Ricordo di Horst Fantazzini
Sullo scorso numero abbiamo pubblicato un
testo di Pino Cacucci ed una poesia di Valeria Vecchi su Horst
Fantazzini, morto nel carcere della Dozza – a Bologna – lunedì
24 dicembre 2001. Pubblichiamo ora il testo letto da Patrizia
“Pralina” al funerale di Horst Fantazzini, a Bologna sabato
29 dicembre scorso. Pralina è stata la compagna di Horst in
questi ultimi anni, nonché l’instancabile promotrice di tante
iniziative di denuncia della situazione carceraria e legale
di Horst.
Noi di “A” siamo stati in corrispondenza con Horst fin dagli
anni ’70, ne abbiamo ospitato scritti sulla nostra rivista,
lo abbiamo sempre seguito nel suo peregrinare tra carceri, supercarceri,
sogni e fughe di libertà. Non sempre ne abbiamo condiviso comportamenti
e posizioni, sempre ne abbiamo apprezzato sensibilità e dignità.
E gli abbiamo voluto bene.
Queste sono poche righe davanti alla vita straordinaria
di un uomo che non si è mai risparmiato, che non ha mai fatto
calcoli, che non ha mai avuto paura davanti agli sbirri neanche
quando gli sparavano addosso per ucciderlo, e non riuscendovi
cercavano di seppellirlo in carcere, di disgregare i suoi affetti
e la sua vita con mille ricatti e mille metodi coercitivi, ricatti
affettivi squallidi… Horst non si è mai piegato davanti al potere,
ha soltanto mostrato il suo lato tenero, il suo lato di bambino
indifeso che urlava “IL RE È NUDO!!” e per questo suo
lato l’ho amato disperatamente e noi tutti gli abbiamo voluto
bene. Pur conoscendo la sua vita e la sua storia e non essendo
sempre d’accordo con le sue scelte. Negli ultimi tempi, Horst
aveva una voglia incredibile di avere una vita “normale”, la
vita “normale” non è quella vita insulsa vuota da ogni tensione
esistenziale, ma una vita che rendesse giustizia anche al bambino
che era in lui, anche all’artista che era in lui, che usciva
dopo 40 anni di carcere, e anche a me, che avevo subito tante
pesanti umiliazioni ma non per questo piegata o doma, e che
per questo potevo comprendere più di tutti la condizione di
disgregazione familiare e di carcerazione umana che va ben al
di là dell’istituzione carcere.
Questi 5 anni per noi sono stati certamente difficili, ma belli,
pieni di tensioni; il rapporto con Horst era di assoluta sincerità,
come diceva lui “tu sei la persona più pulita che io abbia
mai conosciuto ed io ti voglio bene come un padre, perché per
me sei proprio come una bimba”; il rapporto con Horst era
di grandissima sensualità, di erotismo, di gioco, di pazzia,
di progetti da realizzare, di amicizie da vivere, noi avevamo
una bellissima casa immersa nel verde e ultimamente anche un
cane, ma nessun lusso né agio, la nostra bella casa costruita
per lui da Libero che lui chiamava “il nostro nido” aveva problemi
urgenti e costanti di essere sistemata e questo lo sanno solo
quelli che ci frequentavano, quei pochi che ci davano una mano
per renderla vivibile. Per la mancanza di soldi i lavori procedevano
a rilento e alcune volte “riciclavamo” i mobili dall’immondizia,
ma noi eravamo felici. Eppure, con mille problemi, qualche piccolo
lusso ce lo concedevamo senza chiedere niente a nessuno. Niente
di più e niente di meno di qualche pranzo o qualche cena, Horst
era stanco di mangiare la sbobba schifosa del carcere...
Siamo stati dignitosi in tutto, e ci siamo voluti un bene immenso,
un bene vero, che non si può neanche quantificare. Questo era
sicuramente il nostro momento più difficile: Horst usciva dal
carcere alle 6 del mattino per andare a lavorare con il buio
e con il freddo; lavorava in magazzino con la giacca addosso
per ripararsi dal freddo, aveva dei problemi di salute abbastanza
seri che non aveva raccontato a nessuno (poiché quando un semilibero
sta male... deve tornare in carcere), tornava a casa per trascorrervi
appena tre ore, tornava in carcere rigorosamente per le 10 di
sera con qualsiasi tempo, dormiva appena due o tre ore per notte,
perché nelle sezioni semiliberi ci sono molti problemi. Era
molto stanco, sofferto, dimagrito, e soprattutto dormiva pochissimo.
Eppure, anche in questa condizione (che alla maggior parte dei
compagni era oscura), c’era un po’ di spazio per noi. Allora
le piccole cose quotidiane, preparargli un caffè, cuocergli
un piatto di tagliatelle con il ragù fatto in casa, acquistavano
il significato di casa vera, di vera famiglia.
Gli dicevo, ora che abbiamo lottato tanto per farti avere la
semilibertà e che stiamo aspettando la grazia, se tu facessi
qualche altra stupidaggine non solo butteresti nella merda le
poche persone che hanno creduto in te, ma rovineresti tutto.
Ma evidentemente la tensione per la libertà in lui era troppo
forte, e un giorno senza farmene partecipe mi ha messo davanti
al fatto compiuto. La telefonata del suo avvocato, una bastonata
sul collo mentre tornavo in treno a casa con un assegno in tasca.
Avevo appena venduto due ritratti, ero felice perché lui mi
spronava a disegnare, ma anche perché dietro quella commissione
c’erano speranze concrete per entrambi…
Io non giudico lui e il suo gesto fragile e in fondo ridicolo
ma questo sistema di merda che non ha saputo offrirgli altro
che un duro lavoro in magazzino alla sua età (62) e ancora tanti
anni di carcere davanti.
Il dolore che sto provando, davanti a una fine così ingiusta,
così assurda, ma così “normale”: dato che in carcere ci vanno
soltanto i poveracci…non potete neanche immaginarla.
Restano piccole e grandi umiliazioni, mai perdonate e mai dimenticate,
che un giorno renderò veramente pubbliche.
Horst, il mio dolce e buffo Horst, è volato via per sempre e
non tornerà mai più in nessun carcere. Ti porterò per sempre
nel mio cuore e onorerò per sempre la tua memoria, il tuo coraggio,
le cose che hai scritto, quelle che hai detto, la voglia che
io diventi una grande artista. E insieme la memoria di mamma
Bertha, di Maria, di Libero, con amore. Grazie Anna 1 e 2, grazie
Loris, grazie Luigi, ti voglio bene Jacopo. Grazie avvocati
che avete creduto in noi e che ci siete stati amici. Grazie
a tutti gli amici e amiche che ci sono stati vicini. Liberi
tutti!. Viva l’Anarchia!!
Ciao topolino!!
La tua
Pralina
Fantazzini
La sinistra e le due libertà
“Una città”, rivista che ormai da dieci anni viene
pubblicata a Forlì, è senza dubbio uno strano ‘rotocalco culturale’
(come essa stessa si definisce), e lo è per più di un motivo.
In un’epoca in cui quasi tutta la stampa, ritenendo la lettura
una specie di fast-food della mente, rincorre gli articoli brevi,
la rivista fedele al suo slogan pubblicitario ‘Un impegno
a domandare’ vede le sue 24 pagine formato tabloid quasi
interamente composte da interviste lunghissime, fatte a scrittori,
operatori sociali, filosofi, militanti, giornalisti, studiosi
delle più diverse discipline, senza però mai dimenticare la
‘gente comune’, le cui storie personali sono spesso un ottimo
prisma attraverso cui vedere sia le trasformazioni e gli accadimenti
della società, italiana e non. Fedele a questa impostazione
‘domandante’, ‘Una città’, che è fatta da non-professionisti,
ha fra l’altro seguito da vicino, oltre alla situazione italiana,
la lotta dei democratici algerini contro il fondamentalismo
religioso, così come le vicende della Bosnia, del Kossovo, della
Cecenia, del Rwanda, tematizzando le questioni che in tali vicende
emergevano, motivo per cui non raramente, nonostante l’ispirazione
di sinistra della rivista, si è trovata su posizioni assai critiche
sia rispetto alle posizioni della sinistra ‘ufficiale’ che rispetto
al mondo pacifista e ‘antagonista’. Proprio l’impostazione culturale-politica,
come accennato, è infatti un’altra delle particolarità di ‘Una
città’. I suoi redattori e collaboratori, tutti provenienti
da varie esperienze e tendenze della sinistra, rivendicano orgogliosamente
tale collocazione, tuttavia non per questo rinunciano ad interrogarsi
a ‘360 gradi’, mentre, dall’altra parte, cercano di capire cosa
possano oggi significare ‘libertarismo, cooperativismo, cosmopolitismo’,
termini in cui si riconoscono ed in cui credono di poter sommariamente
sintetizzare la tensione che li muove.
Proprio per cercare di rispondere a tale questione, in ‘Una
città’ sono sempre apparse interviste incentrate non solo sui
grandi problemi della storia della sinistra (in particolare
sulla natura, e sulla ingloriosa fine, del comunismo sovietico),
ma anche su personaggi e pensatori, marginalizzati dalla sua
storia ‘ufficiale’, come Proudhon, Kropotkin, Andrea Caffi,
Francesco Saverio Merlino, Osvaldo Gnocchi-Viani, Paul Goodman,
Benjamin Tucker, Nicola Chiaromonte, Ralph Waldo Emerson, John
Stuart Mill, Piero Gobetti, Berneri, Carlo Rosselli, Bruno Rizzi.
Tale interesse ha progressivamente configurato una ‘altra tradizione’,
diversa da quella marxista e da quella socialdemocratica, e
polemica con esse, ma anche distinta pur se con essa
intrecciata, spesso criticamente da quella specificamente
anarchica e da essa coloro che fanno ‘Una città’ pensano possano
venire spunti e riflessioni che portino ad un ‘rifondazione’
dell’intera sinistra che, lasciandosi alle spalle i miti del
rivoluzionarismo, del comunismo più o meno marxista e
più o meno rifondato e le logiche stataliste, sia in
grado non solo di contrastare il liberismo berlusconiano trionfante,
ma anche di aprire nuove vie, in grado di reggere le sfide
sociali, culturali, politiche che il nostro tempo di
trasformazione e di crisi pone.
Da tutto questo è nato il convegno ‘La sinistra e le due libertà’
che, in occasione dell’uscita del suo centesimo numero, ‘Una
città’ ha organizzato nei giorni 10 e 11 gennaio 2002. L’intenzione
del convegno era quella di mostrare, attraverso il riesame di
riflessioni “lontane nel tempo”, come la tradizione della sinistra
non-marxista sia proprio incentrata, partendo da Proudhon ed
arrivando a Berneri, Carlo Rosselli o Guido Calogero, sulla
valorizzazione della libertà e come tale valorizzazione non
solo sia di segno ben diverso dalla libertà dell’homo homini
lupus del liberismo contemporaneo, ma sia forse anche in
grado correggendo la libertà con l’eguaglianza e l’eguaglianza
con la libertà, così come favorendo serie pratiche di democrazia
di base di togliere terreno al liberismo stesso senza
per questo dover ricorrere a nuove forme di statalizzazione
o di difesa verticistica e paternalistica dei ceti più deboli.
Le due giornate del convegno, proprio per favorire il dibattito,
erano divise fra la mattinata, interamente occupata dalle relazioni,
e il pomeriggio, totalmente dedicato al dibattito, ed hanno
visto la partecipazione di un pubblico non numeroso (mediamente
40-45 persone), ma partecipe al dibattito.
La prima giornata ha preso avvio con la relazione di Pino Ferraris
che, in una relazione tanto interessante quanto emotivamente
partecipata, ha mostrato i motivi delle profonde differenze
che dividevano, alla fine del XIX secolo, il socialismo democratico
di marca autoritaria di Turati da quello libertario di Merlino
e di Osvaldo Gnocchi-Viani. Ha proseguito Pier Paolo Poggio
parlando della contradditoria, ma feconda, coesistenza, nel
pensiero di Aleksandr Herzen e del populismo russo, della fiducia
nell’obcina, la tradizionale e chiusa comunità rurale russa,
con la volontà di allargare e salvaguardare la libertà individuale
in una società socialista. Nico Berti ha invece incentrato la
relazione sulla concezione proudhoniana della proprietà, sottolineando
come per il pensatore francese da un lato, cioè quando è monopolio,
essa sia “un furto”, ma anche come, dall’altro lato, essa sia
la base materiale che garantisce la libertà individuale. Questa
apparente contradditorietà, ha spiegato Berti, dipende dall’assunto
gnoseologico di Proudhon, che vede la realtà costitutivamente
plurale e antinomica, cosicché non è per lui possibile abolire
in toto la proprietà o l’autorità, il che però non significa
che per lui lo stato o il capitalismo non fossero abolibili,
mentre significa invece che non è possibile abolire la politica
o arrivare al comunismo.
Pietro Adamo, infine, ha illustrato il dibattito che, negli
ambienti antifascisti parigini degli anni ’30 del 900,
portò pensatori e militanti come il socialista liberale Carlo
Rosselli, l’anarchico Camillo Berneri, i socialisti libertari
Andrea Caffi e Nicola Chiaromonte, i repubblicani ‘sociali’
Schiavetti e Montasini, i socialisti Jacometti e Silone, a dialogare
fra di loro. Un dialogo che li portò ad ipotizzare, come sbocco
della rivoluzione antifascista, forme originali, e assai simili,
di socialismo libertario, sostanzialmente basate sulla libera
sperimentazione economica, quindi anche su forme di mercato,
e su un ambito politico pensato non come statualità, ma come
progressivo convergere, in un ambito federalista, di autonomie
sociali (come sindacati e cooperative di produzione) e locali
(come comuni e soviet), il tutto in un quadro istituzionale
che garantisse anche ai singoli la più ampia libertà politica
ed economica. Il dibattito su questi temi, coordinato da Gianni
Sofri, ha soprattutto messo in mostra, anche grazie agli interventi
del sociologo Aldo Bonomi e del sindacalista Andrea Ranieri,
come da tali teorizzazioni possano venire oggi spunti e proposte
che potrebbero permettere ad una sinistra rinnovata di dialogare
proficuamente con una società ed un mondo del lavoro che, almeno
nei paesi avanzati, ha subito, e continuamente subisce, trasformazioni
enormi, tali da renderli praticamente imparagonabili con quelli
dell’800 o di quasi tutto il ‘900.
La seconda giornata (cui è mancata la prevista partecipazione
di Massimo La Torre), coordinata da Fabrizio Tonello, si è invece
aperta con la densa relazione di Nadia Urbinati, che ha mostrato
le radici crociane del socialismo liberale di Carlo Rosselli
nel quale libertà ed eguaglianza sono visti come termini
fra loro “in una continua tensione” e le differenze fra
questo ed il liberalsocialismo di Guido Calogero e Aldo Capitini,
per i quali, invece, libertà ed eguaglianza sono due ‘facce’
diverse di una stessa tensione. Queste due diverse impostazioni,
ha sottolineato la Urbinati, non solo hanno dialogato fra loro,
ma hanno anche influenzato la cultura e la politica italiane,
rimanendo rintracciabili soprattutto in quella ‘terza forza’
laica che fin dal dopoguerra tentò di mantenere viva l’alternativa
sia al paternalismo clericale democristiano che al verticismo
autoritario del Pci. Ha proseguito poi Guido Montani, con un
excursus sul rapporto fra le varie tendenze della sinistra e
l’idea di federazione europea. Montani ha mostrato come l’idea
di federazione europea, e in prospettiva mondiale, fosse, nell’800,
patrimonio dell’intero pensiero della sinistra, compresa quella
marxista e comunista, e come essa sia stata messa in crisi dapprima
dalla Prima Guerra Mondiale, che di fatto significò anche la
crisi dell’ideale di internazionalismo proletario, e in seguito
dall’affermarsi del potere comunista in Russia che, con la teoria
del ‘socialismo in un solo paese’ e la conseguente difesa della
‘patria socialista’ da parte della maggioranza comunista dei
movimenti operai, di fatto pose la pietra tombale su una impostazione
realmente federalista e democratica nella costituzione dell’unione
europea iniziatasi negli anni ’50. Non tutto è però perduto
per un vero federalismo europeo, ha concluso Montani, e proprio
la caduta del comunismo e dei blocchi hanno indubbiamente aperto
prospettive ancora in gran parte da cogliere.
Ha concluso le relazioni Luca Baccelli, che si è incentrato
sul dibattito, molto ampio soprattutto in area anglosassone,
fra liberalismo, comunitarismo e neorepubblicanesimo, un dibattito
in cui la rivalutazione della tradizione repubblicana che, partendo
da Aristotele e dalla polis greca passa per i liberi comuni
italiani del medio evo, per la rivoluzione americana, per la
costituzione degli Stati Uniti e per la rivoluzione francese,
si accompagna, anche sulla scorta del pensiero di Hannah Arendt,
ad una riflessione sulla libertà. Proprio riflettendo su tale
problema, il neorepubblicanesimo critica tanto l’accezione liberale
che vede la libertà come essenzialmente ‘negativa’, cioè
come ‘libertà da’, che quella comunitaria, per la quale
il legame sociale dato dalle comunità ‘naturali’ (quindi sostanzialmente
etniche), considerato ineludibile e vincolante, già ‘riempirebbe’
ogni possibile ‘libertà positiva’, cioè ogni ‘libertà di’. A
fronte di tali manchevolezze il neorepubblicanesimo teorizza
una ‘terza libertà’, cioè la libertà come ‘non dominio’, la
quale da una parte condivide con la libertà liberale ‘negativa’
l’accento posto sulla necessità che l’individuo sia il più possibile
lasciato libero nel suo agire, mentre, dall’altro lato, sottolinea
però anche la necessità di istituire norme, rapporti e istituzioni
che senza alcun obbligo, ma come espressione dell’autoorganizzazione
dei gruppi sociali e della conflittualità che ne consegue
favoriscano la partecipazione dei cittadini alla gestione della
polis, unica condizione perché anche le diseguaglianze
sociali siano via via progressivamente superate.
Tutti questi temi hanno non poco ‘scaldato’ i presenti ed il
dibattito, animato soprattutto dagli interventi di Marco Cossutta,
si è appuntato sul problema dei diritti e degli spazi di reale
gestione/partecipazione, se cioè essi debbano essere politico-sociali,
quindi essenzialmente affidati alla capacità d’azione e alla
volontà dei cittadini e delle loro organizzazioni e associazioni,
o istituzionali, cioè previsti, e resi intangibili, da una ‘carta
di base’ al di là del fatto concreto che tali diritti e spazi
siano poi realmente ed attivamente agiti dai cittadini stessi.
Come era prevedibile non si è giunti a conclusioni unitarie,
ma questo non ha certo stupito i promotori del convegno, i quali
fin dall’inizio avevano chiarito che lo scopo per cui esso era
stato organizzato non era quello di fornire risposte, ma, al
contrario, di offrire materiale di riflessione e spunti per
l’agire di una sinistra che voglia rinnovarsi radicalmente.
Un rinnovamento che, nelle loro speranze, dovrebbe mettere radicalmente
in discussione sia l’agire della sinistra ‘ufficiale-riformista’
centrato sulla presenza parlamentare, dal punto di vista
politico, e sulla logica di un sindacalismo verticistico e,
non raramente, pericolosamente vicino a tentazioni corporative
, sia quello della sinistra ‘sociale-rivoluzionaria’,
troppo spesso ancora preda dei miti della rivoluzione e dell’astratto
‘antagonismo’, di un terzomondismo sovente discutibile, di un
anticapitalismo semplicistico ed incapace di cogliere le trasformazioni
in atto.
Franco Melandri
contro
il militarismo
Livorno,
2 febbraio. Due-tremila persone hanno preso parte alla
vivace manifestazione antimilitarista anarchica, che
ha attraversato la città. Nelle foto (di Franco
Pasello) alcuni dei molti striscioni presenti.
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