rivista anarchica
anno 32 n. 279
marzo 2002


 

Ricordo di Horst Fantazzini

Sullo scorso numero abbiamo pubblicato un testo di Pino Cacucci ed una poesia di Valeria Vecchi su Horst Fantazzini, morto nel carcere della Dozza – a Bologna – lunedì 24 dicembre 2001. Pubblichiamo ora il testo letto da Patrizia “Pralina” al funerale di Horst Fantazzini, a Bologna sabato 29 dicembre scorso. Pralina è stata la compagna di Horst in questi ultimi anni, nonché l’instancabile promotrice di tante iniziative di denuncia della situazione carceraria e legale di Horst.
Noi di “A” siamo stati in corrispondenza con Horst fin dagli anni ’70, ne abbiamo ospitato scritti sulla nostra rivista, lo abbiamo sempre seguito nel suo peregrinare tra carceri, supercarceri, sogni e fughe di libertà. Non sempre ne abbiamo condiviso comportamenti e posizioni, sempre ne abbiamo apprezzato sensibilità e dignità. E gli abbiamo voluto bene.


Queste sono poche righe davanti alla vita straordinaria di un uomo che non si è mai risparmiato, che non ha mai fatto calcoli, che non ha mai avuto paura davanti agli sbirri neanche quando gli sparavano addosso per ucciderlo, e non riuscendovi cercavano di seppellirlo in carcere, di disgregare i suoi affetti e la sua vita con mille ricatti e mille metodi coercitivi, ricatti affettivi squallidi… Horst non si è mai piegato davanti al potere, ha soltanto mostrato il suo lato tenero, il suo lato di bambino indifeso che urlava “IL RE È NUDO!!” e per questo suo lato l’ho amato disperatamente e noi tutti gli abbiamo voluto bene. Pur conoscendo la sua vita e la sua storia e non essendo sempre d’accordo con le sue scelte. Negli ultimi tempi, Horst aveva una voglia incredibile di avere una vita “normale”, la vita “normale” non è quella vita insulsa vuota da ogni tensione esistenziale, ma una vita che rendesse giustizia anche al bambino che era in lui, anche all’artista che era in lui, che usciva dopo 40 anni di carcere, e anche a me, che avevo subito tante pesanti umiliazioni ma non per questo piegata o doma, e che per questo potevo comprendere più di tutti la condizione di disgregazione familiare e di carcerazione umana che va ben al di là dell’istituzione carcere.
Questi 5 anni per noi sono stati certamente difficili, ma belli, pieni di tensioni; il rapporto con Horst era di assoluta sincerità, come diceva lui “tu sei la persona più pulita che io abbia mai conosciuto ed io ti voglio bene come un padre, perché per me sei proprio come una bimba”; il rapporto con Horst era di grandissima sensualità, di erotismo, di gioco, di pazzia, di progetti da realizzare, di amicizie da vivere, noi avevamo una bellissima casa immersa nel verde e ultimamente anche un cane, ma nessun lusso né agio, la nostra bella casa costruita per lui da Libero che lui chiamava “il nostro nido” aveva problemi urgenti e costanti di essere sistemata e questo lo sanno solo quelli che ci frequentavano, quei pochi che ci davano una mano per renderla vivibile. Per la mancanza di soldi i lavori procedevano a rilento e alcune volte “riciclavamo” i mobili dall’immondizia, ma noi eravamo felici. Eppure, con mille problemi, qualche piccolo lusso ce lo concedevamo senza chiedere niente a nessuno. Niente di più e niente di meno di qualche pranzo o qualche cena, Horst era stanco di mangiare la sbobba schifosa del carcere...
Siamo stati dignitosi in tutto, e ci siamo voluti un bene immenso, un bene vero, che non si può neanche quantificare. Questo era sicuramente il nostro momento più difficile: Horst usciva dal carcere alle 6 del mattino per andare a lavorare con il buio e con il freddo; lavorava in magazzino con la giacca addosso per ripararsi dal freddo, aveva dei problemi di salute abbastanza seri che non aveva raccontato a nessuno (poiché quando un semilibero sta male... deve tornare in carcere), tornava a casa per trascorrervi appena tre ore, tornava in carcere rigorosamente per le 10 di sera con qualsiasi tempo, dormiva appena due o tre ore per notte, perché nelle sezioni semiliberi ci sono molti problemi. Era molto stanco, sofferto, dimagrito, e soprattutto dormiva pochissimo.
Eppure, anche in questa condizione (che alla maggior parte dei compagni era oscura), c’era un po’ di spazio per noi. Allora le piccole cose quotidiane, preparargli un caffè, cuocergli un piatto di tagliatelle con il ragù fatto in casa, acquistavano il significato di casa vera, di vera famiglia.
Gli dicevo, ora che abbiamo lottato tanto per farti avere la semilibertà e che stiamo aspettando la grazia, se tu facessi qualche altra stupidaggine non solo butteresti nella merda le poche persone che hanno creduto in te, ma rovineresti tutto.
Ma evidentemente la tensione per la libertà in lui era troppo forte, e un giorno senza farmene partecipe mi ha messo davanti al fatto compiuto. La telefonata del suo avvocato, una bastonata sul collo mentre tornavo in treno a casa con un assegno in tasca. Avevo appena venduto due ritratti, ero felice perché lui mi spronava a disegnare, ma anche perché dietro quella commissione c’erano speranze concrete per entrambi…
Io non giudico lui e il suo gesto fragile e in fondo ridicolo ma questo sistema di merda che non ha saputo offrirgli altro che un duro lavoro in magazzino alla sua età (62) e ancora tanti anni di carcere davanti.
Il dolore che sto provando, davanti a una fine così ingiusta, così assurda, ma così “normale”: dato che in carcere ci vanno soltanto i poveracci…non potete neanche immaginarla.
Restano piccole e grandi umiliazioni, mai perdonate e mai dimenticate, che un giorno renderò veramente pubbliche.
Horst, il mio dolce e buffo Horst, è volato via per sempre e non tornerà mai più in nessun carcere. Ti porterò per sempre nel mio cuore e onorerò per sempre la tua memoria, il tuo coraggio, le cose che hai scritto, quelle che hai detto, la voglia che io diventi una grande artista. E insieme la memoria di mamma Bertha, di Maria, di Libero, con amore. Grazie Anna 1 e 2, grazie Loris, grazie Luigi, ti voglio bene Jacopo. Grazie avvocati che avete creduto in noi e che ci siete stati amici. Grazie a tutti gli amici e amiche che ci sono stati vicini. Liberi tutti!. Viva l’Anarchia!!
Ciao topolino!!

La tua
Pralina Fantazzini

 

La sinistra e le due libertà

“Una città”, rivista che ormai da dieci anni viene pubblicata a Forlì, è senza dubbio uno strano ‘rotocalco culturale’ (come essa stessa si definisce), e lo è per più di un motivo. In un’epoca in cui quasi tutta la stampa, ritenendo la lettura una specie di fast-food della mente, rincorre gli articoli brevi, la rivista – fedele al suo slogan pubblicitario ‘Un impegno a domandare’ – vede le sue 24 pagine formato tabloid quasi interamente composte da interviste lunghissime, fatte a scrittori, operatori sociali, filosofi, militanti, giornalisti, studiosi delle più diverse discipline, senza però mai dimenticare la ‘gente comune’, le cui storie personali sono spesso un ottimo prisma attraverso cui vedere sia le trasformazioni e gli accadimenti della società, italiana e non. Fedele a questa impostazione ‘domandante’, ‘Una città’, che è fatta da non-professionisti, ha fra l’altro seguito da vicino, oltre alla situazione italiana, la lotta dei democratici algerini contro il fondamentalismo religioso, così come le vicende della Bosnia, del Kossovo, della Cecenia, del Rwanda, tematizzando le questioni che in tali vicende emergevano, motivo per cui non raramente, nonostante l’ispirazione di sinistra della rivista, si è trovata su posizioni assai critiche sia rispetto alle posizioni della sinistra ‘ufficiale’ che rispetto al mondo pacifista e ‘antagonista’. Proprio l’impostazione culturale-politica, come accennato, è infatti un’altra delle particolarità di ‘Una città’. I suoi redattori e collaboratori, tutti provenienti da varie esperienze e tendenze della sinistra, rivendicano orgogliosamente tale collocazione, tuttavia non per questo rinunciano ad interrogarsi a ‘360 gradi’, mentre, dall’altra parte, cercano di capire cosa possano oggi significare ‘libertarismo, cooperativismo, cosmopolitismo’, termini in cui si riconoscono ed in cui credono di poter sommariamente sintetizzare la tensione che li muove.
Proprio per cercare di rispondere a tale questione, in ‘Una città’ sono sempre apparse interviste incentrate non solo sui grandi problemi della storia della sinistra (in particolare sulla natura, e sulla ingloriosa fine, del comunismo sovietico), ma anche su personaggi e pensatori, marginalizzati dalla sua storia ‘ufficiale’, come Proudhon, Kropotkin, Andrea Caffi, Francesco Saverio Merlino, Osvaldo Gnocchi-Viani, Paul Goodman, Benjamin Tucker, Nicola Chiaromonte, Ralph Waldo Emerson, John Stuart Mill, Piero Gobetti, Berneri, Carlo Rosselli, Bruno Rizzi. Tale interesse ha progressivamente configurato una ‘altra tradizione’, diversa da quella marxista e da quella socialdemocratica, e polemica con esse, ma anche distinta – pur se con essa intrecciata, spesso criticamente – da quella specificamente anarchica e da essa coloro che fanno ‘Una città’ pensano possano venire spunti e riflessioni che portino ad un ‘rifondazione’ dell’intera sinistra che, lasciandosi alle spalle i miti del rivoluzionarismo, del comunismo – più o meno marxista e più o meno rifondato – e le logiche stataliste, sia in grado non solo di contrastare il liberismo berlusconiano trionfante, ma anche di aprire nuove vie, in grado di reggere le sfide – sociali, culturali, politiche – che il nostro tempo di trasformazione e di crisi pone.
Da tutto questo è nato il convegno ‘La sinistra e le due libertà’ che, in occasione dell’uscita del suo centesimo numero, ‘Una città’ ha organizzato nei giorni 10 e 11 gennaio 2002. L’intenzione del convegno era quella di mostrare, attraverso il riesame di riflessioni “lontane nel tempo”, come la tradizione della sinistra non-marxista sia proprio incentrata, partendo da Proudhon ed arrivando a Berneri, Carlo Rosselli o Guido Calogero, sulla valorizzazione della libertà e come tale valorizzazione non solo sia di segno ben diverso dalla libertà dell’homo homini lupus del liberismo contemporaneo, ma sia forse anche in grado – correggendo la libertà con l’eguaglianza e l’eguaglianza con la libertà, così come favorendo serie pratiche di democrazia di base – di togliere terreno al liberismo stesso senza per questo dover ricorrere a nuove forme di statalizzazione o di difesa verticistica e paternalistica dei ceti più deboli. Le due giornate del convegno, proprio per favorire il dibattito, erano divise fra la mattinata, interamente occupata dalle relazioni, e il pomeriggio, totalmente dedicato al dibattito, ed hanno visto la partecipazione di un pubblico non numeroso (mediamente 40-45 persone), ma partecipe al dibattito.
La prima giornata ha preso avvio con la relazione di Pino Ferraris che, in una relazione tanto interessante quanto emotivamente partecipata, ha mostrato i motivi delle profonde differenze che dividevano, alla fine del XIX secolo, il socialismo democratico di marca autoritaria di Turati da quello libertario di Merlino e di Osvaldo Gnocchi-Viani. Ha proseguito Pier Paolo Poggio parlando della contradditoria, ma feconda, coesistenza, nel pensiero di Aleksandr Herzen e del populismo russo, della fiducia nell’obcina, la tradizionale e chiusa comunità rurale russa, con la volontà di allargare e salvaguardare la libertà individuale in una società socialista. Nico Berti ha invece incentrato la relazione sulla concezione proudhoniana della proprietà, sottolineando come per il pensatore francese da un lato, cioè quando è monopolio, essa sia “un furto”, ma anche come, dall’altro lato, essa sia la base materiale che garantisce la libertà individuale. Questa apparente contradditorietà, ha spiegato Berti, dipende dall’assunto gnoseologico di Proudhon, che vede la realtà costitutivamente plurale e antinomica, cosicché non è per lui possibile abolire in toto la proprietà o l’autorità, il che però non significa che per lui lo stato o il capitalismo non fossero abolibili, mentre significa invece che non è possibile abolire la politica o arrivare al comunismo.
Pietro Adamo, infine, ha illustrato il dibattito che, negli ambienti antifascisti parigini degli anni ’30 del ’900, portò pensatori e militanti come il socialista liberale Carlo Rosselli, l’anarchico Camillo Berneri, i socialisti libertari Andrea Caffi e Nicola Chiaromonte, i repubblicani ‘sociali’ Schiavetti e Montasini, i socialisti Jacometti e Silone, a dialogare fra di loro. Un dialogo che li portò ad ipotizzare, come sbocco della rivoluzione antifascista, forme originali, e assai simili, di socialismo libertario, sostanzialmente basate sulla libera sperimentazione economica, quindi anche su forme di mercato, e su un ambito politico pensato non come statualità, ma come progressivo convergere, in un ambito federalista, di autonomie sociali (come sindacati e cooperative di produzione) e locali (come comuni e soviet), il tutto in un quadro istituzionale che garantisse anche ai singoli la più ampia libertà politica ed economica. Il dibattito su questi temi, coordinato da Gianni Sofri, ha soprattutto messo in mostra, anche grazie agli interventi del sociologo Aldo Bonomi e del sindacalista Andrea Ranieri, come da tali teorizzazioni possano venire oggi spunti e proposte che potrebbero permettere ad una sinistra rinnovata di dialogare proficuamente con una società ed un mondo del lavoro che, almeno nei paesi avanzati, ha subito, e continuamente subisce, trasformazioni enormi, tali da renderli praticamente imparagonabili con quelli dell’800 o di quasi tutto il ‘900.
La seconda giornata (cui è mancata la prevista partecipazione di Massimo La Torre), coordinata da Fabrizio Tonello, si è invece aperta con la densa relazione di Nadia Urbinati, che ha mostrato le radici crociane del socialismo liberale di Carlo Rosselli – nel quale libertà ed eguaglianza sono visti come termini fra loro “in una continua tensione” – e le differenze fra questo ed il liberalsocialismo di Guido Calogero e Aldo Capitini, per i quali, invece, libertà ed eguaglianza sono due ‘facce’ diverse di una stessa tensione. Queste due diverse impostazioni, ha sottolineato la Urbinati, non solo hanno dialogato fra loro, ma hanno anche influenzato la cultura e la politica italiane, rimanendo rintracciabili soprattutto in quella ‘terza forza’ laica che fin dal dopoguerra tentò di mantenere viva l’alternativa sia al paternalismo clericale democristiano che al verticismo autoritario del Pci. Ha proseguito poi Guido Montani, con un excursus sul rapporto fra le varie tendenze della sinistra e l’idea di federazione europea. Montani ha mostrato come l’idea di federazione europea, e in prospettiva mondiale, fosse, nell’800, patrimonio dell’intero pensiero della sinistra, compresa quella marxista e comunista, e come essa sia stata messa in crisi dapprima dalla Prima Guerra Mondiale, che di fatto significò anche la crisi dell’ideale di internazionalismo proletario, e in seguito dall’affermarsi del potere comunista in Russia che, con la teoria del ‘socialismo in un solo paese’ e la conseguente difesa della ‘patria socialista’ da parte della maggioranza comunista dei movimenti operai, di fatto pose la pietra tombale su una impostazione realmente federalista e democratica nella costituzione dell’unione europea iniziatasi negli anni ’50. Non tutto è però perduto per un vero federalismo europeo, ha concluso Montani, e proprio la caduta del comunismo e dei blocchi hanno indubbiamente aperto prospettive ancora in gran parte da cogliere.
Ha concluso le relazioni Luca Baccelli, che si è incentrato sul dibattito, molto ampio soprattutto in area anglosassone, fra liberalismo, comunitarismo e neorepubblicanesimo, un dibattito in cui la rivalutazione della tradizione repubblicana che, partendo da Aristotele e dalla polis greca passa per i liberi comuni italiani del medio evo, per la rivoluzione americana, per la costituzione degli Stati Uniti e per la rivoluzione francese, si accompagna, anche sulla scorta del pensiero di Hannah Arendt, ad una riflessione sulla libertà. Proprio riflettendo su tale problema, il neorepubblicanesimo critica tanto l’accezione liberale – che vede la libertà come essenzialmente ‘negativa’, cioè come ‘libertà da’–, che quella comunitaria, per la quale il legame sociale dato dalle comunità ‘naturali’ (quindi sostanzialmente etniche), considerato ineludibile e vincolante, già ‘riempirebbe’ ogni possibile ‘libertà positiva’, cioè ogni ‘libertà di’. A fronte di tali manchevolezze il neorepubblicanesimo teorizza una ‘terza libertà’, cioè la libertà come ‘non dominio’, la quale da una parte condivide con la libertà liberale ‘negativa’ l’accento posto sulla necessità che l’individuo sia il più possibile lasciato libero nel suo agire, mentre, dall’altro lato, sottolinea però anche la necessità di istituire norme, rapporti e istituzioni che – senza alcun obbligo, ma come espressione dell’autoorganizzazione dei gruppi sociali e della conflittualità che ne consegue – favoriscano la partecipazione dei cittadini alla gestione della polis, unica condizione perché anche le diseguaglianze sociali siano via via progressivamente superate.
Tutti questi temi hanno non poco ‘scaldato’ i presenti ed il dibattito, animato soprattutto dagli interventi di Marco Cossutta, si è appuntato sul problema dei diritti e degli spazi di reale gestione/partecipazione, se cioè essi debbano essere politico-sociali, quindi essenzialmente affidati alla capacità d’azione e alla volontà dei cittadini e delle loro organizzazioni e associazioni, o istituzionali, cioè previsti, e resi intangibili, da una ‘carta di base’ al di là del fatto concreto che tali diritti e spazi siano poi realmente ed attivamente agiti dai cittadini stessi.
Come era prevedibile non si è giunti a conclusioni unitarie, ma questo non ha certo stupito i promotori del convegno, i quali fin dall’inizio avevano chiarito che lo scopo per cui esso era stato organizzato non era quello di fornire risposte, ma, al contrario, di offrire materiale di riflessione e spunti per l’agire di una sinistra che voglia rinnovarsi radicalmente. Un rinnovamento che, nelle loro speranze, dovrebbe mettere radicalmente in discussione sia l’agire della sinistra ‘ufficiale-riformista’ – centrato sulla presenza parlamentare, dal punto di vista politico, e sulla logica di un sindacalismo verticistico e, non raramente, pericolosamente vicino a tentazioni corporative –, sia quello della sinistra ‘sociale-rivoluzionaria’, troppo spesso ancora preda dei miti della rivoluzione e dell’astratto ‘antagonismo’, di un terzomondismo sovente discutibile, di un anticapitalismo semplicistico ed incapace di cogliere le trasformazioni in atto.

Franco Melandri

 

contro il militarismo


Livorno, 2 febbraio. Due-tremila persone hanno preso parte alla vivace manifestazione antimilitarista anarchica, che ha attraversato la città. Nelle foto (di Franco Pasello) alcuni dei molti striscioni presenti.