza, le coscienze si assopiscono, la “normalità” trionfa.
Ad occidente e ad oriente, a nord e a sud, un comune filo (meglio sarebbe dire una catena) tiene legate le popolazioni e addomestica le individualità. È appunto il laccio del dominio comunque espresso e sviluppato, è la costrizione della società da parte dello Stato.
Anche in questo soffocante clima però aneliti di autonomia, di libertà, di solidarietà, non solo germogliano ma rappresentano un’altra società, altri valori, testimoniando con i fatti quotidiani che non solo è possibile costruire un mondo diverso, ma che questo esiste già, nasce spontaneamente tra le maglie pur strette e soffocanti delle società autoritarie.


Un rivolo, poi un torrente

Anche laddove il potere assume le sembianze più crude e folli, come nei regimi fondamentalisti, la resistenza di chi ha nascosto gli aquiloni, le penne e i quaderni, le pellicole, magari qualche vestito più colorato, trova qualche momento per esprimersi più liberamente, prima di venire magari incanalata verso un nuovo dominio. E quando questa si incontra con altre resistenze, magari fatte di medici ed infermieri, di volontari, di pacifisti integrali, si contamina e si arricchisce, si integra e si sviluppa, lì ma anche qui, e si solidifica al di fuori dei vincoli e delle costrizioni statali o di potere, magari produce un sussulto, un rivolo, che si può trasformare in torrente, e poi in fiume fino a fondersi nel mare della libertà e della giustizia.
Sono questi movimenti che possono cambiare il mondo, liberando potenzialità ed energie che già ci sono, che vivono spesso assopite ma che tenacemente spuntano ogni primavera rinnovando la creazione e producendo la rinascita mai uguale a prima ma sempre diversa.
Quando la solidarietà può esprimersi è in grado di costituire una vera forza motrice capace di trovare soluzioni impensabili da ogni forma di potere, divergenti e creative, ma soprattutto sentite e partecipate, autonome e libere.
La vita quotidiana è ricca di esempi di azioni positive, di pratica comune di strade nuove, magari con imprevisti e incertezze, ma portano in luoghi più piacevoli e veri di quelli artificiali e falsi del consumismo e dell’indifferenza. Queste realtà poi hanno la forza di espandersi e di moltiplicarsi, di diffondersi suscitando una vera e praticabile rivoluzione ancor oggi: quella della rottura del proprio immaginario, condizione indispensabile per ogni cambiamento vero e profondo.
Sono azioni e comportamenti che si alimentano di discontinuità continue rispetto all’immaginario dominante, che si realizzano concretamente e producono effetti immediati naturalmente parziali, ma proprio per questo più facilmente riscontrabili e comprensibili da parte di molti. Questa maggiore comprensione deriva dal fatto che queste azioni sono compiute da altri esseri umani, non necessariamente ed esteriormente differenti da noi, ma che proprio per questo, e non solo ovviamente, sono in grado di toccare le corde giuste nel modo giusto in modo singolare e unico.
Voglio dire che molto spesso dovremmo evitare di avvitarci in comportamenti e atteggiamenti che possano produrre in chi ci ascolta una immediata e repentina distanza, un epidermico rifiuto. Naturalmente non si tratta di nascondersi, ma neppure di esibirsi. Ciò che vale è insinuare punti di domanda, stimolare ricerche e riflessioni, non dare risposte definitive. Bisogna facilitare la ricerca delle risposte non spiattellare verità rivelate. Per fare questo occorre essere modesti, sinceri, autonomi anche perché molto spesso abbiamo più da imparare da tanti individui, uomini e donne, ragazzi e ragazze, che già percorrono strade che a noi magari piace solo teorizzare.


Il burka e il sole

Insomma nella rottura decisa e irreversibile che dobbiamo compiere dentro di noi rispetto alla sostanza del mondo autoritario, violento e consumistico, noi possiamo permettere agli altri che avviciniamo, o di riconoscersi dentro di loro nella loro naturale essenza, oppure costituire un alibi, o peggio la conferma, alla loro adesione alla logica del potere. Se le nostre azioni, i nostri comportamenti non sono in grado di toccare queste sensibilità e di provocare, anche progressivamente, questa identica rottura, questa sacrosanta discontinuità con l’esistente, allora significa che qualche cosa non funziona. Le nostre azioni hanno significato in quanto possono essere capite, magari anche non subito, ma non possono esaurirsi esclusivamente nell’atto di compiersi, devono suscitare dei sentimenti, muovere valori, risvegliare coscienze, turbare certezze, insinuare punti di domanda. Non possiamo essere degli esteti dell’azione, né dei martiri irraggiungibili, degli angeli vendicatori, freddi e determinati. Sono le passioni, i sentimenti che, uniti alla ragione, dovrebbero guidare i nostri comportamenti. E si sa che questo mix non sempre è lineare, non sempre è esente da incoerenze, ma senza pathos, senza questa tensione etica, non si può passare dalla rottura del proprio immaginario (necessaria ed inevitabile) alla positività della costruzione dell’alternativa.
Senza la prospettiva del volo libero degli aquiloni, senza l’eco delle proprie convinzioni, senza il riverbero dei propri sentimenti, non si può uscire dalle strette del potere e del contropotere.
Lo Stato non esiste solo in virtù dell’esercizio della sua forza ma anche grazie alla capacità di replicare negli esseri umani la sua logica.
La rivoluzione oggi più di ieri si gioca soprattutto nel contrapporre questo pathos e questo ethos nella quotidianità della propria esistenza alle fredde verità del dominio comunque espresso.
Allora l’incontro tra resistenze diverse, a latitudini diverse e magari distanti, può produrre attraverso la forma dialogica e non dialettica, nuove espressioni di libertà, nuove contraddizioni, nuove incertezze, nuove domande, più ampie e ricche, di anarchismo etico-pragmatico al posto di tutti gli “ismi” prodotti dalle religioni della “razionalità” e della “fede”.
Per ogni burka che ci si toglie bisogna prevedere di poter affrontare la luce del sole senza timore di ogni dio, senza soprattutto paura di svelare fino in fondo se stessi.

Francesco Codello