rivista anarchica
anno 33 n. 287
febbraio 2003


costume

Questioni di bandiera
di Carlo Oliva

 

Finora è stata sventolata soprattutto per sottolineare le divisioni. Ma Ciampi...

Se il Presidente Ciampi non fosse, per formazione e cultura, essenzialmente un banchiere, se non appartenesse – cioè – a un gruppo professionale uso a trattare con grande liberalità la categoria del reale e quella dell’immaginario, forse non si sarebbe azzardato a proporre ai nostri pazienti concittadini l’istituzione di una giornata della bandiera, esortandoli, per di più, a celebrarla in modo adeguato con un’allocuzione ufficiale. Ci vuole molta immaginazione, in effetti, per ritenere che il tricolore sia stato, o possa diventare, un vero simbolo di unità e concordia nazionale e bene hanno fatto quei commentatori (per esempio Gabriele Polo, sul “Manifesto” di mercoledì 8 gennaio) che hanno sottolineato come gli italiani, nella loro storia unitaria, quel vessillo lo abbiano sventolato soprattutto per sottolineare le proprie divisioni e che la tendenza a servirsene per esprimere, come si dice, “dal basso”, una volontà di rinnovamento o rivolta, come è successo in certi episodi del Risorgimento o nella Resistenza, abbia avuto storicamente assai meno fortuna di quella di chi lo ha impiegato, dall’alto, per coprire una sua volontà di sopraffazione e dominio. Tanto è vero che, a differenza che in altri paesi, quelle che una volta si definivano “le masse” da quel simbolo si sono sempre tenute piuttosto alla larga e che l’unica occasione di un suo impiego generalizzato e spontaneo ha finito per essere quella, invero piuttosto caricaturale, dei festeggiamenti successivi alle (rare) vittorie della nazionale di calcio.
D’altronde, se è vero che i simboli non richiedono, per essere tali, altro che la volontà di qualcuno di investirli di quella funzione, è altrettanto vero che difficilmente si può prescindere dalle circostanze storiche che hanno caratterizzato la loro scelta, il che dovrebbe obbligarci – come minimo – a dubitare della funzionalità di un emblema di indipendenza nato per imitazione di quello di una potenza straniera occupante (perché il tricolore della Repubblica Cispadana fu adottato, il 7 gennaio 1797, in ovvio ossequio a quello delle armate napoleoniche) e di una bandiera “repubblicana” imposta al paese con proclama regio. In effetti, da quando Carlo Alberto, il 23 marzo1848, lo fece distribuire alle proprie truppe in barba alle sue origini giacobine, sono stati veramente troppi i propugnatori del tricolore che hanno avuto in mente soprattutto l’interesse proprio e non sarà un caso se, a differenza del suo prototipo francese, che ha conservato a lungo, anche durante le parentesi napoleoniche e orleanista, una specifica connotazione democratica e repubblicana, tanto è vero che proprio sulla questione della bandiera è caduto almeno un tentativo di restaurazione monarchica, quello italiano non ha mai posto preclusioni ideologiche a nessuno.
Nessuno, in effetti, monarchico, repubblicano, clericale, democratico, reazionario, fascista o altro che fosse, ha mai avuto particolari obiezioni da muovere al suo impiego. Gesti come quello del conte di Chambord (il mancato Enrico V del Carducci), che nel 1871 rifiutò, appunto, l’offerta del trono pur di non rinunciare al vessillo bianco dei Borboni, non hanno mai caratterizzato la nostra storia. Se questo sia un sintomo di civile tolleranza o di quella indifferenza ai valori che in politica prende, di solito, il nome di trasformismo è un problema che ciascuno può agevolmente risolvere da sé.

Una certa qual diffidenza

Anche quello della comune indifferenza ai valori, naturalmente, può essere un criterio di unità e già il Machiavelli, se ricordo bene, scriveva (dispiacendosene) che a caratterizzare gli italiani in quanto tali era soprattutto la spiccata tendenza a privilegiare ciascuno il proprio “particulare”. Una gran brutta propensione, nei termini in cui la dipingeva quell’autore, ma anche un atteggiamento, in ultima analisi, maledettamente ragionevole. Unità e solidarietà, a pensarci bene, sono due belle parole, ma vengono usate troppo spesso per coprire delle pretese e degli atteggiamenti volti ai danni di qualcun altro perché a loro ci si possa affidare con piena serenità. Per restare in argomento, le bandiere che sventolano nelle contese civili sono sempre più rispettabili, nonostante tutto, di quelle che guidano gli eserciti alla conquista dei paesi altrui.
Più in generale, sarà sempre meglio un’onesta divisione in nome dei valori e dei legittimi interessi delle parti, che un’unità fittizia imposta da qualcuno allo scopo precipuo di difendere il proprio utile personale senza prendersi la briga di dichiararlo, che è poi, stringi stringi, la funzione assegnata all’unità nazionale dalle varie classi dirigenti da quando esistono le nazioni. Non so voi, ma io, personalmente, di mostrarmi unito e solidale, tanto per fare dei nomi, con Berlusconi e i suoi, per non dire dei fratelli Agnelli, del sindaco Albertini, del ragionier Colaninno, del dottor Tronchetti Provera o di altri degni personaggi par loro, non sento la minima necessità e sul fatto che costoro agiscano davvero nell’interesse del paese tutto continuo a nutrire una certa qual diffidenza. Il Presidente Ciampi fa il suo mestiere e tutti gli auguriamo la più lunga permanenza possibile al Quirinale, anche in considerazione di chi si è candidato a succedergli, ma certi inviti, in sostanza, potrebbe anche risparmiarceli.

Carlo Oliva